È difficile essere Macy Gray. È difficile essere, a 42 anni, un’artista di successo con alle spalle 10 anni di carriera e una delle canzoni più famose dell’ultima decade, I Try. È difficile ancora di più se sei una donna, se sei di colore e se da te lo showbiz si aspetta il rispetto del breakeven – oh, i discorsi economici spurii, quanto poco piacciono agli artisti. È una responsabilità mantenere alto lo standard quando sulle spalle hai la croce e delizia di due Grammy e 15 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. E se la testa ti gira un poco e il successo piomba su di te all’improvviso, è anche comprensibile che tu compia qualche passo falso (come partecipare alla versione americana di “Ballando con le stelle” e finendo fuori al primo televoto), che tu metta il piede in fallo e che sfiori il rischio di terminare dimenticata, anzi, ricordata solo per una canzone. Potrebbe succedere perfino che qualcuno arrivi a chiederti di cambiarti, stravolgerti, seguire di più le mode perché occorre vendere dischi. Potrebbe succedere che il pensiero di svenderti un po’ ti accarezzi la mente … Ma invece no. Proprio perché ti chiami Macy Gray questo non lo farai mai, e proprio perché dell’integrità e della coerenza hai fatto le tue ragioni artistiche sai che, comunque andrà, ne sarai convinta e contenta perché fatto di testa tua.
Macy Gray è una di quelle artiste tutte d’un pezzo che non devono e non amano giustificarsi. In un mondo che rotola verso la dance, trainato dal carrozzone delle diverse Lady Gaga e dal talento da passerella di Beyoncé, in febbricitante attesa di un nuovo lavoro della Winehouse perduta, affamato di show sempre più da capogiro lei non ci sta. Guarda lo spettacolo passare e poi continua dritta per la sua strada, che è quella del pop soul che 11 anni fa l’ha portata in trionfo, essenziale, pulito e senza alcun tipo di contorno fashion. Pop soul no frills. A tre anni da “Big”, il Grande Flop, Macy Gray ci riprova con “The Sellout” e questa volta cambia tutte le carte in tavola.
Punto primo: decide lei. Non ci sarà nessun produttore da milioni di dollari, nessuna collaborazione blasonata per compiacere le classifiche, nessuna concessione alla moda pop.
Punto secondo: questa volta sarà davvero onesta. Nello scegliere le persone con cui collaborare, nel raccontare storie, nel mettersi in gioco in prima persona.
Punto terzo: farà solo quello che si sentirà di fare. E guai a chi osasse dirle “no ma secondo me dovresti …”!
Macy Gray era arrivata ad un punto delicato della sua vita. 10 anni di carriera, 4 album alle spalle e nessuno in grado di eguagliare il successo del primo, “On How Life Is” (1999), il fatidico compleanno degli -anta appena passato, una serie di relazioni finite male, e quel fantasma di I Try da esorcizzare; una canzone che ancora oggi si sente spesso in radio, come poteva superarla? Macy ci prova con Beauty In The World, il rovescio della medaglia di I Try: è allegra, solare, ritmo incalzante e tema positivo, quante cose belle ci sono al mondo. È furbetta al punto giusto, ma la sua schiettezza è evidente come non mai. Inevitabile che a “qualcuno” finisse per piacere: Beauty In The World è stata scelta come musica di chiusura dell’ultima puntata del telefilm cult “Ugly Betty”, conclusione ideale di un evento mediatico che ha fatto della fiducia in se stessi e dell’originalità individuale ad ogni costo un punto di forza. Betty non si è mai svenduta, e nemmeno lo ha mai fatto Macy.
“Dopo che ‘Big’ è andato così male mi sono detta, forse dovrei fare quello che stanno facendo tutti: prendere i migliori produttori, autori, dimagrire. Ma nessuna di queste persone mi ha mai richiamato”. Non ha difficoltà ad ammettere di essere caduta nella tentazione di cambiarsi, pur di tornare in alto. Ma è stato l’orgoglio di donna ferita, abbandonata e sottovalutata a farle alzare la testa. “Ero terrorizzata, non sapevo più cosa fare. Intorno c’erano tutte queste persone a dirmi quanto fossi figa e poi sono spariti tutti”. E così Macy invece che auto commiserarsi ha capito che il problema non era suo, ma degli altri. “Ho affittato uno studio di registrazione e mi sono rinchiusa lì dentro. Appena ho scritto qualche canzone mi sono accorta che mi piacevano; volevo fortemente tornare ad essere quella di un tempo, erano i miei soldi e potevo fare quello che volevo, senza rendere conto a nessuno”.
Ad aiutarla alcuni amici, tra cui i Velvet Revolver (in Kissed It) e Bobby Brown (in Real Love); il missaggio affidato a Manny Marroquin. “Ero arrivata ad un punto della mia carriera in cui avevo fatto tutto quello che mi era stato chiesto di fare, e così avevo perso il contatto con la vera me stessa. Ci ho messo un anno a costruire questo album, nessuna pressione, nessun parere esterno, e ho scelto di lavorare solo con le persone che mi volevano bene. Per questo ‘The Sellout’ riflette la mia vera identità. Sento di aver finalmente fatto l’album che ero in grado di fare e che i miei fan desideravano. Queste sono tra le canzoni più belle che abbia mai scritto”. “The Sellout” è l’album della rinascita, un forte segnale di emancipazione e forza di volontà da parte di Macy Gray quando nessuno si sarebbe da lei più aspettato una zampata di leonessa.
Raggiungiamo Macy Gray a Londra per farci raccontare da lei cosa significa rinascere, e fino a che punto certe volte occorre arrivare per evitare di svendersi.
Ha detto che questo è il disco che aveva sempre desiderato fare. Essendo il quinto, viene da chiedersi: perché a questo punto della sua vita e non prima?
“Il momento di svolta è stato l’ultimo album che ho fatto, ‘Big’. Lì mi sono sentita ripetere di continuo di fare le cose in una certa maniera e io mi sono lasciata condurre, mi sono affidata al giudizio degli altri. Viste come sono andate le cose, ho pensato che se proprio deve andar male, voglio che sia perché sono io ad aver preso una decisione sbagliata. In questo senso, mi sono messa al lavoro sentendomi libera da tutte quelle costrizioni che mi avevano fatto perdere il senso di me. Se ‘Big’ fosse andato diversamente, non so cosa sarebbe successo o come sarebbe stato questo album”.
Qual è stato il punto di rottura, il momento in cui si è accorta che doveva cambiare idea su come fare?
“Non ho mai cambiato idea, dentro di me sapevo quale era la strada da percorrere; solo che, per insicurezze mie o per eccesso di fiducia verso le persone con cui stavo lavorando, ho preferito dar retta agli altri”.
Che cosa volevano da lei queste persone?
“Le solite cose, che scegliessi una via più facile, più da classifica, che mi vestissi diversamente, che cambiassi il mio look, il taglio di capelli, il peso, che fossi più facile da vendere secondo gli standard attuali, insomma; ma adesso sono determinata a fare solo quello che so fare meglio”.
Non ha mai provato ad opporre resistenza?
“In parte. Non ero convinta fino in fondo di alcune cose che mi sono state proposte, alcune le ho rifiutate. Però ci sono momenti della vita in cui non sei forte abbastanza, e ci sono persone che invece hanno una forza straordinaria nel convincerti che le loro idee sono quelle giuste”.
Queste insistenti opinioni per modificare la sua persona la hanno condizionata anche a livello psicologico?
“Sì, certo. Profondamente”.
Che cosa l’ha ferita più di tutto?
“Non tanto ferita, quanto mi ha lasciato basita: il fatto che molte etichette a cui presentavo il mio progetto mi lasciassero intendere che il mio profilo non si adattava al mercato, e il motivo principale era che ero troppo ‘adulta’. Forse intendevano ‘vecchia’! Ma perché, mi domandavo? A 40 anni la vita continua esattamente come a 30”.
È difficile quindi preservare la fiducia in se stessi, in questi contesti?
“Richiede un certo impegno, molta forza di volontà e anche un po’ di sfrontatezza, per andare contro il parere di chi vuole convincerti di aver ragione. Però non sono l’unica. Molti altri artisti con cui ho parlato si sono ritrovati nella mia condizione, non tutti riescono a far fronte alle pressioni esterne ma la maggior parte di loro ha vissuto sulla propria pelle questo conflitto tra essere se stessi e essere chi è più conveniente essere”.
C’è un trucco per non lasciarsi abbindolare?
“Dipende solo da quanto stai bene nei tuoi panni, e da quanto sei disposto a difendere la tua integrità”.
Lei ha imparato lungo il percorso, questa forza, o fa parte del suo carattere?
“L’ho imparato. A mie spese”.
Secondo lei il fatto di essere una donna può aver costituito un elemento di naturale svantaggio? Voglio dire, molte volte ci si aspetta dalle donne che rientrino in un preciso stereotipo estetico.
“Alle donne si chiede spesso di vestirsi in una certa maniera, parlare, esporsi, e rendersi disponibili come certi uomini si aspettano. A qualcuna potrebbe anche andar bene, in fondo è facile: cambi il trucco e tutti a farti i complimenti. La pressione c’è ed è inevitabile. Però essere donne ci dà anche un certo vantaggio: siamo più abituate a portare fardelli sulle spalle, a sopportare il dolore, siamo abituate ad essere forti in una maniera che molti uomini non conoscono. Questa è l’unica possibilità di sopravvivenza per noi donne”.
Lei ha incontrato molti artisti disposti a svendersi pur di arrivare?
“Eccome, sì. Però ci sono persone che riescono a svendersi alla grande e ad arrivare felici a fine giornata, contenti di quanto hanno fatto anche se non li rappresenta. Ma non sono artisti. Sono solo pedine di un sistema. Un vero artista non è disposto a cedere a compromessi facili solo per guadagnare qualche copertina, e non tutti quelli che fanno dischi sono veri artisti”.
C’è qualcosa che lei non farebbe mai e poi mai se gliela chiedessero?
“Non ci ho mai pensato. Ma oggi sono pronta a dire di no a tutto quello che non mi convince”.
A 42 anni quale è la via da percorrere per un’artista che sceglie di rimettersi in gioco in un mondo di giovanissimi? Su cosa puntare?
“Sulle proprie unicità. La mia penso sia la voce, per cui ho lavorato sodo per registrare un disco di cui fossi soddisfatta, che potesse piacere e che mettesse in risalto le mie qualità artistiche”.
Cambierebbe qualcosa di quanto è successo nella sua vita artistica?
“Non saprei. Ci sono state delle scelte forse non del tutto giuste, viste col senno di poi, però è grazie a questi errori che ho potuto scrivere un album come ‘The Sellout’ per cui alla luce di ciò no, non cambierei nulla”.
Se dovesse definire “The Sellout” con una parola?
“Lovely”.
Il primo singolo, Beauty In The World, ha già avuto un bel riconoscimento: chiude l’ultima puntata di “Ugly Betty”.
“Vado pazza per quel telefilm, quando mi hanno chiesto se potevano usare la canzone ero al contempo felicissima ed onorata e triste, perché sapevo che ‘Ugly Betty’ sarebbe finito”.
Cosa pensa di questa scelta?
“La trovo molto pertinente. Non solo per le parole, ma anche per il mood positivo e costruttivo che accomuna la canzone alla poetica della serie tv”.
È vero che la canzone le è stata ispirata dalla risata dei suoi figli?
“Sì, ero molto triste quel giorno e li ho sentiti ridere. Ho pensato: ‘per fortuna che ci siete’, e mi sono sentita meglio a saperli felici, anche se magari stavano ridendo per una sciocchezza”.
Ascoltando una canzone sembra facile, ma com’è trovare la bellezza delle cose nella vita di tutti i giorni?
“Per me non è complicato, si tratta solo di tenere aperti gli occhi e rendersi disponibili ad ascoltare, l’ispirazione è praticamente ovunque”.
Più nelle cose o dentro se stessi?
“Non do molta importanza alla sorgente in sé. La bellezza è qualcosa che va al di là di quello che l’occhio può vedere, ci sono cose che è difficile definire come oggettivamente belle ma che ci fanno stare bene, e poi ci sono cose che non chiamiamo ‘belle’ ma che smuovono in noi questa sete di bellezza, come le canzoni, le persone interessanti, il sapore di un buon cibo. La bellezza esiste anche se non la vediamo, ad un certo punto entra dentro noi e ci fa sentire felici”.
Che forma ha il bello per lei?
“La musica, senz’altro. E le tartarughe. Le tartarughe non sono per niente belle se ci pensi, però immediatamente fanno tenerezza, per come si muovono, per questa idea di lentezza nello spingersi avanti; quando nuotano riescono ad essere così serene e a trasmetterlo … Potrei guardarle per ore”.
Fa specie che abbia scritto Beauty In The World in quello che per lei era un momento psicologico poco favorevole. È una canzone di reazione? O una preghiera di speranza?
“Non è una canzone essenzialmente personale, nel senso che purtroppo fa parte della natura umana dimenticarsi di cercare il bello nelle piccole cose della vita di tutti i giorni. Abbiamo lavori che non ci soddisfano, conti da far quadrare per arrivare a fine mese, preoccupazioni, poco tempo per pensare e riposarci, e perdere di vista il piacere di un sorriso, di uno sguardo, di una mano è fin troppo facile. Con questa canzone ho voluto ricordare a me stessa e agli altri che occorre sforzarsi di rimanere vigili”.
Qual è la canzone che più la emoziona cantare?
“The Sellout, perché è il testo fa riferimento sia a un discorso di rivalsa personale artistica che ad una situazione privata particolare”.
Ci sono molte canzoni di rottura. È doloroso ripercorrere momenti privati in cui ha tanto sofferto?
“Non più, scrivere per me è liberatorio. Nella prospettiva di essere fino in fondo onesta con i miei fan ho voluto regalare loro anche questi momenti di me”.
Che cosa sente di aver dimostrato con “The Sellout”?
“Che sono un’artista seria. E che sono anche in grado di scrivere belle canzoni, non solo di cantarle” .
WEB: www.macygray.com
Elisa Bellintani
4 agosto 2010
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