Davide Combusti, in arte The Niro, romano, classe 1978, è in gara fra le Nuove Proposte di questo 64° Festival della Canzone Italiana con 1969, uno dei brani migliori della categoria (se non il migliore in assoluto, per sonorità e arrangiamento) e contenuto nel brano omonimo in uscita in questi giorni (terzo e primo in cui canta in italiano). Un curriculum di spessore (che alcuni dei cosiddetti Campioni potrebbe invidiargli), costruito in Italia ma anche Oltreoceano.
È stato da poco scelto dal regista statunitense James Mc Teigue (“V per vendetta”, “Ninja Assassin”, “The Raven”) per curare la colonna sonora del cortometraggio “Caserta Palace Dream”, con protagonista il premio Oscar Richard Dreyfuss, in uscita a Marzo (“L’ho finito il giorno prima di partire per Sanremo! Il regista mi ha detto ‘vai, va, goditi il Festival!”).
Davide, come stai vivendo la tua prima esperienza a Sanremo?
“Bene, oserei dire serenamente, non penso alla vittoria…”
E un eventuale Premio della Critica?
“Non mi dispiacerebbe, a onor del vero…”
1969: finalmente The Niro in italiano, direbbe qualcuno...
“Anche più di qualcuno! (ride, nda). Ho iniziato a cimentarmi davvero nella mia lingua con il brano Medusa di Malika Ayane, è stata la pietra focaia. Un giorno mi chiamò un chitarrista che era con me in tour ed era a pranzo con lei; me la passò, mi disse che ami apprezzava molto e mi chiese se potevo scriverle un brano. Non mi chiese un pezzo in italiano, lo scrissi inizialmente in inglese. Poi Caterina Caselli mi disse che puntavano molto su questo brano e se potevo renderlo in italiano. Mi sentii stimolato e Malika fu la mia prima ‘cavia’ in questo esperimento (ride, nda)”.
Cosa ti aveva trattenuto fino a quel momento ad affrontare la tua lingua, nella scrittura?
“Una sorta di timore reverenziale, ero molto rispettoso. A dir la verità, agli inizi avevo provato a scrivere qualcosa in italiano, ma mi erano usciti solo brani che parlavano di donne curve su campi di riso! (ride, nda). Ci rinunciai subito e mi rilassai sull’inglese, dove riuscivo a esprimermi con meno parole, in modo più immediato”.
Hai fatto uno dei tuoi primi tour negli Stati Uniti, nel 2009 vieni invitato a Los Angeles per la prima edizione dell´H(it) Week Festival, insieme a Subsonica, Negrita e Franco Battiato, nel 2010 al South By Southwest Festival di Austin, Texas; nel 2011 la CNN ti invita a raccontare la città di Roma attraverso la tua musica per un documentario. Sembra molto forte il tuo legame con gli Stati Uniti.
“Sì, un rapporto molto intenso. Prima di andarci, c’era ancora Bush, vista da fuori sembrava conservatrice. Una settimana dopo aver caricato i miei provini su myspace, mi ha chiamato una ragazza in Arizona invitandomi a suonare a Tucson. Sono andato e mi sono innamorato follemente del deserto, dell’Arizona… è stato il viaggio della vita, sono tornato con un’apertura mentale totalmente diversa”.
Analogie e differenze nel modo di vivere e approcciarsi alla musica fra Italia e USA?
“Non ho ancora avuto abbastanza esperienze live in America per fare un parallelismo con il nostro paese, però ho notato che là c’è molta attenzione e curiosità anche verso chi non conoscono. Io del resto non posso lamentarmi, questo è il quarto anno con la Universal… Sono un po’ una mosca bianca”.
Come affronti il paragone con Jeff Buckley?
“Ovviamente, mi onora moltissimo. A posteriori, sento di essere più affine al padre, Tim, perché aveva una componente folk che lui non aveva e che io amo”.
Hai conosciuti diversi grandi artisti nel corso della tua carriera e dei tuoi live: Deep Purple, Amy Winehouse (anche se non avete parlato), Jonsi, Badly Drawn Boy… qualcuno ti ha colpito particolarmente?
“Nel 2005, ai miei inizi, Lou Barlow dei Dinosaur JR fece un tour chitarra e voce e mi chiesero di aprire un suo concerto. Si mescolò fra la gente, al cambio turno si intrattenne 10 minuti e mi riempì di complimenti. Gli lasciai un demo, prendendolo disse ‘Con questo ci farei i soldi!’. Tanti sarebbero i ricordi e gli aneddoti… Io amo stare sul palco, anche se tutti mi fischiassero, io sarei comunque felice di starci, mi sento in un ambiente familiare”.
Il brano sanremese, 1969, parla delle aspettative dello sbarco sulla Luna, della nascita di una nuova civiltà, sono state disilluse?
“L’ultimo evento positivo che è riuscito a unire tutta l’umanità. Chissà se resterà l’unico…”
Sempre che sia davvero avvenuto l’allunaggio, a dare ascolto ad alcune teorie complottiste…
“Nel testo ne faccio in parte riferimento: atterrerà sfruttando le emozioni, gli artifici, le illusioni… Però, qualora fosse, ci hanno comunque regalato un sogno. Sarebbe bellissimo se ora dicessero ‘Ok, non era vero” e così aspetteremmo un nuovo evento collettivo che ci unisca di nuovo”.
E il brano com’è nato?
“Prima la musica, anche se avevo già tutto in testa. È nato in un viaggio in Toscana, in un paesino chiamato Montieri, sperduto nelle colline metallifero, dove c’è molta magia: a pochi chilometri c’è l’abbazia di Galgano, un cavaliere che si ritirò piantandoci la sua spada. Ci sono molte leggende, e probabilmente vi fanno riferimento anche le storie di Re Artù. In quei tre giorni tornai con dieci brani in tasca, compreso 1969”.
Ami il cinema (il tuo nome d’arte non è un caso), scrivi colonne sonore. Nel 2011 firmi le musiche di “Disoccupato in affitto” di Pietro Mereu e Luca Merloni, e poi di “Mr. America” di Leonardo Ferrari Carissimi. Qual è la tua colonna sonora preferita in assoluto?
“Sicuramente Il Padrino e C’era una volta in America, dei classici. Amo anche Hans Zimmer; lavorando un cortometraggio per James Mc Teigue, avevano montato una sua musica in una scena. L’ho rifatta a modo mio, il regista e il montatore hanno iniziato a chiamarmi Zimmerino…! (ride, nda)”.
So che ami la Nouvelle Vague.
“Amo tutto di Truffaut, che con pochi mezzi a disposizione sapeva creare la magia. La vera arte di arrangiarsi. Adoro anche il primo Polanski”.
Nel 2012 esce “The Ship”, pubblicato da Viceversa Records, pubblicato in solo vinile e distribuito da EMI. Ok la digitalizzazione, ma il vinile ha un fascino intramontabile, concordi?
“Assolutamente: quando uno si disamora della musica, basta che metta su un vinile e ci fa subito pace”.
Andrea Grandi
18 febbraio 2014
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