Riascoltando l´omonimo esordio dei Verdena, datato ormai 1999, viene da chiedersi quanti si aspettassero che il trio bergamasco sarebbe stato ancora lì dopo 11 anni e 4 album, sopravvivendo alle insidie del mondo indie e convivendo con una major senza cedere a facili tentazioni di successo, una storia d´altri tempi che in quest´epoca di meteore e successi in provetta sembra ancora più incredibile. Fatto sta però che giunti al quinto lavoro di studio i Verdena sono più forti e sicuri che mai, della propria musica e delle proprie capacità, tanto da sfornare un album monolitico come “Wow”, talmente caleidoscopico che per spiegarlo ci vorrebbe un magazine a parte: nella speranza di una sintesi abbiamo chiesto direttamente ad Alberto Ferrari, frontman e leader della band.
Partiamo dal principio: cosa è successo in questi tre anni di silenzio totale?
“Mah, nulla di che, sono stati tre anni passati in sala prove solo con l´idea di fare un disco che ci piacesse, e siamo molto felici del risultato. L´isolamento è dovuto al fatto che preferiamo stare a casa nostra, dove abbiamo il nostro studio e i nostri amici... Non ci va di andare a vivere a Milano”.
Molto banalmente, la cosa che colpisce subito è che “Wow” è un disco doppio. Perché?
“Non è stata una scelta ma una cosa spontanea: in questi anni abbiamo composto molti pezzi, e visto che siamo stati fermi molto ci piaceva l´idea di fare un doppio album. Per fortuna abbiamo anche fatto una scrematura, cercando di includere brani il più possibile diversi tra loro”.
Con che criterio avete costruito la scaletta? Dev´essere complicato gestire 27 canzoni...
“Eh, è stato molto difficile! Ogni brano ha un peso sull´altro e ci deve essere una determinata successione... Il problema è che per fare questo ogni volta il disco va ascoltato per intero, quindi è stato un lavoro lungo. Penso però che il fatto che sia un doppio album sia molto positivo perché c´è uno stacco obbligato che alleggerisce l´ascolto: ad un certo punto ´Wow´ doveva essere di 25 canzoni su un supporto unico, ma abbiamo insistito con la discografica per poter fare un doppio. Alla fine il 27 è uscito come il numero perfetto... Non saprei dire il perché, è stata una scelta istintiva”.
Prima hai parlato di ´includere brani diversi´, ed effettivamente il risultato è un album molto variegato. Perché avete tenuto questa linea anziché fare un album più omogeneo?
“L´idea era quella di dare al disco tre colorazioni diverse, come fosse una scacchiera a tre colori: ci sono l´acustico, l´elettrico e il pianoforte. Poi ci sarebbe anche un quarto colore...”.
... La voce? Diversamente dai vostri lavori precedenti, utilizzate la voce come uno strumento al pari degli altri: c´è un´attenzione particolare per i cori, addirittura ci sono dei brani vocali.
“Sì, i cori sono una cosa a cui non avevo mai prestato attenzione e ci abbiamo lavorato molto: anche nello scrivere i testi mi sono concentrato molto sul suono della voce più che sulle parole... Per me un testo deve dare colore al brano, non mi interessa raccontare una storia, preferisco fantasticare”.
In questa varietà di stili perché avete scelto Razzi Arpia Inferno e Fiamme come singolo?
“Credo perché è stato il primo che abbiamo scritto per il disco, e anche il primo che abbiamo fatto sentire in discografica... Tanto è impossibile trovare un solo pezzo che spieghi per intero ´Wow´!”.
E´ vero, ma se dovessi indicare dei brani chiave, per capire meglio, quali sarebbero?
“Non saprei, è molto difficile da dire... Credo che Sorriso in spiaggia Part I e II rappresentino bene il disco, ma per avere un´idea completa ci vorrebbero anche Le scarpe volanti, Lui gareggia e Castelli in aria. E ovviamente ancheRazzi Arpia Inferno e Fiamme”.
Rispetto a “Requiem” si sente un notevole cambio stilistico, o almeno è venuta alla luce quella componente psichedelica che prima era solo abbozzata e ancora nascosta dalla patina heavy...
“La realtà è che dopo ´Requiem´ abbiamo avuto un rigetto totale e abbiamo completamente rivoluzionato i nostri ascolti; e anche scrivere col pianoforte ci ha aperto il cervello su molti aspetti della nostra musica. Sentivamo di aver raggiunto un punto fermo e volevamo voltare pagina per iniziare un nuovo capitolo... E poi in fondo fare cose nuove è molto più divertente!”.
Tra questi nuovi ascolti, quali sono stati quelli che vi hanno influenzato di più?
“Non parlo per gli altri, ma la mia scoperta maggiore è stato Brian Wilson, che non avevo mai ascoltato, una vera rivelazione. Poi gli MGMT, con cui abbiamo anche diviso il palco, sono stati molto importanti: pensa che avevamo intitolato un brano MGMT perché ci ricordava un loro pezzo, poi lo abbiamo cambiato con Miglioramento”.
Se non sbaglio è lo stesso caso di Loniterp, un anagramma di Interpol. Giusto?
“Ci sembrava un pezzo degli Interpol e fino all´ultimo si chiamava così, poi Luca ha tirato fuori l´idea di chiamarlo Loniterp. Ogni nostro brano nasce con un nome che si basa su qualcosa che quella musica ci ricorda... Però chiamare una canzone Interpol ci sembrava eccessivo”.
Visto che parliamo di titoli e affini... Perché avete intitolato l´album “Wow”?
“E´ venuto fuori per caso ad inizio lavorazione e si è attaccato al disco. Lo ha proposto Luca, credo lo abbia letto in fumetto o qualcosa del genere... Cercavamo un palindromo, e ci è sembrato perfetto perché dà anche un senso di positività che volevamo dare a tutto il disco, in opposizione a ´Requiem´ che era molto cupo. Non che ´Wow´ non sia triste, ma diciamo che è un po´ più solare”.
Quindi “Requiem” è cupo, e tu stesso hai definito “Solo un grande sasso” come cosmico e “Il suicidio del samurai” come rude... Che definizione daresti per “Wow”?
“Bella domanda! Fammi pensare... Accidenti... (10 secondi di silenzio)... Magico!”
web: www.verdena.com
Alberto Lepri
(18 febbraio 2011) |