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 ZUCCHERO
ZUCCHERO SUONO NUOVO
SUONO NUOVO

Non credo ci sia disco di Zucchero che non mi abbia accompagnato anche solo per un frammento di vita con un sorriso o mille lacrime, o suoi brani che in qualche modo io non possa dire che mi appartengano. C’è un mondo (il mio) che scorre e mi collega alla musica (la sua). Con il cuore in gola e l’emozione di chi di musica si emoziona, vado ad incontrare Adelmo Fornaciari, Zucchero. È lui che mi presenta il suo “Chocabeck”, con la cordialità di un padrone di casa che vuole fare sentire a suo agio l’ospite, e l’amore di un padre che vuole mostrare orgoglioso l’ultimogenito neonato.

Come nasce questo nuovo progetto musicale?
“Ho iniziato a lavorare a questo album lo scorso novembre. Arrivato a quindici dischi ho sperimentato tutto e mi sono trovato un po’ spiazzato, dico la verità. È difficile sapere dove andare, nonostante l’esperienza. Allora ho pensato ad un suono più spazioso e meno limitato. Ho incominciato a ricordarmi degli inizi; di quando suonavo la chitarra acustica con mio cognato. Facevamo un genere più progressivo, stile Led Zeppelin in versione acustica. Da lì ho cominciato a seguire il percorso sonoro sperimentale meno rhythm and blues ma più chitarra e voce. Ho messo a fuoco questo concetto ed è nato ‘Chocabeck’”.

Quali sono gli ingredienti nuovi?
“Il primo approccio alle canzoni l’ho avuto quasi esclusivamente con la chitarra, che è un approccio diverso dal solito, perché prima ho sempre usato voce e pianoforte. L’uso di strumenti diversi ti porta inevitabilmente su melodie diverse, su diversi svolgimenti. Poi ho voluto tirare fuori certi suoni persi, come l’orchestra di legni che si sentiva in ‘Sgt. Pepper´s’ dei Beatles e il corno francese. Questo è stato un altro ingrediente importante per costruire il suono”.

Come si fa a trovare l’originalità?
“Devi fare i salti mortali (ride). Scrivere undici pezzi inediti, dopo 15 dischi, quindi circa trecento canzoni non è facile. In studio ci ho messo meno, non ho perso tempo. È stata più ricercata la fase di scrittura e l’unico brano che è nato al piano è l’ultimo, God Bless The Child, che in origine voleva essere solo voce e piano; poi sentendo la musica classica russa, soprattutto gli ottoni, mi ha entusiasmato usare questa formazione. Ne è venuto fuori un blues con vestito dark enfatico”.

E poi?
“Poi è arrivato il momento di legare il tutto. Ho voluto archi ma più swingati, ritmici e più rock. In questo mi è venuto incontro Davide Rossi, violino italiano incredibile che ha ricevuto anche diversi riconoscimenti con i Coldplay (tra gli altri ancora Goldfrapp, Siouxie Sioux, The Verve, Casino Royale, Afterhours ndr). Ho messo tutto insieme, con una voce più cruda e più in avanti. Ed è venuto fuori il ‘suono della domenica’. È questa la definizione, è questo il disco, è questo il suono che fino ad ora avevo avuto solo dentro. Dal punto di vista creativo mi sono sentito molto libero”.

Un disco che si discosta molto dalle produzioni di oggi.
“Ho fatto un concept album. Né più né meno come si faceva negli anni ’70: questo disco ha un filo conduttore, un tema che si sviluppa dall’inizio alla fine. ‘Chocabeck’ è la vita di un paesino immaginario, senza che vi sia un tono amarcord nostalgico”.

È il tuo paese?
“È l’idea del paesino in sé, dimenticato e schiacciato oggigiorno. Perché ho deciso di vivere sull’Appennino dopo aver conosciuto grandi metropoli e girato il mondo? Perché lì ha un suono tutto suo la domenica. È un tono che porta alla riflessione, che dice di mangiare cose semplici e sane. È la vita di questo paesino dall’alba al tramonto… Che parte cercando un soffio caldo di libertà (Un soffio caldo, prima traccia del disco, ndr) fino ad arrivare al blues di God Bless the Child (ultima traccia, ndr)”.

E qual è il senso di questo suono?
“Il senso è di non perdere mai il bambino che hai dentro. Questo paesino è pieno di speranze, il problema è che la società ci sta portando a disperdere queste realtà, ad abbandonarle spesso per il bisogno di lavoro o ricerca d’altro”.

Tu che il mondo l’hai girato e vissuto, credi che questa ‘dispersione’ sia solo del nostro Paese?
“Non siamo sicuramente solo noi italiani. Ma trovo molta più umanità in Europa che in Italia. I fatti di questi giorni stanno dimostrando che c’è poca tolleranza e molto nervosismo. È un problema di approccio ed educazione. Guardando l’Italia con un occhio un po’ più distante ti dico che non è una bella sensazione quella che arriva di rimando. Ci sono cose brutte che stanno mordendo i nostri sogni, lì pronte a morderci i calcagni”.

Guardando alla musica oggi, inevitabile è l’associazione con un circuito televisivo. Ci racconti del tuo ‘inizio’?
“È stata dura all’inizio, veramente dura. Ho fatto una gavetta enorme, ho incassato il colpo di porte sbattute in faccia. Erano momenti difficili ma c’era più fermento e una sorta di ‘coalizione’ anche tra artisti. Ora le discografiche non investono più su quattro album se non funzioni nella formula: ‘buona la prima’. I ragazzi che escono dai talent di contro sono più facili da vendere. Per il giovane oggi è difficile tirare fuori il proprio stile. Non mi pare che sia emerso nessun caso in particolare. Ed è un circolo vizioso: ne soffre la musica perché non alimenta creatività e la gente disabitua l’orecchio alla musica diversa. Non si osa più, non si diventa più esigenti. Un testo un po’ impegnativo oggi ha il potere di disorientare e non di incuriosire. Gli anni ‘60 e ‘70 tra psichedelica e rock trasgressivo sono stati gli anni della musica. Dai Beatles ad Elvis era tutto da inventare! Ora è stato fatto tutto, certo... Ma non dimentichiamo che i Beatles hanno attinto da gruppi che facevano musica nera, Elvis stesso era il bianco che cantava la musica nera. I Led Zeppelin e tanti altri lo facevano, ma l’hanno rinnovato, hanno contaminato il beat inglese. Da lì sono venuti fuori fantastici gruppi”.

Non c’è scampo oggi?
“C’è sempre una possibilità, io sono fiducioso. Il problema è il tempo e la fiducia. Non viene dato il tempo oggigiorno: o nasce il genio subito o viene schiacciato. Io stesso se mi fossi proposto oggi al primo disco con la mia musica non so se avrei avuto possibilità. Il format del talent show tv in Inghilterra è scemato, in Spagna e Francia non c’è neanche più. C’è da sperare si torni anche in Italia più alla normalità”.

Prima parlavi di maggiore ‘coalizione’ tra gli artisti. Tu sei uno dei pochi artisti italiani che ha sempre sposato la nobile arte della collaborazione.
“Le collaborazioni sono contaminazione, sono ricerca. Con l’esperimento di ´Miserere´ (quinto album di inediti, ndr) venne fuori Bocelli e il Pavarotti&Friends. Con questa sperimentazione è venuta fuori veramente tanta roba. Ci sono artisti nel mondo che oggi vantano di cantare alla ‘Bocelli’. La contaminazione è importante: se sei da solo sei sempre te. Se l’altro mi intriga è molto più bello e creativo il tutto. Per esempio l’incontro con Brian Wilson (fondatore e principale autore dei Beach Boys, ndr) è stata una sorpresa stupenda. Il brano, Chocabeck, ha un’altra magia. È diventato molto più interessante, ha qualcosa in più che da solo non avevo trovato e non sarei riuscito a trovare. Come dicevo prima: se fai da solo, alla fine sei sempre solo te. E io mi annoierei per primo a fare cose che rischiano di arrivare tutte uguali. Io ho voglia di stupirmi in continuazione e stupire. Quando stai sei mesi chiuso con chitarra e piano il desiderio è cercare stupore. Cercare quel qualcosa che forse gli altri non si aspettano. Questo è il motore di tutto per me. E non credo alla canzone che arriva così per caso. Da parte mia c’è una voglia di ricerca certosina tutti i giorni. Più fai il mestiere e forse più ti avvicini all’arte. E proprio sull’onda di questo: i pezzi migliori sono gli ultimi ad arrivare nella lavorazione del disco”.

Il disco esce in contemporanea mondiale. Ma nella versione internazionale il brano de Il suono della domenica è stato interpretato nella scrittura da Bono degli U2.
“Avevo voglia di parlare del suono della domenica anche in inglese. Nella versione italiana non c’è volutamente la versione scritta da Bono perché volevo che fosse un disco solo scritto da me… Che avesse senso parlare delle mie origini con parole mie. Quella di Bono è una bellissima interpretazione, veramente bellissima. Ma non è una traduzione fedele del mio testo. È un’interpretazione meravigliosa”.

Il meccanismo che un po’ ci mangia dice che son passati quattro anni dal precedente inedito. Che anni sono stati per te?
“Sono stati quattro anni che sono passati velocemente perché dopo ‘Fly’ è partito un tour di un anno e mezzo, con ‘All The Best’ con tre inediti e dopo ‘Live in Italy’… Direi che sono stati quattro anni che son volati”.

web: www.zucchero.it

Elena Ferraro
(22 novembre 2010)

 TUTTO SU ZUCCHERO

2010
Chocabeck

2006
Fly

2004
Zu & Co.

2001
Shake

1998
Bluesugar
1995. Spirito DiVino
1992. Miserere
1991. Zucchero
1989. Oro incenso & birra
1987. Blue´s
1986. Rispetto
1985. Zucchero & The Randy Jackson Band
1983. Un po´ di Zucchero
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