“High Hopes” è il diciottesimo album in studio di Bruce Springsteen. È un disco di cover, di brani mai registrati in studio e vecchie glorie rispolverate e rianimate. Sarebbe riduttivo chiudere il capitolo Bruce Springsteen così. “High Hopes” è un album complesso, eterogeneo, in cui convergono cover di terzi, brani eseguiti solo live e quelli cassati dal pregresso “The Rising” o “Wrecking Ball”.
“High Hopes” è una virata di stile, quella che l’incontro-scontro con Tom Morello comporta, quella che farà storcere il naso ai puristi di vecchia data. Morello sta a Springsteen come Nels Cline ai Wilco. Sono ingressi che inevitabilmente segnano e marchiano il suono. L’ingresso di Tom è un’estensione di quella direzione che The Boss stava già seguendo. Bruce la mente e Tom il braccio o entrambi in combinazione 50/50 poco interessa.
Ron Aniello, produttore del disco (salvo 4 brani in cui compare l’ex Brendan O’Brien), aggiunge quel quid. Quello che conta è il risultato, “High Hopes” segna il punto: dopo 18 album, Bruce Springsteen rimane il Boss indiscusso, versatile e creativo.
L’album racchiude la ricchezza di strumentazione, gli assoli di Tom (in otto delle dodici tracce), il piano di Byttan (High Hopes), il sassofono di Clemons (Harry’s Place) , le distorsioni della voce (American Skin (41 shots)). Il valzer acustico e il suono mistico dylaniano di Hunter of Invisible Game. Il rock dal sapore gospel di Heaven’s Wall. Il gaelico Springsteen di This Is Your Sword con banjo e conramuse qua e là (che risultano ridondanti a dire il vero).
L’album incorpora personaggi e ritratti – Harry’s Place e The Wall (un brano in cui è percepibile la dedica a Walter Cichon – leader dei The Misfits - e alla morte in Vietnam dello stesso; Cichon diventa l’emblema della generazione spedita a morire).
Bruce si mette alla prova in studio attraverso le cover: High Hopes originariamente degli Havalinas. Just Like Fire Would dei The Saints. Dream Baby Dream dei Suicide. Densa e romantica.
“High Hopes” non è una semplice raccolta. È un album a tutti gli effetti, un rock onesto, diretto e diritto senza arzigogoli. Non c’erano elevate speranze da parte dei puristi del genere springsteeniano e Bruce ha dato, ancora una volta, scacco matto alla critica musicale. Ciò che maggiormente incuriosisce è la spinta che ha portato Bruce a creare e armonizzare la tracklist scegliendo PROPRIO quei brani.
“High Hopes” sono le Grandi Aspettative di cui e a cui siamo sottoposti. Sono i sogni, i desideri, le speranze e The Boss ne ha sempre parlato, snocciolato l’essenza. Un Bruce affamato di musica che si spinge oltre mostrando attraverso proprio le tre cover, i suoi ascolti. Un Bruce ringiovanito (cercando di non peccare di presunzione) che sembra cercare gli occhi di ascoltatori più giovani, rimanendo fedele a se stesso ma con l’animo (e la mente) aperta al nuovo. Siamo forse di fronte a una nuova giovinezza di Bruce The Boss Springsteen?
Elena Rebecca Odelli
8 gennaio 2013
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