Marco Menichini, 21 anni da poco compiuti, da Latina, è uno dei giovani più interessanti nella competizione dei Giovani per Sanremo 2011. Faccia pulita che buca il video, voce calda e interessante che si è modellata su pop, r&b, soul e gospel. Il brano che presenta al Festival, “Tra Tegole e Cielo”, è una ballata intensa dalla spiccata vena melodica che ben ne mette in risalto le qualità vocali. Marco si è presentato da indipendente alle selezioni e successivamente, dopo essere entrato nei 9 semifinalisti, ha avuto l’avvallo della Universal Music.
Parlami del tuo prossimo EP.
Uscirà a breve, dopo Sanremo, e avrà diverse influenze musicali e stilistiche, dalla ballata tradizionale (come il pezzo di Sanremo), al folk, pop, rock, r&b. Sono molto soddisfatto della scelta dei brani.
“
Tra Tegole e Cielo”
è stata riarrangiata più di una volta, fino a trovare la forma attuale. Sei un perfezionista?
Sì, e sono molto autocritico; la versione originale proposta alla commissione era in realtà una semplice demo, così come la versione che girava in radio fino a ieri e nel videoclip. Il nuovo arrangiamento ora è stato cucito in modo più opportuno alla mia vocalità e al mio mondo. Ora il brano ha più sfumature rock.
Hai una buona estensione vocale che ti permette di coprire bene sia le note basse che quelle alte.
Sì, anche se io in genere preferisco curare i colori della voce, che sono più complessi, rispetto all’estensione, non amo giocare con le tessiture troppo alte. Il mio obiettivo è trasmettere emozioni alla gente, non mi importa niente di dimostrare in modo manieristico le mie capacità. Studiando chiunque può cantare bene, è quello che riesci a far passare di te e della tua anima il quid in più che può farti fare il salto di qualità. Personalmente, prediligo le voci aperte e calde.
Talent sì o talent no?
Nì. Nel senso, ci ho provato sia ad Amici che a X-Factor, dove mi volevano inserire in un gruppo vocale; io rifiutai, vedendo la fine che in genere fanno i gruppi vocali in Italia, a parte il Quartetto Cetra e i Neri Per Caso. Credo che l’era dei gruppi vocali sia terminata, ora la gente vuole concretezza e brani di maggiore spessore, non semplici tormentoni. O almeno, lo spero!
Canti spesso in inglese, quale lingua preferisci?
Generalmente non ho una preferenza; certo, dipende dall’anima del pezzo. L’inglese è comunque più facile da gestire, grazie alle sonorità più morbide e duttili, rispetto all’italiano, che ha una metrica più rigida. È più difficile sia cantare che scrivere un brano nella nostra lingua.
Stai facendo prove tecniche da cantautore?
Non amo definire troppo schematicamente i ruoli, interprete o autore. Anch’io ho provato a scrivere musica e parole, quindi potrei definirmi cantautore, ma in realtà non lo sono affatto. Mi sono presentato a Sanremo come interprete, ma preferisco la definizione di “fabbricante di musica”.
Le tue influenze musicali?
Ascolto tutto ciò che riesce a farmi crescere e stimolare, per evolvermi. Spostare la mia asticella sempre più in alto. Tra gli artisti che preferisco, su tutti Christina Aguilera, che a livello vocale e interpretativo per me è il top, anche perché amo lo show americano. Tra gli italiani, ho un debole per quelli camaleontici, capaci di mettersi sempre in discussione, come Renato Zero e Anna Oxa.
A chi dedicheresti eventualmente una tua vittoria?
A tutte le persone che mi hanno voluto qui: chi mi ha televotato, i parenti e amici che mi hanno sostenuto. E, perché no, a me stesso.