Certo, è curioso che a distanza tanto ravvicinata i Grandi della musica propongano tutti dei cover album: Peter Gabriel con "Scratch My Back", Eric Clapton con "Clapton", Rod Stewart con l´inossidabile "Great American Songbook", e ora anche Phil Collins con "Going Back", che mette in copertina una foto di lui adolescente seduto a quella batteria che ne farà la fortuna come musicista e che in scaletta propone, a 8 anni dall´ultimo "Testify", 18 cover dell´era Motown.
Da Uptight di Stevie Wonder a Heatwave di Martha Reeves And The Vandellas fino a Papa Was A Rollin Stone dei Temptations. Potrebbe sembrare un´operazione nostalgia dettata da necessità di marketing, e invece Phil Collins stupisce tutti mettendoci l´anima, e tanto soul, per l´appunto: ha studiato per anni lo stile Motown e l´ha fedelmente riprodotto in "Going Back", portando il suo personale tributo a quella che era la sua musica preferita da ragazzo, prima di entrare nei Genesis.
Un disco carico di emozione e di amore, che accompagna le voci di un suo possibile ritiro dalle scene; e così la sua personale interpretazione di Goin´ Back di Carol King (Penso che sto tornando indietro / verso le cose che ho imparato / in gioventù / Penso che sto ritornando / a quei giorni in cui ero abbastanza giovane / da conoscere la Verità) assume toni intensi, ed un fondo di onestà inaspettata e mai così evidente in 40 anni di carriera. Curioso che questo accada proprio in un disco di cover. O forse no, giudicate voi.
Qualche anno fa aveva annunciato il suo ritiro dalle scene, e per fortuna la ritroviamo oggi con un nuovo lavoro. E anche questa volta ci dice che potrebbe essere l´ultimo: dobbiamo crederle?
"Sento di essere ad un punto della mia vita in cui ho due bambini piccoli e la decisione se fare un disco, un tour e la conseguente promozione spetta a me soltanto; nessuno mi direbbe mai ´Perchè non ti fermi?´, per cui se dovessi farlo si trattrebbe di una scelta completamente mia. Nel 2004 con il Final Fareweel Tour avevo già deciso: mia moglie stava per avere un bambino, Matthew, che oggi ha 6 anni, e poi ci siamo separati. Ho rimesso in discussione tutto".
"Going Back" fa parte di questa rimessa in discussione di se stesso come artista?
"Questo disco è come un bambino arrivato per caso, l´ultimo di una numerosa famiglia. Avrei sempre voluto farlo e sapevo che prima o poi lo avrei fatto, e se non ci fosse stato questo lavoro probabilmente ora sarei a casa con i miei figli a guardare il calcio in televisione ... Ci tengo però a smentire quell´articolo di Rolling Stone che accennava alla mia malsopportazione delle critiche come uno dei motivi che mi hanno portato a dire basta. Non è vero. Sono andato in studio, ho provato, ho registrato, e questa rappresenta la parte divertente del mio lavoro; poi c´è la promozione, e a questo io mi voglio ribellare, al percorso preconfezionato che segue la pubblicazione di un disco e che, nella mia posizione, posso fermare dicendo basta".
Come ha proceduto nella scelta delle canzoni da proporre in tracklist?
"Ci sono canzoni più note e altre meno. Quelle sconosciute sono sempre state le mie preferite, mi fanno ricordare quel periodo della mia giovinezza in cui andavo a Londra ad ascoltare gli Action proporre le loro versioni di queste canzoni, e spesso si trattava di lati B dei singoli più famosi. Le canzoni più note, invece, le ho inserite nella versione extended di ´Going Back´ (da 29 tracce, nda). Non sono ne il primo ne l´ultimo che propone una serie di cover dell´epoca Motown, però queste canzoni per me hanno tutte un forte significato affettivo".
Come si è avvicinato ad un repertorio dalla forte personalità stilistica come quello della Motown?
"Il mio scopo è stato quello di ricreare il feeling ed il sound degli anni ´60. Non intendevo certo proporre una mia versione di queste canzoni, non volevo che le persone dopo aver sentito Stevie Wonder cantare Uptight per una vita ascoltassero me, però ´Going Back´ è un disco egoista, l´ho fatto esclusivamente per me".
E se alla discografica non fosse piaciuto?
"Lo avrei appeso al muro di casa! Per me questo disco rappresenta un atto d´amore verso me stesso".
Ha accennato al fatto che ha sempre voluto fare un disco come questo. Perchè pubblicarlo a questo punto della sua vita, allora, e non prima?
"Perchè non mi rimane più molto tempo davanti! A parte gli scherzi, a volte le cose capitano semplicemente al momento giusto. Se avessi voluto farlo negli anni ´60 avrei potuto, nessuno me lo impediva, ma non sarebbe stato così bello; invece ho avuto modo di ponderarlo, di conoscere le persone migliori con cui collaborare. Quando penso a You Can´t Hurry Love (inclusa nell´album del 1982 ´Hello, I Must Be Going!´, uno dei suoi più grandi successi commerciali, nda) succede il contrario, la ascolto e sento tutte le imperfezioni, non riesco nemmeno più a sentirla tanto mi viene da criticarla; invece tutte le canzoni che ho registrato per ´Going Back´ le sento perfette così come le ho fatte, ero pronto a farle al meglio e penso di esserci riuscito".
Considerato tutto l´entusiasmo che ha messo in "Going Back", davvero non possiamo aspettarci nessun tour di supporto al disco?
"Ho già fatto 6 show in America per presentare ´Going Back´, a Philadelphia, New York, a Montreal. Non ero convinto della cosa, ma la mia compagna mi ha detto ´Devi farlo, per completare questo tuo viaggio´. Le riprese del concerto di New York andranno a comporre un DVD che uscirà presto, per quel che mi riguarda è sufficiente. Certo, c´è un diavoletto qui sulla mia spalla che mi dice ´Se lo porti in Italia, a Parigi, a Londra la gente lo adorerebbe!´, e ne sono convinto, però ho dovuto scacciarlo. Se lo volessi potrei tornare in tournée con la band, e il pensiero mi tenta, davvero, ma sono stanco. Il mio manager mi direbbe devi decidere dove vuoi esibirti perchè ci sono gli spazi da prenotare, i musicisti da mettere sotto contratto, la promozione da coordinare e all´improvviso tutto diventa complicato e mi passa la voglia. Non è facile essere spontanei nel nostro mestiere".
Quindi lei sceglie di non farlo, piuttosto?
"Ho partecipato di recente ad un concerto dove ero uno degli artisti ospiti e per esibirmi ho dovuto fare le prove, incastrare i miei tempi con quelli degli altri artisti, trovare la maniera ottimale di far funzionare tutto. Alla luce di questo, preferisco passare la mano".
Non ha mai pensato a perseguire la strada della produzione?
"Anche quello del produttore è un duro lavoro! I Funk Brothers stessi mi hanno chiesto di produrre il loro prossimo album, dato che ci siamo trovati tanto bene a lavorare insieme per ´Going Back´; accettare questa proposta è una cosa di cui potrei vantarmi, ma oggi come oggi qualsiasi impegno lavorativo mi costringe a mettere da parte tempo che potrei dedicare alla mia famiglia. Io voglio stare con loro, ho in mano le redini del cavallo e intendo essere io a guidarlo".
Decidere lei della sua vita. Suona giusto.
"Da qualche parte c´è la mia vita, sto solo cercando di trovarla".
Conosciamo le difficoltà che ha incontrato nel suonare la batteria (Phil Collins ha subito un´operazione alle vertebre cervicali che ha momentaneamente alterato l´uso della mano sinistra, nda). Eppure ha voluto farlo comunque.
"Aah, la mia triste mano sinistra ... (ride). Dopo l´operazione non sapevo se sarei stato in grado di suonare la batteria, non lo facevo dal reunion tour dei Genesis e così quando ho provato e la bacchetta mi è caduta dalle mani ho pensato: la fisso con del nastro adesivo e suono. Non sapevo se sarei stato in grado di suonare come il Phil Collins batterista, e poi è arrivato Rod Stewart che ha pubblicato ´Soulbook´, Craig David anche lui con un disco Motown, e Peter Gabriel con le cover e mi sono un po´ perso d´animo, mi dicevo ´ Sarà difficilissimo farmi notare´. Poi è arrivato Eddie Willis, il chitarrista dei Funk Brothers, che ha 74 anni e che, dopo aver sentito una registrazione della parte di batteria fatta da me, ha domandato: ´Chi suona la batteria qui?´, io timidamente ho risposto ´Io´, e lui ´Questa cosa è dannatamente buona!´. E così ho ripreso fiducia nelle mie capacità di batterista".
Senza la batteria suonata da lei sarebbe stato diverso?
"Solo così posso dire di sentirmi completo. Se questo davvero fosse l´ultimo mio album sarebbe perfetto, non solo tecnicamente; è la musica che ascoltavo da ragazzo, e così il cerchio si chiude".
Fa continuamente riferimento all´egoismo che permea questo lavoro, ma in che modo si è avvicinato alla questione artistica propedeutica alla compilazione di un disco di cover?
"Risulta difficile accostarsi a qualcosa di molto forte e riconoscibile come lo sono certe voci e certi stili. Molti hanno pensato che io volessi proporre la mia versione di brani già fatti da altri, ma in realtà io ho passato anni a studiarli, a capirli, a cercare di carpire quella loro scintilla magica e unica per poi tentare di ricrearla. Ogni volta che si fa una cover ci sono due possibilità: o provi a rifare qualcosa già fatto da altri, nel qual caso ti esponi agli inevitabili paragoni e alle critiche, oppure scegli di stravolgere la canzone facendola tua, nel qual caso nessuno faraà mai un confronto tra la tua versione e l´originale perchè sono molto distanti. Io invece ho consapevolmente mirato a ricreare un sound preciso, quello della Motown, gli stessi arrangiamenti, solo che al punto in cui tutti si aspettano che esordisca la voce di Stevie Wonder invece arriva la mia; sono ancora più esposto alle critiche, così, si può dire. La verità è che sono entrato nei Genesis che avevo 19 anni, e così non ho mai avuto la possibilità di cantare queste canzoni; per questo lo faccio ora, finalmente. Mi fa piacere se alle persone piace ascoltare ´Going Back´, è ovvio, però fondamentalmente non mi interessa. Questo disco l´ho fatto solo per me, come ho già spiegato".
Nelle sue parole però continua ad accennare alla questione dell´esposizione, delle critiche; davvero non le interessa quello che di lei si scrive e si scriverà?
"Guardi la mia vita. Ho due bambini piccoli, mia figlia Lily mi ha reso nonno, il mio primogenito Simon era in tour con me quando era piccolo e sa molto bene tutto quello che ho fatto, eppure la sensazione è che finalmente, oggi, il Phil Collins artista si sta sempre più trasformando nel Phil Collins persona, essere umano. La critica mi ha spesso accusato di essere uno che non prende rischi, che gioca sul sicuro, ma nella mia vita io ho fatto l´attore, ho scritto musical, colonne sonore per cartoni animati ... Non sono d´accordo. A mio avviso ho fatto tutt´altro che giocare sul sicuro e sono orgoglioso di averci quantomeno provato. Meglio tentare e fallire che non tentare affatto".
Ha affermato che gli anni ´60 sono stati il decennio più importante dal punto di vista musicale. Ne è ancora convinto?
"Più che mai. Per quel che mi riguarda gli anni ´60 hanno prodotto la miglior musica pop di sempre, anche se le persone più giovani di 10 anni di me avranno da ridire e commenteranno che gli anni ´70 sono stati di gran lunga migliori. Io che le ho vissute tutte, e che ho visto anche gli anni ´80, i ´90 e continuo a vederli, posso dire che gli anni ´60 sono stati il top, meglio ancora dei ´50, anche se quelli non li ho vissuti consapevolmente. E gran parte di questa eccellenza l´ho racchiusa nel mio disco, a parte i Beatles. Per cui sì, ne sono convinto più che mai".
web: www.philcollins.co.uk
Elisa Bellintani
(30 novembre 2010) |