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 RENZO RUBINO
RENZO RUBINO "SONO UN MEGAFONO DI STORIE DA RACCONTARE"
"SONO UN MEGAFONO DI STORIE DA RACCONTARE"


A volte quando fai un’intervista guardi l’orologio perché non vedi l’ora che finisca, non sapendo più che pesci pigliare per cavare qualcosa a un artista; altre volte, più rare, guardi l’orologio perché vorresti che il tempo non scadesse mai.
Intervistare Renzo Rubino (all’anagrafe Oronzo) appartiene sicuramente al secondo caso.

Nato a Martina Franca (TA) il 17 marzo 1988, Renzo dimostra uno spessore umano e artistico notevole per la sua pur giovane età; eppure, dal suo sorriso al suo modo di affrontare la vita, si percepisce uno spirito quasi fanciullesco, onesto, a tratti ingenuo, curioso fino all’inverosimile.
Come si fa a non provare naturale simpatia di fronte a uno che ha dichiarato “Per essere rock non bisogna spaccare la chitarra sul palco o avere uno stile di vita disordinato. Essere rock significa vivere fuori dagli schemi: la pennichella pomeridiana è rock, perché non la fa più nessuno».

Il cantautore 24enne pugliese, che si definisce un “canta-musica-attore” perché ha fatto anche studi di teatro e danza, è fra le Nuove Proposte del Festival di Sanremo con “Il postino (amami uomo)”, brano che presenterà nel corso della serata di mercoledì 13 e che anticipa il primo album “Poppins” in uscita il 14 febbraio, 12 brani intensi che si fanno apprezzare per l´originalità, la maturità, e l´ironia dei testi. Prodotto da Andrea Rodini (già vocal coach con Morgan a X-Factor), è presente anche l’inconfondibile tromba di Fabrizio Bosso.

Felice di essere a Sanremo?
“Certo! È un sogno che s’avvera, davvero bello”.

Tuo padre che ne pensa? So che ti voleva avvocato, tanto che tu a 16 anni hi finto di essere il pianista londinese Mister V per partecipare a un festival di musicisti di strada organizzato da lui, con capelli finti e una maschera per non farti notare da parenti e amici.
“I miei genitori all’inizio non erano d’accordo nell’intraprendere questa carriera. Poi li ho convinti”.

Con la tua musica?
“Sì, loro hanno cambiato idea quando mi hanno sentito per la prima volta a Musicultura 2011, dove ho vinto col brano Bignè. Lì si sono detti ‘Ah, però, allora questo è forte!’”.

Qual è stata la genesi del tuo primo album, “Poppins”?
“Io ci lavoro da quando ho 10 anni! È la sintesi di quello che sono e che sono stato, è un raccoglitore del mio essere. Non ho una forte appartenenza musicale, mi piacciono Lady Gaga, Enzo Jannacci, Black Eyed Peas, Piero Ciampi. Per me il Pop è anche Tom Waits, Jeff Buckley, è tutto ciò che è popolare. Io sono sempre stato appassionato di musica e di teatro, per questo amo Enzo Jannacci, a cui sono molto affezionato, e Giorgio Gaber”. 

Come componi generalmente un brano? Parti da una storia o da una linea melodica?
“Compongo per divertimento, non faccio musica perché devo ‘lavorare’. Io scrivo quando mi si stringe lo stomaco, per una necessità comunicativa. Per divertimento, per gioco”.

Cosa ti può stringere lo stomaco?
“Quando nasce la scintilla, che scatta quando osservo le cose; sono molto curioso, amo ascoltare, osservare, anche in silenzio. Ieri mattina, ad esempio, ho notato due signore sedute a parlare qui in albergo e le ho ritrovate nella stessa posizione la sera. Hanno passato la giornata a parlare, a discutere, e io mi sono arrovellato chiedendomi di cosa. Il mio gioco preferito è quando la mente vaga, e scatta il meccanismo dell’immaginazione e, poi, della narrazione”.

Quindi le tue canzoni non sono necessariamente autobiografiche, come “Lulù”, scritta per tuo nonno.
“No, sono storie che spesso mi passano vicino. Per me è autobiografico anche assimilare le storie altrui e farle proprie.’Lulù’ è una canzone d’amore che mi commuove sempre: mio nonno paterno soffre del morbo di Alzheimer, non ricorda nulla, tranne l’amore per mia nonna Laura. Non riconosce nessuno, ma chiede e ripete costantemente il nome della donna amata”.

Com’è nata la passione per la musica?
“Sono sempre stato un curioso; c’era un pianoforte scordato in casa di mia nonna, che mi ha sempre affascinato; funzionavano solo 4 note di un’ottava e solo con queste composi la prima canzone. Anche qui, l’approccio col pianoforte è stato giocoso, poi, crescendo, è diventata una necessità, fino a farmi diventare un megafono, mi sento un amplificatore delle storie mie e altrui; questo è il gioco più bello che mi potesse capitare. Volevo fare teatro ma non ci sono riuscito”.

Ma in casa tua risuonava musica?
“Sì, mia madre la domenica mattina mi svegliava sia con il profumo delle polpette che preparava e James Brown e Ray Charles. Poi mi sono appassionato anche all’opera, grazie a un Festival del mio paese”.

“Il postino (Amami uomo)”, il brano di Sanremo, è anch’essa una storia che ti è arrivata e hai voluto amplificare?
“Sì, è una storia che mi ha colpito e distrutto nella sua semplicità: un uomo, anzi, una persona che lascia la madre, il padre, il lavoro, la città, la sicurezza economica, tutto, per la costruzione di un rapporto basato sull’amore. Al giorno d’oggi i sentimenti passano sempre in secondo piano. Questa persona, grazie al coraggio, ha seguito la sua strada e si è rifatto una vita. Tutti abbiamo fatto scelte e rinunce, non solo per una persona, ma anche per le nostre passioni, come la musica”.

Tu non potresti mai abbandonare la musica per amore?
“No, lei è il mio primo amore, che non scorderò mai. Anzi, per lei ho già fatto delle rinunce e sono disposto a farne altre”.

Il tema dell’omosessualità mostra un po’ il fianco ad eventuali critiche o polemiche, specialmente nel nostro paese e specialmente a Sanremo (ne sanno qualcosa i precedenti di Federico Salvatore o Valeria Vaglio). L’avevi ponderato, quando hai scelto il brano da presentare ad Area Sanremo?
“Il brano ha un anno e mezzo, è nato da una scintilla, come accennavo prima, grazie a una storia reale, ed è nato in 10 minuti. Ero sfiduciato quando mi dissero di presentare un brano alle selezioni di Area Sanremo, dove ci avevo già provato diverse volte. Allora ho chiuso gli occhi, mi sono immaginato sul palco dell’Ariston e ho pensato di presentare la mia canzone d’amore più bella. E ha funzionato,finora”. 

È particolarmente efficace nel brano l’apporto tenorile (Matteo Falcier nel disco, David Righeschi che invece ti accompagnerà nella tua esibizione all’Ariston), quasi un dialogo inizialmente discordante e che poi si intreccia e si sovrappone, fino a un happy ending.
“Esatto, il brano finisce col sorriso, con un messaggio positivo, non sono gli amori gay disperati spesso raccontati in modo stereotipato. È un duetto quasi operistico, con una potenza vocale che io non ho”. 



Tu ami molto la musica classica.
“Moltissimo, sono un vero melomane, adoro l’opera, in primis Puccini”. 

Hai un forte legame con Modugno? Penso alla sua cover “Milioni di scintille” presente nel tuodisco, o alla collaborazione con Marcello Faneschi, arrangiatore, direttore d’orchestra e amico dello stesso Modugno.
“Domenico ha sempre cantato con vitalità, una positività incredibile, cantava sempre come fosse l’ultima volta, ecco perché faccio riferimento spesso a lui”.

Ami leggere?
“Assolutamente sì. A parte Flaiano, che è un genio, ultimamente mi sto appassionando a Sorrentino, come scrittore ha capito tutto. Mi piace anche Tolkien, che ha inventato un intero mondo parallelo. Io adoro la fantasia”.

Vieni da Taranto; la Puglia negli ultimi anni ha visto una gran proliferazione di artisti, non solo Negramaro o Sud Sound System o Caparezza, ma anche Antonio Maggio, Erica Mou, La Fame di Camilla, Radiodervish o le grandi protagoniste di Amici, Emma e Alessandra Amoroso. Perché, secondo te, c’è un tale fermento nella vostra regione?
“L’italia, in generale, è un paese che dovrebbe sostenersi grazie alla cultura, al cibo, alla bellezza. Siccome in Puglia noi siamo circondati da questa bellezza, la senti, la vivi, la accumuli e poi senti di doverla esprimere, in qualche modo”.

Senti di dover ringraziare qualcuno per essere arrivato fin qui?
“Sì, il mio produttore Andrea Rodini”.


Andrea Grandi
12 febbraio 2013

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