E ci risiamo, la navicella targata Negramaro è sbarcata ancora sulla luna milanese. E’ facile cadere nel qualunquismo quando, per la seconda volta, prendi parte, non ad un concerto, ma un evento. Sì perché, forse, solo dopo, capisci come ridisegnarti nella testa ciò a cui hai assistito: un evento.
Un evento culturale per essere precisi, un modo per atterrare anche noi su nuovi e vecchi panorami storico-culturali. Chiari i riferimenti a Mario Monicelli o il testo recitato dal duo comico Ficarra e Picone “Secondo me una donna” tratto dal brano del celebre Gaber….cose che a scuola non si insegnano per capirci. I Negramaro fanno questo, aiutano ad aprire la testa, a vedere la realtà delle cose, al di là di una gonnellina in tv, o del nuovo dramma docu-reality. E ci sono le urla della folla sul “L’immenso” per chi in Grecia ha saputo metterci la faccia, per M.A.C.A.O, per Teatro Valle Occupato, per noi che cerchiamo di capirci qualcosa in questa realtà annebbiata di nulla, che ci sentiamo un po’ tutti alla ricerca di un’isola felice su cui atterrare.
Un concerto è musica, sono le voci di chi è lì con testa, mani, cuore, lacrime. Quanti occhi bagnati ho visto ieri sera, urla. Un concerto è la batteria tra le mani di Danilo che ritmicamente rimbomba nella coscienza di ognuno. E’ il rif di chitarra di Lele che contorna, che primeggia, che riecheggia tra timpani e testa. E’ il giro di basso di Ermanno che regala la giusta sincronia tra gli arti. E’ il synth e l’organetto di Pupillo, che apre la mente verso la compenetrazione della musica che fu con quella che è. E’ la tastiera di andro le cui dita scorrono veloci tra quei tasti neri e bianchi. E’ la voce di Giuliano, quella che ti fa tremare l’anima, quella che ti scalda e ti raggela allo stesso tempo. E’ l’energia dei Negramaro, quella che scopre le retine opache. E’ l’attenzione della crew, di chi lavora con loro, dei tecnici, della sicurezza, di chi ci fa sentire protetti di fronte a quell’immensa navicella.
Solo alla fine lo capisci, in un battito di ciglia,quella piccola traccia che ti senti dentro: gli astronauti sono loro, ma siamo anche noi.
Elena Rebecca Odelli |