A un anno dallo straordinario successo dell´album tributo ai grandi classici italiani degli anni ´60, “Orchestraevoce”, che gli è valso il disco multiplatino, torna Francesco Renga con un disco di inediti, che titola “Un giorno bellissimo”. E questo giorno bellissimo parla di amore, quello di cui in questo disco gli preme raccontare.
“L’amore che mi interessa è quello a 360 gradi. In questo disco ho cercato di parlare d’amore, ma non dei suoi momenti cruciali: l’innamoramento e la fine tragica. Ho cercato di parlare della costruzione e della quotidianità legata all’amore. Un giorno bellissimo è il manifesto di tutto l’album; ha un testo semplicissimo, che racconta una cosa banale che chiunque abbia vissuto la felicità legata all’amore per l’altro ha provato e conosce: il momento del risveglio, quando trovi la persona che ami nel letto accanto a te”.
Parlaci di questo nuovo lavoro.
“È un disco che parla di semplicità anche attraverso l’uso di un linguaggio estetico volutamente semplice. Ho fatto una ricerca molto attenta in questo senso”.
Questo disco arriva dopo un “Orchestraevoce” che ha ottenuto diversi riconoscimenti.
“´Un giorno bellissimo´ passa al setaccio attraverso ‘Orchestraevoce’ e ne rappresenta uno spartiacque. La semplicità del tipo di scrittura come ti dicevo è la forza e la sua efficacia. Certe canzoni le avevo scritte quattro anni fa, ai tempi di ‘Ferro e cartone’, ma alla luce di ‘Orchestraevoce’ non sono entrate in questo nuovo lavoro perché avevano perso di sostanza”.
Altri valori aggiunti a questo disco?
“In questo disco poi c’è la band che suona live, e questa caratteristica rappresenta il DNA stesso del disco. C’è amore e c’è bellezza, che non vanno sempre di pari passo”.
Ne parli con grande grinta.
“Perché è un disco che ha un carattere molto preciso e deciso, ed è venuto fuori esattamente come lo volevo. Pensato per la prima volta in terza persona, quasi sempre dal punto di vista femminile”.
E poi?
“Poi c’è un’ammirazione spasmodica per lo scrittore Raymond Carver, uno scrittore che ammiro e che riusciva attraverso storie banali a folgorarti per la semplicità di un’immagine, che in sé racchiudeva la bellezza di chi spesso ti dorme accanto e che ignori e dimentichi e fai fatica a sottolineare. Questo disco è un racconto scritto in maniera semplice”.
Qual è l’antidoto contro l’abitudine e la quotidianità che spesso ammazza l’amore?
“La cura, l’attenzione, il sacrificio e rendere servizio all’altra persona, vedere attraverso gli occhi dell’altro, imparando anche a rinunciare. E poi soprattutto la ricerca di un certo tipo di intimità fatta di piccole cose: dal notare all’osservare fino al prendersi cura di un figlio”.
È possibile che questo lavoro come il precedente ci sia tanto Francesco padre? Può essere che questa attenzione di cui parli sia maturata con te?
“La paternità è lo step più alto che ho fatto. È spostare il baricentro. Nel momento in cui sei padre entrano in gioco nuove cose. Ti porta a saper rinunciare a qualcosa per avere qualcosa di più grande, che è poi la differenza tra un uomo piccolo e un grande uomo. Mio padre mi ha insegnato il rispetto di chi hai vicino. L’idea più elevata del rapporto famiglia è rispetto alla cura delle cose che hai”.
Si presenta quindi un concept album.
“In un periodo in cui viviamo di pillole, fare un disco di questo tipo è una sfida importante. Mi piace pensare che uno si porta a casa foto, il mio mondo, l’uomo che sono in quel momento. Il mondo che vivo in quel momento che raccontano un mondo più ampio. Tengo molto a questo aspetto. Portare l’ascoltatore a fermarsi, ad ascoltare oggi è un’importante impresa. A cercare di spiegare e farti capire qual è il mio mondo, quali sono le mie chiavi. Io esigo questa attenzione. Esigo l’attenzione di chi si approccia alle mie cose. Fa parte dell’alchimia della musica. Vi do le mie chiavi, con voi condivido le chiavi ma le porte sono vostre ed è giusto che sia così- arriva a comunicare perché è la sua porta che si è aperta”.
Cosa manca oggi?
“Oggi manca il tempo al pubblico adulto di ascoltare. A quello più giovane manca invece più sensibilità che hanno perso e cultura. C’è un bombardamento costruito intorno a loro che non li aiuta. Manca poi la condivisione. Anche nelle vite adulte di certe persone dove c’è attenzione morbosa verso il gossip e il disagio. Cerchiamo conforto e rivincita nelle vite altrui. Abbiamo paura di trovare il mostro in noi e cerchiamo sollievo nelle vite degli altri. Ne parlo tanto in questo disco, se la paura di condividere e guardarti dentro, di comunicare quello che hai dentro non sarai mai un uomo”.
La tua voce è resa in maniera spettacolare.
“C’è stato un lavoro grande di Celso Valli anche perché l’approccio alla mia voce non è semplice. Ho una vocalità possente e l’errore che spesso è stato fatto in passato è stato quello di cercare di compensare l’enormità vocale, che è diventata spesso un problema anche nel tipo di scrittura da dover affrontare poi. Celso l’ha lasciata libera e tutto in più è stato costruito intorno alla mia vocalità. E la scommessa ordita e vincente è partita proprio da ‘Orchestraevoce’ che mi ha permesso di sperimentare la mia voce con un’orchestra”.
Delle canzoni che non sono dentro a questo disco?
“Alcune si perderanno, altre le ritroverò per strada in un altro tempo. A volte capita che le canzoni scritte in un periodo trovino solo poi senso. Per il disco c’è stata una parte di scrematura lunghissima, alcune canzone le dimenticherò”.
web: francescorenga.it
Elena Ferraro
(15 gennaio 2010) |