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 LITTLE GERARD L HER
LITTLE GERARD L HER VERSO LA PERFEZIONE
VERSO LA PERFEZIONE

Una delle band più influenti nel periodo fra gli anni ´70 e ´80, i Rockets sono stati, assieme ai Kraftwerk, fra i primi a sperimentare con le nuove tecnologie e ad ibridare il rock con l´elettronica; anche grazie al loro look ispirato allo spazio e ai loro testi futuristici (un connubio che ha portato a creare per loro l´etichetta di “space-rock”) hanno vissuto un momento aureo con brani come Future Woman, Space Rock, One More Mission, Electric Delight , la famosissima cover di On the Road Again, e Galactica. Dopo lo scioglimento del gruppo nel 1984 i componenti hanno preso strade separate, in parte allontanandosi e sparendo dalle scene. Almeno fino ad oggi. Infatti Little Gerard L´her, bassista, compositore e cantate della formazione originale, dopo 20 anni ha deciso di pubblicare il suo primo lavoro solista “A Perfect World”, anticipato dal singolo e dal video del brano Everybody.

Per capire meglio la genesi di questo disco, e le motivazioni che lo hanno portato a tornare, abbiamo deciso di incontrarlo. Ecco che cosa ci ha raccontato.

Parliamo un po´ di “A Perfect World”. Com´è nata l´idea, dopo tanti anni, di fare un album?
Il disco è nato poco a poco, nel senso che non mi sono alzato un giorno e ho detto ´faccio un album´: ho scritto canzoni man mano che venivano, mi sono preso il mio tempo e sono arrivato ad avere 5 o 6 canzoni; sentivo che qualcosa stava crescendo e ho detto ´ok, andiamo avanti´, e poi si è concretizzato... Avevo tutti questi pezzi e mi sono detto che sarebbe stato bello fare un album con quelle canzoni, perché sono molto personali. Il tema generale è la mia visione del mondo come è oggi, quello che sento dentro di me: il titolo dell´album in fondo è ironico, è come dire che il mondo potrebbe essere migliore, anche perché sappiamo tutti che è ben lontano dall´essere perfetto. In fondo poi la perfezione non esiste, ma noi esseri umani dobbiamo crescere e migliorare noi stessi per rendere anche il mondo migliore”.

E dal punto di vista musicale, cosa ti ha influenzato?
Tantissime cose! Da sempre ascolto tutti i generi, dalla classica al punk, al rock, al rap, alla dance e alla techno. Nella mia vita ho suonato rock in generale: Rolling Stones, The Doors, Queen, Pink Floyd... Fin da piccolo sono stato molto influenzato dalla musica anglosassone. Quando suono e scrivo quello che cerco è di fare è la musica che mi esce naturalmente, ho un’idea di quello che voglio ottenere come suono ma aggiungo tocchi di colore come un pittore sulla tela senza preoccuparmi se quello che risulta è di un genere in particolare. Se poi funziona bene, sennò ricomincio e faccio un altro pezzo. Per me la musica è veramente una cosa a 360 gradi, per questo nell´album ci sono pezzi con ambientazioni diverse, un misto di elettronica, computer e programmazione ma anche strumenti suonati veramente come batteria e chitarra”.

Ascoltando il disco è effettivamente molto vario e ci sono anche elementi che riportano a gruppi recenti che utilizzano l’elettronica in maniera molto suonata, come fai tu. Nella musica di oggi c’è qualche artista che ti piace particolarmente o che senti di avere influenzato?
Negli ultimi anni mi piace quello che ha fatto Moby, l´ho ascoltato molto e devo dire che è bravissimo: lui lavora molto con il computer ma si sente che è un musicista che usa questo mezzo per creare la sua musica. Ci sono altri che usano solo suoni campionati e costruiscono un brano al computer pezzo per pezzo, come un bambino che gioca con le costruzioni, e anche quello è interessante e divertente. Il computer è un mezzo favoloso che ha rivoluzionato tutto, non solo la musica, e basta avere fantasia per creare cose fantastiche... anche se a volte ci si può anche sbagliare, ma anche in quel caso si possono avere delle sorprese!”.

Anche in “A Perfect World” ti è capitato che qualcosa sia nato per caso, da un errore?
Certo! Stavo lavorando su un pezzo, ho voluto spostare una traccia ma mi sono sbagliato e quello che avevo suonato è finito sulla traccia di batteria: ho cercato per 5 minuti di correggere l´errore, poi ho ascoltato meglio e ho detto ´questo è interessante, lo tengo così´, e ha fatto andare il pezzo in un’altra direzione. Non è la macchina che deve dirti cosa fare, sei tu che decidi quel che vuoi ottenere. Si può lavorare a casa come ho fatto, Ho fatto tutte le demo dell’album programmandole a casa, e poi qualche ripresa in studio con i musicisti: poter lavorare a casa con il computer è una cosa fantastica, perché non hai i limiti di tempo dello studio di registrazione e puoi curare tutto nei particolari, senza stress”.

Con il digitale non c´è il rischio di non decidere mai quando un pezzo è finito, potendo sempre andare a cambiare qualcosa?
No, a un certo punto devi sapere quando fermarti. Per me è così, penso che un artista debba avere questa coscienza dentro di sé, altrimenti puoi passare dieci anni a fare e rifare qualcosa senza finire mai, ed è una cosa vana. Io per fortuna so quando fermarmi!”.

Parlando sempre di computer e tecnologie, con Internet e i nuovi media rispetto a quando ti sei allontanato dalle scene il mondo della musica è molto cambiato. Cosa ne pensi?
Il cambiamento maggiore è che gente che prima non aveva la possibilità di accedere a certe cose oggi le può scoprire su Internet, se ha la curiosità. Io stesso navigo tutti i giorni e scopro artisti, cantanti, complessi anche sconosciuti o non professionisti che mettono online le proprie cose e si fanno conoscere. In Francia e nel mondo ci sono artisti che hanno messo in Internet quello che facevano e in questo modo sono diventati conosciuti: non so se questo abbia cambiato le cose in meglio o in peggio, ma non importa molto, è l´evoluzione delle cose. Comunque credo che Internet sia una vetrina piuttosto buona per la musica”.

Ora ti stai preparando per il tour. Come diventa l´album dal vivo? Preferisci rimanere fedele a quello che hai registrato o lasci spazio alla sperimentazione?
Per me è importante che il disco sia una cosa e il live un’altra: non sono un juke-box e non cerco di riprodurre perfettamente e in maniera identica la nota. Certi pezzi sono abbastanza fedeli, altri hanno versioni un po’ diverse, le strutture possono cambiare. Voglio che ci sia libertà di espressione per me e per chi suona con me, su tratti di un assolo di tastiera o di chitarra, o una parte ritmica che ha bisogno di libertà. Se diventa una routine è noioso per noi per primi, e uno che va a vedere un live non ci va certo per sentire il disco!”.

Tu sei francese ma già dai tempi dei Rockets hai un rapporto privilegiato con l’Italia. Come mai hai prodotto in Italia anche questo “A Perfect World”?
Non è stata una decisione ma il frutto di una serie di casualità. Ho conosciuto Gennaro Splenito, che suona la chitarra con me, e il tastierista Andrea Majocchi perché avevano una tribute band dei Rockets. Mi trovavo in Italia e ho visto un loro concerto: era la prima volta che vedevo i Rockets dal vivo! Sono rimasto colpito perché lo facevano bene, con il cuore, abbiamo simpatizzato e abbiamo iniziato a lavorare assieme per per preparare le registrazioni, hanno contribuito a finalizzare qualche brano e hanno anche suonato sull’album. Erano anni e anni che non tornavo in Italia e ho trovato un ambiente familiare che mi piace, diverso da quello in cui vivo, poi naturalmente abbiamo trovato Sara Ferrari e la SFEM che hanno sentito le demo, gli sono piaciute e hanno avuto voglia di aiutarci a realizzare quest’album... Così si è fatto in Italia anche perché era comodo per tutti”.

Arrivati alla fine dell´intervista, non posso non chiedertelo: come mai hai deciso di lasciare le scene per così tanto tempo, dopo che te ne sei andato dai Rockets?
Il fatto è che eravamo arrivati a un punto in cui non c’era più nulla da fare: abbiamo iniziato a suonare nel ’74 e io mi sono fermato nel’84, in 10 anni abbiamo fatto il delirio. Nel frattempo ognuno di noi si era evoluto... Sono arrivato a 32 anni, non ero più un ragazzino, ed ero prigioniero del nostro stile, era diventato tutto veramente troppo frustrante. Poi ci siamo sciolti, è una cosa normale. Quando un gruppo ha successo la gente si aspetta delle cose, ma le aspettative del pubblico spesso non sono quelle dell’artista perché le cose cambiano, ti evolvi e ad un certo punto hai bisogno di fare altre esperienze, di rallentare. Ho iniziato a suonare in vari complessi quando avevo 15 anni e ho fatto solo quello per quasi vent´anni, la priorità assoluta la musica, sacrificando anche il lato privato della vita e le relazioni con la gente. Avevo bisogno di trovare una vita più normale e vivere la vita quotidiana: non ho mai lasciato la musica, ho sempre suonato con gli amici, ma a modo mio, con chi avevo voglia. La libertà è importantissima, e io volevo sentirmi libero”.

web: www.myspace.com/littlegerardlher

Alberto Lepri
(15 ottobre 2010)

 TUTTO SU LITTLE GERARD L HER

2010
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