Torna la cantante, polistrumentista e compositrice di Macerata a due anni di distanza da “A due”, seconda prova discografica che le è valsa l´elogio della critica e la partecipazione ad importanti appuntamenti live come il concerto del 1° maggio a Roma e alla compilation “Il Paese è reale”: poco da stupirsi, visto che già dagli esordi con “Big Saloon” nel 2006 i riflettori si erano già puntati su Beatrice, che aveva iniziato a mietere consensi e a costruirsi la propria credibilità dal vivo. Ora ci riprova con “BioY”, il suo terzo album di studio. Ma vediamo cosa ci ha raccontato proprio lei, di questo nuovo lavoro.
Per cominciare raccontami qualcosa di “BioY”: com´è nato, quando lo hai composto?
“L´album è nato circa un anno fa, dopo il mini tour in cui ho suonato con gli ...A Toys Orchestra, quando mi sono fermata nella mia città, Macerata. L´ho scritto di getto, la composizione è durata in tutto una decina di giorni, infatti credo sia in assoluto il mio disco più diretto: avendolo fatto in modo così rapido credo ne abbia guadagnato in emotività”.
Una cosa che colpisce infatti è come sia istintivo, e come in primo piano ci sia la ritmica
“La componente ritmica è sempre quella che mi dà uno spunto, è una delle cose principali che sviluppo quando scrivo un brano, amo molto le percussioni e gli strumenti ritmici, sono quelli in cui riesco ad incanalare meglio il mio modo di esprimermi. D´altronde la ritmica è il fulcro della musica sin dall´antichità, è stata la prima a manifestarsi ed è quella che ha portato alla melodia”.
Hai scelto senza dubbio un titolo particolare e misterioso, per l´album. Ce lo puoi spiegare?“
Dietro al nome ´BioY´ ci sono un sacco di cose, nate da una serie di ricerche e di interessi che coltivo nel tempo libero. Innanzitutto è composto dalla parola ´Bio´ e dalla lettera Y: la prima significa ´vita´, quindi rappresenta tutto quello che ha un movimento; in più composta da B – che è l´iniziale del mio nome – e Io, quindi rappresenta me. La lettera Y invece ha tantissime interpretazioni: la sua forma è quella di un´arma, come se fosse una difesa; nella cabala rappresenta il numero 7, che in ebraico corrisponde ad una parola che vuole sempre dire arma; ancora, il numero 117 nella mitologia celtica rappresenta un eroe semidio. Il titolo, insomma, si può leggere come una difesa del proprio io, del mio io. Infine ho fatto una ricerca e la mia data di nascita riporta al numero 777 – sono nata il 27 luglio – e nella teoria junghiana la Y è l´unione dei simboli maschile e femminile, e infatti io conduco una vita un po´ maschile, sia per mio modo di affrontare le cose sia per la mia scelta di vivere suonando. Comunque come avrai capito ci sono tantissime letture di ´BioY´, potrei andare avanti all´infinito!”.
Beh, non male! Immagino che anche la cover sia piena di significati nascosti. Perché la luna?
“Ho un rapporto molto particolare con la luna, soprattutto come donna, e credo che condizioni molto gli esseri umani, anche se ora siamo molto distaccati dal rapporto con la natura. Poi a livello visuale riporta un po´ al funk e ad alcune copertine anni ´70, racchiude un po´ tutto quello che mi interessa e mi piace nella vita”.
Prima dicevi di condurre una vita un po´ maschile: è ancora così difficile, da donna, avere una carriera musicale?
“Essere donna nel mondo della musica non è facile, per niente. Dire che uomo e donna sono uguali o devono esserlo è stupido, bisogna esaltare le doti di uno e dell´altro: allo stesso modo fare musica non è una cosa da uomo o da donna, ma è vero che per una donna avere credibilità è più faticoso, è una lotta e lo so bene. Penso che in Italia sia una cosa culturale e non ci si possa fare nulla, se non rimboccarsi le maniche: la mia non è una polemica, però in generale non piacciono le persone che si lamentano, preferisco chi cerca di fare qualcosa, chi reagisce”.
Tornando al disco, anche questa volta hai deciso di fare tutto da sola, suoni tutti gli strumenti e ti autoproduci. Perché questa scelta?
“Più che una scelta, lavorare da sola per me è sempre stato un modo di vivere, è una politica autarchica che è nata dalla necessità di seguire tutto il processo creativo, anche nella produzione e nel missaggio, perché fa parte del mio lavoro e mi permette di mantenere un maggior controllo sulla mia creazione: per me fare un disco è come fare un figlio, e non riuscirei a lasciarlo al primo che passa, perché so come voglio che suoni un pezzo e so come arrivare a quel punto. Però se mai dovessi incontrare un produttore che mi interessa ci lavorerei volentieri, e allo stesso modo se c´è la possibilità di fare una collaborazione interessante non dico certo di no”.
Infatti in “BioY” una collaborazione c´è, quella con Andy (ex Bluvertigo).
“Ci siamo conosciuti un anno e mezzo fa quando ci è capitato di suonare assieme al MoogFest. Io avevo già dei provini del disco, glieli ho fatti sentire e lui si è innamorato di We´re Gonna Live: è così che abbiamo deciso di registrare qualcosa assieme, e lui mi ha consigliato uno studio di registrazione vicino a casa sua, a Monza. Ne è nata una bella amicizia, e mi è stato di grande aiuto come supporto energetico, è un artista straordinario e poliedrico”.
Con il precedente “A due” hai avuto anche modo di portare la tua musica nel Regno Unito. Com´è stata quell´esperienza? Visto la musica che scrivi e il fatto che canti in inglese, credi avresti vita più facile all´estero, e ti piacerebbe uscire dall´Italia?
“Importante è poter fare quello che voglio fare, il luogo non è determinante, anzi in un certo senso è anche il fatto di vivere in Italia che mi ha permesso di poter fare questo lavoro: emergere a Londra o in altri posti può essere anche molto difficile, e molti di quelli che cercano fortuna all´estero finiscono per rimanere delusi. Molti dicono di volersene andare dall´Italia anche per moda, ma io preferirei riuscire a fare quello che voglio da qui, anche se sono esterofila: la mia musica è una forma di espressione, e vorrei che fosse senza luogo e senza tempo. Poi comunque è bello esportare il proprio lavoro e farlo sentire a più persone possibili, quella in Inghilterra è stata una bella esperienza ma preferisco essere italiana”.
web: www.myspace.com/beatriceantolini
Alberto Lepri
(05 novembre 2010) |