Marco Mengoni è un mostro. Sì, di quelli che Il Volo all′Eurovision arrivano con un′eredità non indifferente (se mettiamo da parte, per un attimo, l′edizione 2014). Perché, diciamocelo, i tre moschettieri, quest′anno, la vittoria se la porteranno a casa ma due anni fa, due anni fa, due anni fa, nessuno aveva fatto meglio di Mengoni. E va bene che Il Volo rappresenta il bel canto, va bene pure che la settima posizione di Marco non è stata poi così male, va bene tutto. Ma io ieri, durante il concerto dell′artista all′Unipol Arena di Bologna, ho pensato, senza remore, al fatto che un cavallo di razza di quel calibro è, per il panorama musicale italiano, motivo d′orgoglio. Il live di ieri, infatti, ha lasciato nelle persone presenti un non so che di patriottico. O almeno così è stato per me. E credetemi, se ci foste stati, avreste capito di cosa sto parlando.
Come tutti i concerti nei palazzetti o simili, tutto inizia con la voce femminile che annuncia l′inizio dello spettacolo e chiede di spegnere gli smartphone. Ecco, peccato che l′utilizzo dei telefoni cellulari, ieri, era parte integrante dello spettacolo. In tre occasioni, infatti, un′icona sul grande video wall chiedeva al pubblico di aprire, per chi l′aveva già scaricata, la app di Mengoni che, probabilmente riconoscendo la voce dell′artista, iniziava a riprodurre dallo schermo del telefono luci a intermittenza, prima a mo′ di flash, poi colorate. Sprint tecnologico confermato poi dall′intro del concerto. Che non è stata una vera intro. Cioè l′intro proprio non c′è stata: semplicemente un sottofondo musicale, sul video wall prima la dicitura "loading data..", poi "buffering", poi il centro del palco emerge dal basso e parte Guerriero e parte il pubblico insieme alla canzone. E parte Mengoni.
Classico abito da sera, l′artista saluta con la mano tutti i settori del palazzetto, uno sguardo ai suoi musicisti e via per tre brani senza mai fermarsi. Guerriero, appunto, poi Non me ne accorgo e Sei come sei. Il saluto parlato arriva poco dopo: "Ma buonasera", dice con il classico accento bolognese. E pure i nonni che avevano accompagnato le nipoti sono diventati fan di Mengoni. Da subito si intuisce che avrebbe interpretato tante canzoni e che avrebbe fatto cambio d′abito quelle quattro o cinque volte: suda un sacco il ragazzo. Dall′inizio alla prima ora di spettacolo si esibisce con Pronto a correre, Invincibile, Mai e per sempre, Dove si vola. Poi ancora La llorona/Solo, La valle dei re, Ed è per questo, Bellissimo, 20 sigarette, Natale senza regali. E almeno quattro persone vicine a me, alla fine di quest′ultimo pezzo, hanno esordito con un "Te lo faccio io un regalo!". Ecco, il pubblico (e non c′era da aspettarselo) era più variegato che mai. C′erano tutte le fasce d′età e questo mi ha fatto un po′ ricredere sul target che Mengoni riesce ad attirare. Dietro di me c′era una bimba accompagnata dai genitori che per tutto lo spettacolo non ha detto nulla. Avrebbe voluto cantare, glielo si leggeva negli occhi, ma non ha detto nulla. Era così stupefatta nell′assistere al primo concerto della sua vita che le luci gialle del palco, poi quelle blu e quelle rosse, Mengoni che balla sulla passerella, la gente che canta assieme a lui.. era tutto, per lei, così meravigliosamente nuovo. Appena dopo Come un attimo fa, I got the fear (in cui l′artista ha mostrato anche le sue doti da ballerino) e Non passerai (l′ha ceduta tutta al pubblico che l′ha cantata al suo posto), parte un monologo che la canzone che avrebbe anticipato si è intuita dopo appena cinque secondi. Accenna a un po′ di celebri storie di soprusi e si lascia andare in tanti "credo". Annuncia, quindi, Essere Umani e lo fa seduto su una poltrona che si muove dal basso verso l′alto. La canta da lì, sospeso.
Tra una pausa e un altro cambio d′abito canta anche La neve prima che cada, Stanco e Una parola ma i momenti che credo ricorderò, da oggi e per un po′ di tempo ancora, sono due: quei quattro minuti in cui canta L′essenziale e le facce dei presenti in quei quattro minuti, e un monologo di cui vi riporto le parole esatte: "Cioè, no, ieri.. eravamo felici. Partivamo per le vacanze, tre posti occupati, tre bagagli, una macchina, sempre la stessa, un′autoradio di tutto rispetto, mangiacassette di ultima generazione. Tutti gli scompartimenti delle portiere erano colmi di nastri da ascoltare e riascoltare che poi si rovinavano e diventavano inascoltabili. Io un po′ dormivo, un po′ giocavo con i miei genitori: macchina-nave-vela-lato-torino-noce-cemento-to-to-to. Allora erano quelle le mie parole in circolo. Il ricordo di quei giorni è un tesoro importantissimo non tanto per il fatto di avere davanti ancora tutta la vita, all′epoca non ne avevo idea, ma per la capacità che avevo, e che ho perso, di godermi ogni singolo istante. Poi il tempo è passato, abbiamo smesso di giocare alle parole e ho iniziato a giocare da solo. Passavo le ore a mettere a posto. No, non ero il figlio perfetto: mettevo a posto mattoncini con strane forme. E quando tutto andava bene, i mattoncini sparivano nel nulla. I ricordi non erano più in parole, erano in musica. E faceva più o meno così..".
Ok, tu ti aspetti la canzone strappalacrime e invece BOOM: parte la Theme Song del Tetris e sul video wall una demo del gioco e lui ballava, ballava, ballava e i suoi tre musicisti dietro ai fiati che lo seguivano e ballavano anche loro. Ragazzi.. la bellezza.
Non sto ancora qui a tediarvi per molto. Concludo dicendo che Marco ha affidato la chiusura del suo concerto a pezzi importanti quali In un giorno qualunque e Io ti aspetto. E che la naturalezza assoluta con cui ha ringraziato Bologna simulando abbracci e lasciando il palco alla sua band per gli ultimi minuti di live, ecco, sono doti che non possono che appartenere a un professionista. Forse il migliore tra le nuove leve della musica italiana degli ultimi anni.
Matteo D′Amico
22 maggio 2015