Maggio, ma l’aria di primavera non si annusa neanche da lontano, anzi: tutto sa di pioggia. Milano vista dai piani alti della Warner è particolarmente suggestiva: l’agglomerato di nuvole grigie gravide d’acqua si spalma su tutta la città e pare non ci sia scampo. O scarica o arriverà il vento ad alleggerire tutto. Il clima è lo stesso di un anno fa - una primavera inoltrata senza voglia alcuna di far capolino in città - quando mi volgevo ad incontrare Cesare per parlare della sua gran voglia di scrittura che lo aveva portato in libreria con ‘Le ali sotto ai piedi’, e in radio con Il Pagliaccio (quarto singolo del disco di inediti “Il primo bacio sulla luna”). La sigaretta è fedele compagna di chiacchiere.
Un anno intenso di pubblicazioni legate ai tuoi primi dieci anni nella musica; prima il libro autobiografico, oggi un Greatest Hits.
“C’è un momento per tutto, anche per guardarsi indietro. Il mio desiderio era quello di fare un disco che contenesse tutti i singoli che sono usciti durante il mio percorso musicale prima con i Lunapop e poi come solista. Ma non riuscendo a far contenere una ventina di canzoni in un unico cd, mi son potuto permettere di ripercorrere un tempo più dilatato dove far entrare anche le mie preferenze personali, come Sardegna, Mille Galassie e Il primo bacio sulla Luna. Secondo me si è arricchito tantissimo così”.
E come si presenta questo tempo musicale?
“L’ordine delle canzoni è prettamente cronologico. È un’autobiografia musicata. Per ora l’ho ascoltata una volta e mi sono emozionato. L’emozione che ogni canzone ha addosso è irripetibile. È bello poter fermare nel tempo ogni momento, come del resto ha fatto il libro. L’artista parla spesso di vita, è una sorta di malattia di chi scrive canzoni quello di pensare alla vita”.
Come il libro ‘Le ali sotto ai piedi’ entra nel disco e viceversa?
“Il libro è un progetto destinato a raccontare la mia vita prima dell’uscita del primo disco con i Lunapop. Il disco prende tutto il percorso musicale… Quindi è vita!”.
Questo ‘Best’ risulta speciale anche nel prezzo…
“Partendo dal presupposto che sentivo l’esigenza che avesse un respiro per tutti e non si chiudesse in se stesso, ho chiesto alla mia casa discografica che questo doppio cd avesse il costo di un disco. Volevo non fosse pretenzioso e alla portata di tutti”.
All’interno del Greatest Hits ci sono due singoli, e mi fa specie che entrambi siano impreziositi da collaborazioni e non ci sia ‘solo’ Cesare, come mai?
“Se fosse stato libero anche Brian May dei Queen avrei fatto l’amplein! Da anni - sognando un ‘Best’ - pensavo di poter inserire persone importanti. Jovanotti era, quando ho iniziato a scrivere a 13 anni, il mio mito e sento di dovergli molto. Malika rappresenta una parte del mio presente. Sono canzoni simbolicamente molto importanti e dove mi metto allo scoperto”.
Negli inediti sottolineano la bellezza e ricchezza delle collaborazioni, aspetto che si sta riprendendo in considerazione nella musica italiana…
“Credo che Lorenzo con la canzone Domani abbia cambiato le sorti della musica italiana, facendola riunire. Lui ha fatto della libertà di scelta e naturalezza il suo punto di forza, è un genio”.
Jovanotti sa di essere stato il tuo mito?
“Certo e per lui è stato un grande attestato di stima. Io appartengo alla generazione successiva alla sua, musicalmente parlando. Spero un giorno possa succedere anche a me di sentirmi dire un ‘grazie’ dalla generazione chessò, del ’95”.
Come si uniscono tutte le canzoni?
“Mi piace l’idea di un filo conduttore che le unisce tutte quante. Questa grande forza ce l’ha la musica pop. In quattro minuti unisce vite numerosissime, diversissime e lontane. È bello che la musica riesca a mantenere forza in una società distratta come questa”.
Cosa rappresenta per te la musica?
“Alla musica riconosco un valore immenso. E per me è un grande onore poterne far parte e per lo stesso motivo ogni tanto ho bisogno di fermarmi e non esserci. Ho dato ad il nome ad un disco proprio su questo concetto: ‘Maggese’ è quel trattamento agricolo in base al quale un terreno o un campo viene lasciato per qualche tempo a riposo senza essere seminato, pur essendo concimato e lavorato con una certa frequenza, affinché torni fertile. Un disco è lavoro ma anche vita e spesso raccoglie i suoi frutti. Bob Dylan dice: ‘quando scrivo non vivo’ ed è una grande verità. Ma la vita serve proprio per entrare in studio. Gli anni ’60 hanno unito la storia popolare nell’immaginario comune che lega generazioni.
Io personalmente faccio fatica ad uscirne perché se devo scegliere un modello di comunicazione tra gli anni ’60 e Lady Gaga, scelgo il primo. Pur riconoscendo a Lady Gaga un valore”.
In un disco dove si va a ripercorrere la propria musica non mancano mai anche accenni a qualcosa di nuovo. Cosa rappresentano per te queste nuove canzoni?
“Per promuovere un disco servono canzoni nuove che lo lancino. Se la domanda è quanto e come entrano, ti assicuro che questa piccola fatica si inserisce in un progetto discografico futuro. Per me è una raccolta che ha un valore emotivo molto forte. È un guardarsi indietro, un bisogno fondamentale che ogni tanto ci si deve imporre di fare.
I singoli sono due canzoni molto belle, se devo dare una definizione, hanno un marchio sonoro importante. Questo è il mio suono e mi fa rimanere molto orgoglioso”.
Dopo l’uscita del ‘meglio di’ cosa succede?
“Ora sono molto concentrato sulle due nuove canzoni. Mondo ha ottenuto un risultato importante nelle radio, è entrato molto prima rispetto alle mie altre canzoni. Ho voglia che la gente venga a conoscere le mie canzoni, in questi dieci anni non tutti hanno vissuto il mio percorso e questo può essere un modo per presentarmi o presentare cose di me che ancora non conoscono”.
Quasi un po’ di voglia di fermare la gente distratta di cui si parlava prima…
“Faccio fatica a pensare di giudicare un artista senza viverlo live e questa presunzione in generale non mi piace negli altri: come si fa a parlare senza conoscere qualcosa o qualcuno? Così come faccio fatica ad esprimere il giudizio su qualcosa che non ho vissuto o visto. Il live è il momento dove assaggi la musica. È come il cibo. Leggendo gli ingredienti o guardando una foto non puoi capirne il sapore e dire di conoscerlo, altrimenti viviamo di cose che non abbiamo vissuto”.
Cosa manca oggi?
“Sicuramente c’è la mancanza di voglia di fermarsi, anche se sento un ritorno al desiderio. Il live cresce e mi fa piacere”.
E tu come vivi quello che sta ‘intorno’ alla musica?
“Sono sempre più insofferente alla televisione, a quando ci sto dentro. E chi mi conosce lo percepisce quando mi vede. La strada che seguirò sarà sempre più orientata alla musica dal vivo e nelle radio. Perché quando sei in radio comunichi come tu fossi ad occhi chiusi… è questo il ritorno che mi dà la radio. E per il live so che mi ripeto: è l’espressione massima. Per l’artista è il momento più grande. Il pubblico è disponibile a portare a casa sottopelle l’emozione e la tua musica. e poi è un grande momento di aggregazione. Sento che ormai c’è una grande chiusura e diffidenza verso l’abbraccio. E i live e lo sport sono le poche realtà dove sia possibile stare vicino agli altri”.
Come è il tuo pubblico?
“In questi anni ho acquistato molto dal pubblico. Ho cercato di delinearlo soprattutto dal passaggio a solista. Per mia fortuna ho un interlocutore, un artista perso è quello che ha un pubblico che non ascolta. Il mio pubblico? Mi assomiglia”.
‘Il tarlo della vita è il nostro orgoglio, questo è il posto che mi piace e si chiama mondo’ canta insieme a Jovanotti in Mondo, singolo che ha anticipato la raccolta di dieci anni di sua musica. Con la voglia di muoverlo questo mondo, smuoverlo, amarlo, respirarlo, di viverci intorno. E poi vita, quella che continua ad ostinarsi a cantare. Dimostrazione che continua ad avere una marcia in più, un passo avanti rispetto allo stordimento e al frastuono che c’è intorno. Una scommessa che continua a vincere, dall’alto dei suoi giovani trent’anni, ma con la grinta di trent’anni vissuti. E questo mondo ‘gira gira e non si ferma mai ad aspettare’.
Solo il tempo fuori rimane uguale.
Elena Ferraro
(11 giugno 2010)
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