La milanese Clara Elena Moroni, vera e propria “self made woman”, cantante, autrice, compositrice, arrangiatrice (fedele al suo Mac e ai suoi sintetizzatori), oltre che collaboratrice e corista ormai di lunga data di Vasco Rossi (che l’ha definita “la Ferrari del rock”), è tornata con un nuovo disco di inediti, “Bambina brava”, dopo i precedenti Chi ha paura di chi (1990), Spiriti (1992, entrambi col progetto Clara & Black Cars) e Ten worlds, del 2004: 8 inediti in pura chiave rock, più tre cover di famosi brani internazionali (Maniac di Michael Sembello, Take on Me degli A-ha e Because the Night di Patty Smith), oltre all’adattamento italiano di Who Knew di Pink, diventata Io Non Piango Più, primo singolo estratto dal disco.
Ora in radio arriva 1000 notti, duetto con il rapper Don Joe dei Club Dogo.
Com’è nata la collaborazione con Don Joe nel nuovo singolo 1000 notti e con il chitarrista statunitense Stef Burns?
“Io e Stef siamo amici, ci siamo conosciuti collaborando entrambi con Vasco. La collaborazione con Don Joe, invece, è nata perché quel pezzo necessitava una parte rap; lui è molto bravo, secondo me rock e hip hop creano un crossover molto interessante ed energico”.
“Ten worlds” era un disco completamente in lingua inglese: sei tornata all’italiano, a parte le cover e il brano I feel you?
“È stato un cambiamento voluto, anche se non facile, perché sono cresciuta sempre con musica inglese e americana. Non seguivo neanche Vasco, tanto per dire..! Sono partita comunque da testi in inglese e, lentamente, sono riuscita a limarli e trasporli in italiano, rendendoli credibili. Sono molto soddisfatta di me stessa per essere riuscita nell’impresa..! È stata una piccola rivoluzione!”
In ogni brano c’è un anelito verso la libertà e il desiderio di rinascita e di riscatto.
“Sì, infatti avrei voluto intitolare l’album “Rivoluzione” ma, visti i tempi, ho preferito cambiare… Anche se il brano parla di una rivoluzione umana e interiore, non sociale; partire da una situazione e, come una crisalide, mutare forma e liberarsi da ogni costrizione”.
Ed è il percorso che stai attraversando tu, in prima persona?
“Beh, già lottare e non restare nell’ignavia ti fa sentire viva. Le rivoluzioni poi si fanno non tanto per noi stessi quanto per gli altri: se siamo felici noi, lo sono anche gli altri. Perché cambiare noi stessi è un po’ come cambiare il mondo”.
E, secondo te, questo mondo di che tipo di rivoluzione ha bisogno?
“Sarebbe già bello se anche solo una volta all’anno ci fosse un giorno dedicato alla verità, dove nessuno può dire bugie, nemmeno a se stesso. Già questo sarebbe una rivoluzione radicale!”
C’è anche lo spazio per sentimenti introspettivi: in I feel you si percepisce la mancanza di una persona cara.
“Sì, è vero. Vivere una vita on the road ti porta comunque a sentire una voce superiore, non riferita necessariamente a Dio. Io non sono credente ma sono buddista. Ho perso entrambi i genitori e, forse, inconsciamente, ho pensato a loro scrivendo questo brano”.
Un aspetto di te sensibile e intimista, non necessariamente in contrapposizione con l’immagine di donna forte e cazzuta che hai. Tu hai dei riferimenti femminili che stimi?
“Quando era piccola, adoravo Emma Peel, protagonista del telefilm “Agente Speciale” (recentemente interpretata da Uma Thurman in “The Avengers”). Lei era molto di classe ed elegante però forte e indistruttibile. Le donne in genere sono più coraggiose, si espongono di più, ce la mettono tutta per ottenere qualcosa, perché per loro è molto più dura, soprattutto nella musica, soprattutto nel rock e soprattutto in Italia”.
Ecco, parlami di come vedi tu il panorama rock italiano.
“Semplicemente non c’è un panorama rock. Manca la cultura rock, manca l’indipendenza delle donne nella musica. Specialmente quelle più popolari sono poco libere, poche donne che scrivono, suonano, producono. La Nannini, ad esempio, è sicuramente un personaggio rock, i suoni sono rock ma le melodie no. Il rock per me è un’altra cosa”.
Perché la scelta delle cover Maniac, Take On Me e Because the night, oltre alla traduzione di Who knew di Pink?
“Sono nate un po’ per caso, studiando il sound per la band, volevo fosse il più possibile fresco. Volevo riarrangiare pezzi triti e ritriti e dar loro nuova vita e nuova veste musicale. Sulla carta sembrava impossibile Take on me, invece credo sia uscita una bomba d’energia, che se fosse stata prodotta dagli Evanescence sarebbe stata una hit mondiale”.
Sei musicalmente più legata agli anni ’70 o agli ’80?
“Agli ’80, purtroppo, perché ci portiamo dentro il bagaglio del vissuto. E il mio imprinting sono stati sicuramente gli ’80”.
Le esperienze all’estero (Inghilterra, San Francisco) quanto hanno influito sulla tua musica?
“Moltissimo, anche per la differenza di vita e di mentalità. Per loro il rock è come per noi il liscio…”
Ti mancano gli USA?
“No, in America non si vive molto bene; è un paese molto classista e molto poco democratico, a meno che tu non sia ricco. La maggior parte delle persone è povera, mangia male, vive male. Si sta molto meglio qui in Italia”.
Hai un rapporto speciale col Giappone (dove hai partecipato a molti eventi musicali): come hai vissuto le ultime, tragiche vicende di questo paese?
“L’ultima volta che ci sono stata, un anno e mezzo fa, già ho percepito in loro la consapevolezza di non essere più il paese leader del continente asiatico, sentono molto la competizione con i cinesi. Quando è avvenuto il terremoto, ero in contatto con il general manager di un’etichetta giapponese e mi diceva che era a casa, a “ballare” per le scosse senza poter fare nulla. Per loro l’impotenza, non avere il controllo della situazione e non poter agire è la cosa più assurda. Così come dimostrarsi deboli proprio su quello che era un loro vanto, la tecnologia, nel caso dell’impianto di Fukushima. Fosse successo 200 anni fa, ci sarebbero stati suicidi di massa”.
Tu hai un’idea specifica sul nucleare?
“Io sono totalmente contraria perché so che non è assolutamente necessaria, è strumentale solo per affari privati. Con il sole che abbiamo a disposizione in Italia, potremmo avere solo col fotovoltaico quattro volte l’energia che ci fornirebbe qualsiasi centrale a costi contenuti e, soprattutto, senza pericolo”.
Cosa ascolti?
“Il mio primo amore musicale sono stati i Sex Pistols; ultimamente non ascolto moltissima musica e di un album ascolto solo pochi estratti; comunque io ho gusti molto british: adoro i Korn, gli Oasis, i Killers e, soprattutto i N.E.R.D., un crossover incredibile fra soul, black, rock e rap. I loro primi 2 album sono stati dei capolavori”.
Com’è l’attuale rapporto col Komandante?
“Onesto come sempre; dopo essere stata la seconda voce nel suo nuovo album “Vivere o niente”, stiamo facendo le prove per il nuovo tour”.
Il live è il tuo ambiente naturale?
“Sai che forse ora preferisco la parte produttiva, far le nottate in studio? Se in Italia ci fossero soldi nella musica, mi piacerebbe fare da produttrice per giovani rock band”.
Dei talent che mi dici?
“Sono tutti molto bravi e mi piacciono…per i primi 5 minuti”.
Ci sono collaborazioni artistiche che sogni?
“Mi sarebbe piaciuto avere Pharrell Williams nel mio disco. Ma anche Fabri Fibra, che è ormai un sex symbol!”
Tu sei milanese. Come vedi Milano oggi?
“Non c’è più niente, non ci sono locali. È diventata una città un po’ triste, un mortorio… Ormai è la città dei wannabe, che si fanno un giro in Corso Como e cercano di entrare all’Hollywood; Milano ormai è tutta qua”.
Andrea Grandi
(16 maggio 2011) |