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 MARCO GUAZZONE
MARCO GUAZZONE BRITISH TOUCH DI CLASSE.
BRITISH TOUCH DI CLASSE.


Marco Guazzone, 24 anni, romano, è uno dei giovani più promettenti che si esibiranno al prossimo Festival di Sanremo (se non addirittura il più promettente in assoluto).
A 6 anni inizia a studiare pianoforte, a 13 scrive le sue prime canzoni, studia composizione al Conservatorio Santa Cecilia, si trasferisce per un periodo di tempo a Londra, dove attinge come una spugna a sonorità british e internazionali (remixa persino due brani dei Radiohead, Nude e Reckoner) e trova come produttore Steve Lyon, già all’opera con Paul McCartney, The Cure, Depeche Mode.
 
Tornato in Italia, tenta la strada del Festival partecipando a Sanremo Social con l´emozionante Guasto; prima accede nei 60, su oltre 1.200 candidati e, infine, viene selezionato dalla commissione presieduta da Mazzi e Morandi fra i 6 che si esibiranno sul palco dell’Ariston.
 
Accanto avrà la sua band, gli Stag (Giosuè Manuri alla batteria, Andrea Benedetti alla chitarra, Suelo Rinchiusi al basso, Stefano Costantini alla tromba).
 
 
Come stai, emotivamente, all’alba del Festival?
“Stranito, per me è una cosa totalmente nuova e che non mi aspettavo. Ci ho messo un po’ di speranza ma non vere e proprie aspettative, ho imparato a rimanere sempre coi piedi per terra. Già quando il brano è passato nei 60 era per me la vittoria più grande; quando poi sono risultato nei 6 ero convinto ci fosse un errore! È tutto nuovo, interviste, promozione… e lo accolgo con gioia e serenità”.
 
Sei anagraficamente giovane, ma hai già una bella gavetta alle spalle, specialmente in fatto di live (oltre 200, anche col tuo gruppo, gli Stag).
“Sì, spero sia abbastanza per affrontare come si deve il palco dell’Ariston!”
 
Come è avvenuto l’incontro artistico con Steve Lyon?
“Dopo aver lasciato l’Università, Lettere, perché non riuscivo a dedicare alla musica il tempo che volevo, nel 2008 sono andato a Londra, prima dai miei zii e poi, per voglia di indipendenza, ho cambiato sei case, da amici! Lì c’è stato il primo incontro con Steve, che si è concretizzato poi quando sono rientrato in Italia tramite la Sunny Bit, la piccola etichetta con cui ho cominciato a lavorare; lui, per partecipare al progetto, ha più che dimezzato il suo cachet, a dimostrazione di quanto ci credeva. Ha seguito l’evoluzione di ogni pezzo con molta attenzione ed è entrato completamente a far parte della squadra; ha concretizzato le nostre idee musicali in un vero prodotto; a Sanremo, dietro le quinte, ci sarà e vorrei mi seguisse anche per il tour che ne seguirà”.
 
Inizialmente scrivevi brani in inglese, ora ti stai concentrando sulla tua lingua madre?
“Quando ho saputo che era confermata la partecipazione di Lyon, mi sono detto: bene, non devo scrivere in italiano, vado a Londra a registrare… E invece la spinta a scrivere in italiano è venuta proprio da lui, dicendomi che era importante che io sapessi scrivere in modo convincente in inglese, però qualsiasi artista all’esordio discografico deve farlo nella propria lingua per risultare più credibile; in Italia l’inglese è ancora poco conosciuto. Questo mi ha spinto a lavorare sull’italiano in modo preciso e dettagliato, in un percorso graduale e molto naturale, senza ansie e pressioni”.
 
Come sarà il tuo EP di esordio, che uscirà prossimamente?
“Conterrà brani in inglese e in italiano e qualcosa di strumentale… Abbiamo fatto un lavoro di scelta di brani, molti più in inglese che in italiano.. c’è stata la guerra in questo, ma mi sono fidato di Steve”.
 
 
Si sente musicalmente che sei stato a Londra: Coldplay, Muse, Radiohead..
“Sì, le band col pianoforte sono la mia prima ispirazione, vengo da studi classici, Chopin è il mio spirito guida.
 
E per l’Italia?
“Sono partito dagli autori che hanno reso l’italiano una musica perfetta, ossia Tenco, De Andrè, Battiato. E l’ho fatto con testi accessibili e immediati, intensi”.
 
La tua è una musica molto cinematografica, che richiama i Cinematic Orchestra che so tu ami molto; non a caso hai studiato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma: ci sono dei film, o delle loro colonne sonore che ti hanno influenzato particolarmente, nel tuo percorso artistico?
“Beh, ci sono tutti gli intoccabili, Morricone, Hans Zimmer… E soprattutto, Danny Elfman, che ha firmato praticamente tutte le soundtrack dei film di Tim Burton, che mi sono rimaste nel dna, nel mio immaginario da bambino, con i cori, le sonorità magiche, le strutture, gli accordi… o come la soundtrack di “Milk”. Love will save us è ispirata a lui e alla sua arte. Ma mi ispiro anche a Yann Tiersen e le sue contaminazioni bandistiche, come la fisarmonica”.
 
Hai studiato anche canto?
“Mi reputo molto poco cantante… ho iniziato da autodidatta, prendo lezioni da un anno, circa. Senza pianoforte mi sento perso, non riesco a cantare solo con un’asta davanti”.
 
Dai tuoi brani traspare malinconia ma con un occhio rivolto alla speranza, al cambiamento.
“Sì, esattamente. Per me scrivere e raccontare le mie emozioni in musica, oltre a essere un privilegio, è il modo migliore per affrontare in modo costruttivo periodi bui e di crisi. Se lo racconto, significa che l’ho già superato, anche se magari resta un velo di malinconia”.
 
Come nasce il brano Guasto?

“Dal nome di un suggestivo borgo vicino a Isernia, in aperta campagna, dove la scorsa estate mi sono esibito con un pianoforte davanti al sagrato della chiesa. Improvvisando è nato una sorta di demo, che poi ho lavorato; concettualmente mi ha permesso di raccontare una storia, non necessariamente d’amore, negativa che però mi ha reso una persona più forte e più saggia. È un brano che mi rappresenta bene anche a livello musicale, nato dal pianoforte ma con un lavoro di arrangiamento fra i più completi, con una parte intima e romantica, poi rock, con il ritornello che si apre con una chitarra distorta, e infine l’elemento elettronico, con i sintetizzatori”.

 



Qual è il tuo brano preferito in assoluto?
“Credo Minuetto di Mia Martini, completa, complessa, con una voce storica… e poi, sarò ripetitivo, anche per il pianoforte!”
 
Eurovision Song Contest: ci pensi, ci speri?
“Per me sarebbe un vero onore, anche se a dire il vero ne sono venuto a conoscenza solo quest’anno. Ma ora devo pensare prima a Sanremo!”
 
Qualche soddisfazione particolare che ti sei tolto ultimamente?
“Quel genio di Moby, del quale ho aperto il suo concerto romano nel 2011, che si è complimentato con me e ha mostrato apprezzamento per la mia musica”.
 
 
 
Crediti foto: Alessandro Cantarini
 
 
 
Andrea Grandi
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