29 anni, da Montecchio Maggiore (Vicenza), Irene Ghiotto suscita immediata simpatia, sia per la sua riconoscibile cadenza veneta, che per la sincerità con cui si presenta e risponde alle domande.
Al Festival arriva da Area Sanremo; qualcuno la ricorderà nel cast dello sfortunato talent show Star Academy presentato da Francesco Facchinetti e chiuso dopo 3 puntate.
Ma Irene, nella gavetta, può contare anche l’esperienza coi Pensierozero, con i quali ha vinto il Premio Lunezia 2008.
Si esibirà mercoledì sera col suo trascinante brano, Baciami?.
Sei carica, Irene? O prevale l’emozione?
“Al momento sono tranquilla, è la vicinanza fisica col palco che mi caricherà. Già le scorse prove mi hanno tranquillizzato, mi sento bene, l’orchestra spacca… Magari poi in quei 3 minuti avrò il diaframma accartocciato!”
Sei più emotiva o razionale?
“Direi emotiva…”
Il carrozzone Sanremo, oltre all’esibizione, prevede una settimana intensa di impegni, interviste, promozione…
“Il cantare dal vivo, anche se l’Ariston non è paragonabile a nulla, prevede la stessa meccanica, respirare correttamente, cercare di non sbagliare… Per il resto, sono tranquilla perché non so cosa aspettarmi, non avendo mai vissuto il lato promozionale”.
Tu desideravi approdare a Sanremo?
“Sì, poi vengo da una famiglia che ha sempre seguito il Festival. Per me è importante”.
E c’è una canzone del Festival a cui sei particolarmente legata?
“Un pezzo che adoravo è Rospo dei Quintorigo. Avevo 14 anni, per me sono stati una vera rivelazione. La sua capacità di stare sul palco e la sua interpretazione mi hanno ispirata, li trovavo originali e allo stesso tempo pop”.
Il 15 febbraio uscirà il tuo primo EP, che porta il tuo nome. La sua genesi parte dal 2010, quando inizia con la collaborazione con Carlo Carcano. I tuoi riferimenti musicali sono Sia, Dirty Projectors, Bjork, Beatles. E in effetti nel disco c’è qualcosa di profondamente intimista, a tratti ipnotico, come i Sigur Ros.
“Chi lo ha ascoltato mi ha detto che è molto nordico, in effetti. Ha due aspetti, diversi ma complementari: una scrittura molto intima e cantautorale, e un sound invece internazionale. L’intento era quello di creare qualcosa di originale”.
Il brano sanremese, Baciami?, ne è un po’ l’emblema, in effetti. Pur essendo il pezzo più “acido” ed energico del tuo EP.
“Arrivo da un percorso in cui sto cercando di uscire dalla mia ‘comfort zone’, soprattutto nella scrittura, che si esprime all’inizio nella composizione, al pianoforte. Ho provato a spostarmi con un brano più tirato, costruendo un testo su un gioco di parole un po’ azzardato, con paragoni e similitudine”.
Anche il titolo stesso, un imperativo con un punto di domanda, è un gioco di parole. Come se fosse un comando con un dubbio.
“Esatto! È proprio quello che volevo esprimere, una contraddizione fra ragione e sentimento. È la prima vera costruzione cerebrale, tendevo sempre ad accontentarmi del primo risultato istintivo. I lavori di fino possono rendere speciale un pezzo”.
Non è la canzone sanremese classica, è un po’ un rischio?
“Sì, ma non avevo niente da perdere. Avevo già percorso quella traccia l’anno precedente quando presentai Gli amanti e non funzionò. Pensai così di reinventarmi”.
Tu vieni da Area Sanremo, come Renzo Rubino. Com’è stata quest´esperienza?
“Come carattere, affronto le varie sfide senza pensare all’obiettivo finale, prendo quello che viene. Nel corso delle selezioni ho avuto modo di rimaneggiare il brano, grazie anche ai preziosi consigli della commissione. Mi sono fidata e mi sono messa di nuovo alla prova. Forse hanno apprezzato anche questo tipo di atteggiamento”.
Quando ti hanno detto “Sei a Sanremo” a chi avresti voluto dire “Grazie”?
“Penso a me stessa. Sono arrivata qui con le mie gambe, come per tutte le mie esperienze, Star Academy compresa, dove avevo mandato semplicemente un provino via web. È un’esperienza di cui parlo volentieri, ha valore, la gavetta di cantare su un palco in diretta… se non ci fosse stata, ora sarei molto più agitata. Posso personalmente testimoniare la pulizia del concorso di Area Sanremo”.
Hanno scelto in base alle canzoni, come ha fatto del resto anche la commissione artistica nella scelta dei Big. Voi giovani avete, tutti e 8, brani molto diversi fra di loro, con una dimensione specifica, ma comunque validi.
“Lo penso anch’io. Ognuno di noi ha qualcosa da dire. Poi dipende da che tipo di pubblico ha e a chi ci si rivolge. Comunque vada, io sono felice di esserci… fra l’altro sono capitata nella quaterna con i 3 che preferisco, Blastema, Il Cile e lo stesso Rubino! Non voglio entrare nell’ottica della gara”.
Mi metto nei panni di un giovane artista, che arriva con le proprie gambe a Star Academy; poi quest’esperienza, non per colpa sua, termina. In quel momento prevale la speranza di potercela poi fare comunque o lo sconforto, viste le poche possibilità che l’Italia offre ai giovani?
“Alla fine sentivo di non avere niente da perdere, avevo le mie canzoni, il mio disco che poteva uscire anche da indipendente, cose che nessuno poteva togliermi. La fama non è il successo, così come il successo non fa la qualità. Non è mancanza d’ambizione, ma non mi sono mai vista come un’artista che possa raccogliere folle a San Siro, non è l’obiettivo della mia musica. Se dovessi piacere a cento persone e non a milioni di persone, vorrà dire che è così che doveva essere”.
Com’è nata la passione per la musica?
“È nata quando ero alle superiori, mia madre strimpellava la chitarra, io avevo fatto danza. Un’estate, annoiata, ho provato a prendere la chitarra e in pochi giorni avevo già un bel repertorio. Mia madre, stupita dalla rapidità e dalla naturalezza con cui ho imparato, mi ha stimolato allo studio musicale. Tutto in modo molto naturale e istintivo, a differenza di alcune ragazzine che vengono a lezione con l’idea subito di fare un provino e di sfondare”.
Qual è il tuo rapporto col web e i social network?
“Non c’è corrispondenza totale, ma parziale, ho da poco aperto l’account Twitter. Mi chiedo come qualcuno possa trovare interessante ciò che dico, forse perché io di base non vado a ‘spiare’ gli altri; ora ci ho preso un po’ la mano, anche se preferisco vivere personalmente le cose e godermele appieno che preoccuparmi subito di raccontarle a terzi”.
Andrea Grandi
12 febbraio 2013
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