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 WHITE LIES
WHITE LIES RITUALE ROCK
RITUALE ROCK

Negli ultimi anni la riscoperta degli anni Ottanta ha segnato in maniera decisa la scena musicale internazionale. Band come Interpol, The Killers... Sono un chiaro esempio di questo concetto, che rilancia unŽera che ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica, un flusso di riferimento che ha richiamato un grande numero di estimatori, che hanno saputo reinterpretate e attualizzare uno stile di grande spessore emotivo e interpretativo.

I White Lies Fanno parte di questa corrente che coniuga due epoche tra loro complementari: le proposte contemporanee di Editors e Interpol, nonché di storiche band post punk anni Ž80 quali Joy Division, Echo & The Bunnymen, Teardrop Explodes e The Sound.

Nati nella patria della new wave, i White Lies si sono fatti subito notare per le loro cupe e profondo sfumature sonore, dando un imprinting moderno a un suono che non snatura le sue linee tradizionali, ma ne arricchisce la sostanza. A dare forma a questo trio sono tre giovani ragazzi: Harry McVeigh (voce solista, chitarra ritmica, tastiere), Charles Cave (basso, cori e autore dei testi) e Jack Lawrence-Brown (batteria).

Un exploit raggiunto in maniera fulminea. Il tempo di pubblicare il disco di debutto “To Lose My Life” e subito i riflettori si sono accesi sul trio londinese, senza mai avere cali di tensione e diminuire lŽintensità della loro musica. Hanno conquistato il pubblico solo grazie alla loro arte, non hanno mai puntato e mai punteranno sullŽimmagine. Sono arrivati con un profilo timido, hanno ottenuto un successo superiore alle aspettative.

Anche lŽItalia ha dato il suo contributo alla band dŽoltre Manica, riempiendo i concerti che hanno tenuto nel nostro Paese. Dopo i fasti del loro debutto era giunto il momento di prendersi un meritato riposo, defilarsi, allentare la pressione dello star-system e pensare al secondo lavoro; scrivere il materiale per dare un degno seguito ad uno dei lavori più considerati del 2009.

Per dare un senso al loro nuovo progetto intitolato “Ritual”, hanno deciso di affidarsi ad uno dei produttori più famosi sul mercato e hanno chiamato al banco di regia Mr. Alan Moulder (NIN, Depeche Mode, Smashing Pumpkins...).

Hanno saputo interpretare con acuta sintesi il mood dark che stava vivendo la Gran Bretagna, adesso hanno aggiunto dei nuovi elementi al loro suono, ma il distillato che si produce ha la stessa intensità e frequenza che solo loro sanno imprimere.

Adesso sono pronti a tornare con un nuovo lavoro e un tour. Per conoscere come sono nate le nuove canzoni e le aspettative di questa seconda fase del progetto, abbiamo scambiato due parole con un eloquente e soddisfatto Charles Cave. Consapevole di quello che hanno smosso con il loro esordio, è altrettanto convinto della validità di “Ritual” e delle sue potenzialità.

Con “To Lose My Life” avete raccolto un ampio consenso, era necessario staccare prima di rimettersi al lavoro?
“La nostra etichetta ci ha lasciato tutto il tempo necessario per completare il nuovo album. Ha deliberatamente evitato di metterci pressione, cosciente del fatto che già lŽintero sistema ci aspettava al varco. Da questo punto di vista non avevamo dead line vincolanti. A questo punto abbiamo deciso di prendercela con calma e lavorare lentamente. AllŽinizio del 2010, circa sei settimane, le abbiamo dedicate alle nostre famiglie e amici, un periodo di relax a fare cose che non facevamo da molto tempo. Però come band rimanere troppo tempo senza fare nulla diventa una condizione noiosa. LŽintero processo di making of del nuovo disco è durato quasi quattro mesi, dalla prima nota scritta alla fine della registrazione. Prendere le distanza dal circuito ha giovato, ci ha permesso di trovare il giusto spazio e serenità per la stesura dei brani”.

Dove si è concentrata la fase di incisione e come si è svolta?
“Abbiamo fatto tutto in una sola fase, senza interrompere il flusso creativo. Abbiamo sempre optato per questa soluzione, un approccio continuativo. Londra è stata la base operativa, presso gli Attack & Battery Studios. In totale abbiamo scritto 16 canzoni. Abbiamo iniziato da una fase demo, per poi affrontare tutti insieme lo sviluppo dei brani. Quello che posso dirti che i demo erano più elettronici del take finale”.

Musicalmente “Ritual” è più ambizioso del suo predecessore?
“Assolutamente si. ŽTo Lose My LifeŽ è stato concepito con uno spirito diverso. Era il primo CD, non avevamo il polso della situazione. Aveva un sound definito, quello di un set realizzato in 2 mesi. Per il nuovo lavoro le cose sono state diverse. Più esperienze e la possibilità di definire quello che volevamo fare a livello sonoro. Il risultato è sorprendente e la gente sarà sorpresa del profilo che abbiamo delineato per ŽRitualŽ, non distante dal nostro sound, ma diverso. A definire questo nuovo concetto musicale ha contribuito Alan (Moulder), portando con sé un bagaglio di esperienza incredibile, che ha condiviso con le nostre idee, fonte primaria di ogni canzone. Lui ha saputo rendere le nostre sensazioni più solide e ruvide. Ha avuto un forte impatto, già nella fase embrionale è stato molto vicino al progetto. Tutti noi volevamo essere coinvolti ed eravamo dŽaccordo nel chiamare Alan (Moudler). Solo lui conosce delle tecniche capaci di creare certi tipi di suoni, sopratutto con le chitarre. Lavorare con lui è stato un viaggio straordinario, avere al proprio servizio un professionista che nel giro di pochi tocchi può ottenere quello che intendevi raggiungere. Questo aspetto è molto importante per noi, in studio è stata unŽopportunità didattica irripetibile”.

Da un punto di vista lirico quali sono gli elementi distintivi del nuovo album?
“Posso confessarti che ŽRitualŽ liricamente è più intenso. EŽ stato aggiunto valore ad ogni area creativa grazie alle nozioni acquisite negli ultimi anni. Per quanto riguarda gli argomenti trattati dalle canzoni sono essenzialmente tre: amore, morte e religione. Le canzoni del primo erano più personali, introverse e in alcuni frangenti estroverse. Penso che i nuovi brani abbiano cambiato le scene e le angolature interpretative”.

I White Lies hanno un forte appeal live. In studio cŽè la stessa intesa? Come vivete le due fasi operative della band (live-studio)?
“La nostra professione è ciclica. Si va in tour per un paio di anni fino allŽesaurimento. Completato questo impegno cominci a scrivere le nuove idee e sei completamente fuori dal sistema. Dopo aver trascorso così tanto tempo in giro per il mondo a suonare, hai la necessità di fare qualcosa di creativo, anche se i live a loro modo sono creativi. Si possono distinguere due aspetti: on stage, sul palco a presentare la nostra musica, dove lŽunità è il fattore inscindibile. Se manca questo feeling allŽinterno dalla band, si snatura il concetto dello show. In studio lŽattenzione di sposta sullŽindividualità. Sono due dimensioni complementari, entrambe fanno parte del patrimonio di una formazione. Adesso è giunto il momento di tornare a calcare il palcoscenico, non vediamo lŽora di presentare i nuovi pezzi al pubblico. Per i fan sarà qualcosa di esclusivo perché a questo giro non abbiamo testato nulla dal vivo prima dellŽuscita. Noi siamo fiduciosi, crediamo in quello che abbiamo fatto perché era quello che sentivamo e volevamo realizzare”.

Come per il primo disco, avete in programma di realizzare remix di brani del nuovo album?
“Si, ripeteremo lŽesperienza, anzi posso confermarti che abbiamo già iniziato lŽoperazione remix. Terminato il nuovo disco ci siamo seduti attorno ad un tavolo e abbiano fatto una lista di possibili nomi a cui affidare i remix. Abbiamo inviato le proposte e abbiamo già ricevuto alcune risposte. Alcuni brani saranno rivisitati da diversi artisti, grandi nomi della scena elettronica”.

web: www.whitelies.com

Carlo Cassani
(10 febbraio 2011)

 TUTTO SU WHITE LIES

2011
Ritual

2009
To Lose My Life
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