Io che sono un fottuto eterno romantico, da Daniele Silvestri m’aspettavo Occhi da orientale come un bimbo aspetta il regalo della zia ricca il giorno del compleanno. E allora è da stamattina che la ascolto in loop. E qua e là ci metto in mezzo anche un sa
cco di pezzi del nuovo lavoro, Acrobati, uscito lo scorso febbraio con diciotto tracce (diciotto!) che quasi spiegano le tre ore di concerto di ieri. Bologna, nella piccola e accogliente location del Teatro Il Celebrazioni di via Saragozza, ha risposto con la solita bellezza. Nonostante si tratti di un disco con poco più di due mesi di vita, il pubblico in platea cantava che era una meraviglia. Tra tutti, hanno spiccato i cori e gli applausi sui nuovi Casa mia, Pochi giorni, Monolocale, Quali alibi, Acrobati.
Tre ore, dicevamo. Tre ore in cui, uno alla volta l’artista ha presentato i sette componenti della sua band, in parte rinnovata rispetto al passato: a Piero Monterisi alla batteria, Gianluca Misiti alle tastiere e Gabriele Lazzarotti al basso si aggiungono Daniele Fiaschi alle chitarre mancine, Duilio Galioto alle tastiere aggiuntive, Sebastiano De Gennaro alle percussioni e al vibrafono e Marco Santoro, seconda voce e mastro esperto del fagotto, strumento che certamente pensavo non si prestasse alle sonorità di un concerto pop rock. E invece no.
Tre ore divise in due parti fondamentali: la prima dedicata al nuovo disco, la seconda caratterizzata da un cambio di scena con tanto di ambientazione circense e da un paio di giochini. Il primo in cui l’artista suddivide in quattro gruppi da due la band, lui incluso, e associa i musicisti a un colore e li fa suonare a comando chiamando i colori voluti; il secondo basato sul suonare tre pezzi richiesti dai fan: vincono su tutti L’autostrada, Un giorno lontano, Gino e l’alfetta.
Tre ore che scorrono veloci grazie a un artista che tiene il palco alla perfezione, che parla il giusto e che porta in scena la sua storia musicale senza strafare. E quando parlo di storia non mi riferisco solo a canzoni cronologicamente appartenenti al passato (Testardo, Ma che discorsi, Storie di Francia) ma anche a pezzi di un valore sociale importante come L’appello, Monetine, A bocca chiusa, Il mio nemico.
La serata si conclude con tutto il pubblico che si riversa sotto il palco per un finale di tutto rispetto. Ad Aria e Cohiba il compito di salutare Bologna: “Signore e signori, è stato un vero onore essere qui per due sere di fila entrambe indimenticabili, almeno per me. Anzi, se vi è piaciuto la metà di quanto è piaciuto a noi, allora è stata comunque una grande serata anche perché questa è davvero la mia seconda casa”.
Matteo D´Amico
28 aprile 2016
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