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 PINK IS PUNK
PINK IS PUNK PINK IS TREND
PINK IS TREND

Chi meglio di due rinomati DJ può dialogare con gli studenti di una scuola di moda di tendenze, immagine e musica come fenomeno di costume? Andrea Mazzantini e Niccolò Vignali, meglio noti come Pink Is Punk, album di debutto di recente pubblicato (“Skull And Banana”, per la Do It Yourself e distribuito dalla Universal), si sono prestati all’incontro con gli studenti della fashion academy milanese Up To Date.

Sulla scena dal 2005, i due hanno condiviso la consolle anche con Crookers, Bloody Beetroots, Congorock e suonato all’MTV Day, all’Heineken Jammin’ Festival e al 20° anniversario del Cocoricò assieme con i Chemical Brothers. Niente male per due ragazzi partiti dalla ‘piccola’ Milano…

“Ci conosciamo dai tempi della scuola”, spiega Andrea, “Abbiamo creato il party Pink is Punk io e Marcelo Burlon (noto PR milanese); però poi le cose sono andate in crescendo e mi sono reso conto che da solo non potevo suonare tutta la sera, così ho chiamato Nico a darmi una mano”.

Tutto è iniziato al Bond, storico locale della Milano che fa tendenza, e da lì poi sono arrivate le serate BuggedOut!, i Magazzini Generali e i club principali della scena italiana ed internazionale, e oggi il disco.

Vi presentate come “One team. One name. Two minds. Four hands. Two headphones”. Quanto conta essere in due in un DJ set?
A. “Per noi tantissimo. Perché mentre uno mixa ed è sul disco, l’altro può guardare quel che succede in pista. Così hai sempre il controllo della situazione, riesci a mantenere il contatto sulle vibrazioni del pubblico. Per noi è importantissimo percepire la reazione di chi sta sotto la consolle”.
N. “Suonare in coppia è molto bello ma allo stesso tempo impegnativo perché non sai mai cosa farà e mixerà dopo di te il tuo socio. Resti sempre sulla corda, ma questo è uno stimolo alla spinta creativa”.

Come avete visto cambiare la figura del DJ nel corso degli anni?
A. “Molto. Anni fa era inarrivabile, stava lassù a mixare musica per tutta la notte e la gente sotto ballava. C’era molta distanza tra il DJ ed il pubblico, non solo fisica”.
N. “Oggi invece è cambiata la struttura della notte. Non c’è più un solo DJ a mettere i dischi per l’intera serata, di solito c’è un warm-up seguito da uno o due main DJ set veri e propri e poi c’è chi fa la chiusura. È quasi una maratona, uno show”.
A. “E la gente vuole guardarti negli occhi, vedere chi sei e come lavori. Si accalca sotto la consolle perché è te che vuole vedere; in questo maniera, con il contatto diretto col pubblico, ti viene naturale dare sempre il massimo”.

Ci siete voi insieme a Crookers, Bloody Beetroots, Congorock e molti altri: Possiamo parlare di una sorta di nuova Età dell’Oro per quanto riguarda DJ e produttori italiani?
A. “Assolutamente, il fatto è che ci sono grandi talenti in Italia però in pochi lavorano sulla coesione. Si cerca di arrivare con le proprie forze senza cercare l’aiuto di nessuno. Spesso si finisce all’estero perché altrove questi meccanismi funzionano meglio”.
N. “Per dire, in Francia non è così, se un’idea funziona ci si mette insieme in tanti per farla funzionare meglio, e così l’idea diventa realtà di quartiere e poi cresce sempre più fino a diventare un fenomeno internazionale. Qui non c’è questa cultura collaborativa, non ci sono sforzi volti a creare qualcosa di ‘nazionale’”.

 

 

Com’è il popolo del clubbing?
A. “Il nostro pubblico è giovane, dai 18 ai 25 anni, ognuno con un proprio stile ben definito; dipende poi molto dalla collocazione geografica del club. Quando abbiamo iniziato tutti erano coloratissimi seguendo la moda nu rave che arrivava dall´inghilterra, si cercava il pezzo unico, la t-shirt con la scritta particolare che hai soltanto tu, la sneaker comprata su Internet prodotta per il mercato giapponese…”.
N. “Oggi ci sono un po´ meno colori fluo ma i ragazzi sono sempre molto attenti a quello che indossano”.

Quanto conta l’immagine per voi?
N. “Beh noi non è che ci badiamo più di tanto, però certo che conta; essendo in due occorre mantenere una certa linea, anche solo per evitare di vestirsi uguali!
A. “Abbiamo anche una linea Pink Is Punk prodotta in collaborazione con bastard, con t-shirt, jeans, giacche di pelle, tutto ciò che ci piacerebbe indossare lo abbiamo disegnato e caratterizzato con il nostro stile, le nostre grafiche e i nostri loghi.

Il vostro logo è appunto un triangolo. C’è un particolare motivo dietro questa scelta?
A. “No, nessun motivo esoterico… Quando abbiamo iniziato eravamo in tre, poi il triangolo c’è sempre piaciuto”.
N. “Nasciamo tutti e due come graphic designers, e abbiamo sempre curato noi la nostra immagine ma l’artwork di ‘Skull & Banana’ questa volta abbiamo scelto di collaborare con Zamoc un bravissimo illustratore italiano”.
A. “Fa riferimento al mondo dello skateboarding dal quale veniamo. Negli anni ´90 le tavole da skate spesso ritraevano teschi, fiamme e spade un´immagine molto legata allo stile metal, poi un artista fece un dissing con una grafica molto irriverente mettendo nelle mani dello scheletro al posto della solita spada, una banana. Quella tavola venne chiamata appunto ‘Skull & Banana’ e ci sembrava un titolo perfetto per riassumere lo spirito del nostro album ”.

Anche il vostro nome si presta a diverse interpretazioni.
A. “È un gioco di parole, lo abbiamo scelto apposta”.
N. “E poi accosta due elementi apparentemente lontani, il rosa ed il punk. C’è contaminazione già nel nome Pink Is Punk, e la nostra musica è incontro e scambio di generi, c’è l’elettronica e c’è l’hip hop, il punk e la techno”.

web: www.pinkispunk.org

Elisa Bellintani
(28 febbraio 2011)

 TUTTO SU PINK IS PUNK

2011
Skull & Banana

2009
Double Trouble EP
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