13 febbraio 1996: tutto ha inizio da qui; quanto è successo prima è Storia, e se la dipartita di Robbie Williams aveva spezzato il cuore delle fan dei Take That, furono le parole di Gary Barlow, pronunciate con un sorriso amaro sulle labbra, a dare il colpo di grazia al mito: “Sfortunatamente le voci sono vere […] e da oggi… è tutto finito”.
Cala il sipario su una delle band più amate di sempre, 25 milioni di dischi venduti in appena 5 anni e uno status di delirio collettivo che poche volte ha avuto tanto riscontro; almeno fino al 25 novembre 2005 quando, sempre durante una conferenza stampa, è di nuovo Gary ad annunciare che “Grazie per averci lasciato questi 10 anni, ma… Sfortunatamente le voci sono vere: i Take That torneranno in tour!”.
Due album dopo (“Beautiful World”, 2006, e “The Circus”, 2008), e senza Robbie Williams, i Take That riescono a portare a 40 milioni i dischi venduti dalla band e a registrare il record di tour più venduto di sempre: 650.000 biglietti e 6 date sold out in appena 4 ore e mezza, un milione di persone che hanno voluto rivedere Gary Barlow, Mark Owen, Jason Orange e Howard Donald di nuovo sul palco insieme.
7 giugno 2010: comincia a circolare la voce di un duetto tra gli ‘acerrimi nemici’ Robbie Williams e Gary Barlow; la canzone si intitola Shame, e verrà poi inserita nel best of di robbie Williams “In And Out Of Consciousness” pubblicato lo scorso ottobre; un video ispirato a “Brokeback Mountain” aumenta la febbre dei fan. Fino a che il 15 luglio 2010 Robbie Williams conferma: “Le voci sono vere: i Take That, nella line up originale, hanno scritto un nuovo album e lo pubblicheranno quest’anno”. 14 ottobre 2010: le radio lanciano The Flood, singolo ambizioso che alza la posta nel piatto dei Take That: questa volta è tutto vero. Segue l’album “Progress”, primato di vendite nel primo giorno di pubblicazione con 235.000 copie e secondo album più venduto di sempre nella storia della musica inglese nella prima settimana (secondo solo a “Be Here Now” degli Oasis nel 1997), e l’annuncio del Progress Live Tour 2011, 1.100.000 biglietti da record venduti il primo giorno ai botteghini.
Questi sono numeri, ma non sono certo sterili. Perché il ritorno dei Take That è stato sognato da milioni di fan in tutto il mondo, e il fenomeno massivo della band inglese è stato uno dei momenti più importanti della musica negli anni ’90, almeno in termini iconografici. Quello che con “Progress” i 5 Take That vogliono adesso dimostrare è fare musica è diventata la loro priorità, dopo anni passati a subire le direttive del padre-padrone Nigel Martin-Smith; e “Progress” è epico, un passo avanti notevole rispetto alle ballate e ai balletti di quando avevano 20 anni: con la produzione di Stuart Price e una svolta sperimentale che arriva ad abbracciare anche l’hip hop e un’elettronica di tendenza, “Progress” è il frutto dello sforzo collaborativo di Gary, Robbie, Mark, Howard e Jason nonché un album dal sound “senza tempo”.
Quello che tutti non sanno (ma che con la release del docu-film “Look Back, Don’t Stare” avranno modo di scoprire) è che la storia della reunion più attesa di sempre è stata lunga, travagliata, e molto dolorosa, ed incomincia molto prima dell’estate quando i primi rumours hanno iniziato a serpeggiare.
È l’inizio del 2009 quando in uno studio di registrazione di New York si incontrano per la prima volta dopo molti anni Gary, Mark e Robbie. I tre si parlano (Robbie ammette: “Odiavo Gary, lo attaccavo sperando di ferirlo perché per me rappresentava i Take That e tutto quello che di negativo c’era stato in quella esperienza, compresa la frustrazione del mio contributo creativo”, e anche Gary confida che “Tutti quando mi incontravano o scoprivano il mio nome subito facevano battute su Robbie, ero arrivato a pensare di cambiarmi il nome per avere un po’ di pace”), parlano di questo lungo periodo di separazione e delle incomprensioni, ma più di tutto scrivono: parole, melodie, abbozzi di quella che poi sarà The Flood. Quando arrivano anche Jason e Howard l’atmosfera si fa più tesa, perché la diffidenza è forte; ci sono in ballo vecchi attriti, cautela nel riaccogliere un elemento forte e fragile come Robbie di nuovo in un gruppo che nelle dinamiche di 4 lavorava bene e tra amici; non solo: lo scontro con l’ego creativo di Robbie che tende a prendere il comando diventa motivo di discussione in più momenti, ma di fronte alla forza della musica non c’è dubbio che tenga: bisogna andare avanti. Per la prima volta i Take That si sentono forti e ispirati, ognuno dà il proprio contributo creativo a quello che, nelle intenzioni, dovrà essere uno statement ancor prima di un disco.
Eppure è lungo e controverso il cammino del recupero, e Robbie ad un certo punto sparisce, sopraffatto dalle proprie paure; è l’ansia del palcoscenico e del tornare a cantare dal vivo che lo spinge a mollare, ancora una volta, i suoi compagni; ma questa volta i 4 decidono di lasciargli il proprio tempo, sicuri che, prima o poi, sarebbe tornato – anche perché le canzoni scritte erano davvero buone. E difatti così è: il 13 novembre 2009, all’evento benefico Children In Need, i Take That dietro le quinte discutevano se uscire a cantare tutti insieme ‘bruciando’ l’effetto sopresa per i fan o se semplicemente passarsi la scena salutandosi e abbracciandosi, come poi è stato. I Fab Five lavorano anche a cementare l’amicizia che li lega: sono dei quasi-quarantenni che hanno condiviso gli anni più belli della loro giovinezza e non si sono mai davvero parlati; Robbie invita i ragazzi nella sua casa di Los Angeles per giocare a calcio, correre sui quad e fare quelle cose folli che non si sono mai concessi, e tutto sembra andare alla grande.
Fino a che, a marzo del 2010, scoppia un’altra bomba: Mark ammette di aver avuto problemi con l’alcol ed entra in clinica per disintossicarsi. I Take That devono ancora tirare il freno a mano in corsa. Ma quando Mark esce dalla clinica i 5 sono pronti per il grande passo: invitano Elton John a sentire le tracce, e di fronte al suo commento entusiastico bussano alla porta di Stuart Price (il guru dietro a “Hung Up” di Madonna e “Day & Age” dei The Killers) che, anche lui contento e stimolato all’idea di lavorare con loro, sceglie di intraprendere il progetto “Progress”.
L’escalation di successi di The Flood, di “Progress” e del tour ha dato loro ragione; probabilmente vista la componente nostalgica e mediatica della reunion sarebbe comunque stato un successo, ma siamo contenti di aver scoperto una band in grado di creare qualcosa di magico che mai, mai nessuno si sarebbe aspettato.
13/05/2011 20:04:38 l´unica cosa che si può dire è che ,tutti noi fans,siamo contente che la band si sia riunita e speriamo in una reunion duratura!!!!!!!!!!!!!! da marilisa
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