Facciamo finta che il concerto di Niccolò Fabi, ieri a Bologna, sia stato un concerto come gli altri, di quelli che pullulano d´estate in una città come un´altra, con un pubblico come tanti.
Facciamo finta che Niccolò abbia tenuto un palco di un teatro con poca sicurezza, che non abbia idea di come fare per trovare il giusto equilibrio tra il dialogo con la platea e la musica.
Facciamo finta che il suo ultimo album non sia la perfetta sintesi di ciò di cui si sentiva bisogno.
Facciamo finta che non ci sia stata la giusta intimità nella prima parte del concerto all´Auditorium Manzoni. Facciamo finta, poi, che il pubblico non abbia cantato nemmeno uno dei nuovi pezzi di Una somma di piccole cose, l´album, uscito un mese fa, del cantautore romano.
Facciamo finta che nessuno conosceva a memoria Il negozio di antiquariato, eseguita in versione piano e voce, e che Costruire non abbia strappato una lacrima alle metà della gente, me compreso, Niccolò compreso quando la platea gli ha dedicato una standing ovation.
Facciamo finta che il finale con Lasciarsi un giorno a Roma non abbia radunato gli spettatori del teatro sotto il palco. E loro cantavano e ballavano e ballava anche lui con la sua chitarra tra le braccia e la sua band che sorrideva godendo dal palco di quello che stava succedendo in sala.
Facciamo finta che Facciamo finta non sia una seconda Costruire. E nemmeno che Niccolò Fabi, in un periodo di generale surplus di artisti dalle dubbie qualità, abbia fatto capire che, forse, l´umiltà nel fare musica, come nel fare ogni altro tipo di arte, sia la strada maestra che ogni nuovo adepto della canzone italiana dovrebbe seguire.
Matteo D´Amico
27 maggio 2016 |