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 GIOVANNI ALLEVI
GIOVANNI ALLEVI SONO UN ALIENO
SONO UN ALIENO

C’è un meraviglioso mondo che è fatto di spontaneità e normalità. Talmente spontaneo e normale da risultare quasi surreale. È questo Giovanni Allevi: un ‘alieno’ come si definisce lui stesso, perché non rientra nello schema e nell’omologazione a cui ormai siamo abituati e che dà rasicurazione, continuo io. Spontaneità che lascia senza parole, come quelle giustificate assenti nei suoi brani.

“Sono sempre in fibrillazione per l’uscita del disco perché la parte più intima di me viene condivisa col mondo esterno. E questa cosa mi crea sconvolgimento, un’emozione forte perlopiù positiva. Il fatto che il mio album diventi altro da me e che assuma altri significati mi emoziona. Ogni volta è diverso, non riesco a parlare di ‘esperienza’. E un po’ questo è ‘Alien’, questo è il suo significato, oggi più che mai mi tiro fuori da tutto, mi spoglio ed è un mistero. Per quale motivo quella musica entra nella mia testa non so; ho la sensazione di non essere io a comporla ma che sia lei che guida il gioco”.

Come ti ha guidato in “Alien”?
“Ho iniziato quattro anni fa capendo subito che la musica si stava evolvendo verso la dilatazione delle forme. In sostanza i brani sarebbero stati più lunghi. Il cosiddetto ‘successo’ altro non è che la mia conquistata libertà di espressione e degli altri aspetti esteriori del successo non me ne importa niente. E l’opera d’arte si realizza nell’ascoltatore. È lui che col proprio vissuto emotivo completa quello appena accennato dalle mie note. Adesso io faccio un passo indietro e l’emozione dell’individuo viene avanti. Il fatto che non ci fossero le ‘parole’ nella mia musica veniva considerato un limite all’inizio, ma ho sempre confidato nell’altro. È quello che succede ad ET nel film, che suscita paura negli altri, soprattutto negli adulti. Perché fa paura il diverso… In ET non a caso sono i bambini a salvarlo. È qui il significato profondo di ‘Alien’: mettersi a nudo e spogliarsi di qualunque etichetta, standard a cui siamo abituati. Io sono un alieno che comunica con alieni. Ci sono molti giovani artisti che mi scrivono e sentono ansia da successo. Ma non capiscono che dipende da quel giorno in cui decidi tu… Il successo non è l’occasione di ‘entrare in un giro di conoscenze’. È una storia d’amore tra te e il pubblico e inizia quando decidi di uscire dal guscio. Ma devi essere pronto a ricevere tutto, bello e brutto. Ho capito che la mia musica diventa più comunicativa se esco dalla torre d’avorio”.

Nella copertina del disco ti metti esplicitamente a nudo.
“La cover mostra una vulnerabilità nello sguardo. Per la prima volta uso un’immagine molto forte. La mia forza è la mia vulnerabilità. È un messaggio alieno alla nostra società… ma io credo che la vulnerabilità sia la nostra forza”.

Cosa ti torna dal pubblico?
“Dal pubblico torna tantissimo affetto. Ragazzi e ragazze eccezionalmente sensibili che onorano sforzi e sacrifici accademici durissimi con la loro presenza ed emozioni indipendentemente dai confini geografici. In concreto subito dopo il concerto mi congedo all’abbraccio dei fan di cui sento il bisogno per comunicare personalmente la mia riconoscenza e i sorrisi. Non è come sembra e ci vogliono far credere. È un ‘dolce’ che mi concedo dopo aver affrontato la concentrazione del concerto. Dopo un paio d’ore torno sfinito in hotel!”.

Tanta energia… Ma come la ricarichi?
“Mi ricarico suonando. E questo è un problema perché posso impostare la vita pensando ogni sera di suonare per 3000 persone? È una passione viscerale, non posso farne a meno. La musica mi cerca e mi affolla la mente. Attraverso la composizione per un attimo faccio un ‘download esterno’ che mi dà un po’ di sollievo”.

Come invece ‘arriva’ un brano?
“Il brano nella testa ci mette 4/5 anni per comporsi, poi li metto sulla partitura senza esitazioni. E solo finito lo eseguo. Spesso i miei brani composti senza pianoforte sono per me molto difficili da suonare e ciò mi rende salvo moralmente perché l’artista ha il dovere sempre di proporre qualcosa al limite delle proprie possibilità. Il giorno in cui proporrò la prima cosa che mi viene in mente sul sicuro, inizierà il mio declino”.

Cos’è la musica per te?
“La musica è la mia strega capricciosa. Non ho un pianoforte a casa per scelta. Se dovessi andare in vacanza non lo vorrei. Perché il lavoro compositivo si svolge tutto nella mia testa”.

Riascoltando ‘Alien’ cosa hai sentito?
“Mi sono sorpreso perché quell’ora di durata del disco è volata. La sensazione che mi ha accompagnato maggiormente è quella di una grande dolcezza e di una gestione maniacale del suono e del timbro, con un’aumentata ricerca timbrica. Non è un suono svuotato ma mille sfumature e ho cercato di estendere più possibile la tavolozza espressiva del pianoforte. Adesso non lo riascolterò più. Poi dal vivo cambia l’intenzione delle canzoni, non le note”.

Finito di registrare il disco chi l’ha ascoltato per primo?
“Come è ormai da tradizione finito di registrare un disco, torno ad Ascoli Piceno a farlo ascoltare a mio padre, mio primo ascoltatore e critico. In genere mi comunica che qualcosa non va grattandosi la testa. Mio padre è depositario della cultura classica, il fatto di non piacergli è conferma di quanto la mia musica sia espressione di contemporaneità e nuovo. Ma siccome ha vissuto con grande dolore le critiche che sono venute dal mondo accademico, lui si è trasformato in un fan scatenato e mi ha manifestato tutta la sua ammirazione per ‘Alien’… Lì per lì mi ha sorpreso. Ma voglio dare peso a chi mi vuole bene e mi sostiene. Ho ricevuto critiche violentissime che per molto tempo hanno cercato di minare le mie certezze più profonde e finalmente ne sono venuto fuori. E il manifesto dell’affermazione della propria arte indipendentemente dai commenti è proprio ‘Alien’”.

La pubblicazione del disco per te cosa rappresenta?
“Il disco non è più un fine ma un mezzo. È il punto della situazione. Il momento più importante per me sarà la pubblicazione dello spartito, in seguito della quale avrò la possibilità di ascoltare la mia musica interpretata da altri compositori e per me sarà il massimo. Se vado a curiosare su YouTube esistono centinaia di ragazzi che hanno interpretato miei brani. Da loro scopro aspetti musicali che io non avevo pensato e che posso adottare e riproporre”.

Come superi le critiche?
“Nel momento in cui teorizzi e proponi qualcosa di nuovo in un ambito così cristallizzato era inevitabile ricevere critiche così pesanti. Sono ancora vivo e felice e soprattutto ho aperto un varco verso il presente e futuro non tanto musicale ma teorico: una musica contemporanea classica è possibile. Quindi tanti giovani compositori si sono sentiti legittimati a raccontare il presente senza paura di incorrere in critiche e senza subire il peso del confronto col passato. Queste idee sono passate”.

I titoli delle canzoni mi incuriosiscono. Cosa raccontano?
“In questo caso ai titoli delle canzoni non voglio dare una valenza descrittiva. Un brano è nato mentre aspettavo un treno a Tokyo: la canzone è arrivata in quel momento ma non racconta quel momento. Vagavo per la città più desolata che io conosca, Los Angeles e ho ripercorso un immaginario legato allo scrittore Bukowski che io amo molto ed è arrivata il quel momento una musica dolcissima. Per me il titolo è sempre solo il pretesto, non la descrizione”.

web: www.giovanniallevi.com

Elena Ferraro
(05 dicembre 2010)

 TUTTO SU GIOVANNI ALLEVI

2010
Alien

2008
Evolution

2006
Joy

2005
No Concept

2003
Composizioni
1997. 13 dita
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