Sono in 4 e vengono da Southend. I These New Puritans sono la band che non ti aspetti, perché sfuggono a qualsiasi convenzione e si muovono imprevedibili in una scena musicale fin troppo scontata. Vita facile, la loro, potrebbe sembrare: e invece dopo un esordio interessante come “Beat Pyramid” (2008), fatto di hip hop rivisitato in chiave post punk, hanno completamente cambiato rotta con il nuovo “Hidden”. E il rischio ha pagato: tra flauti, tromboni, tamburi taiko e cori di bambini l’effetto è quello della quiete dell’accampamento militare poco prima della mattanza. Ispirati da una forte carica di energia ancestrale, i These New Puritans non hanno dubbi: la bellezza sta nella forza, e la forza è anche terrore. Incontriamo Jack Barnett a poche ore dalla data live milanese.
Una delle parole più ricorrenti abbinata al vostro nome è “artistico”, “arte”. L’etichetta vi sta bene?
“No per niente, perché innanzitutto cosa è artistico oggi? Qualcosa che esce dagli schemi? Qualcosa che ha un valore assoluto? Qualcosa che emoziona più del normale? Di un’etichetta così confusa non ce ne facciamo niente. E poi non la vogliamo, non mi piace l’idea di vederci ingabbiati in un genere o una parola”.
Il concetto di arte, poi, presuppone una presa di coscienza forte: voi sentite di averla?
“Tutto quello che facciamo non è dettato da un istinto che spinge in una determinata direzione con l’intenzione di perseguirla. Non abbiamo uno ‘scopo’. Facciamo quello che facciamo perché … perché è così, è successo e basta”.
In un momento in cui il guitar pop è la soluzione più ammiccante e gli anni ’80 la fanno da padrone avete fatto una scelta coraggiosa: ignorare entrambe le cose.
“Ma poi mi chiedo: cosa sarà mai tutta questa ossessione per gli anni ’80? Tu mi sai spiegare perché su 10 band che ci sono in giro 9 si rifanno ostinatamente agli anni ’80?”.
Penso sia moda, in questo momento.
“Una moda ridicola. Non ho niente contro gli anni ’80, ma contro chi non ha null’altro da dire che fare citazioni aggiornate, ma pur sempre citazioni”.
Secondo te è un vantaggio per voi fare qualcosa di diverso, che si staglia rispetto a quello che fanno gli altri?
“Non lo so. In termini di vendite ti dico di no, perché le produzioni da classifica sono molto lontane da quello che proponiamo noi. Certo non essere allineati ti dà un certo margine di visibilità, anche la stampa si entusiasma quando sente qualcosa di nuovo. Ad ogni modo non mi interessa. Quello che conta è essere coerenti e convinti con noi stessi”.
La stampa tutta sembra entusiasta di voi. La cosa vi solletica?
“Sì e no, perché poi sai cosa accade? Scrivono cose sbagliate su di noi. Tipo il discorso di prima, che siamo una band artistica, o che siamo alternativi, o ancora che incitiamo alla ribellione o cose così … Scambiano per pensieri nostri delle idee e sensazioni che hanno loro sulla nostra musica. Meglio che non ci penso se no poi mi arrabbio”.
Cori, tromboni, tamburi taiko: a me viene in mente subito un campo di battaglia e un generale che incita i suoi soldati. Questo è il mio pensiero, lo condividi?
“Lo pensano in tanti. Sì, in un certo senso sì. L’idea è la carica, l’energia, la fisicità. Ma non il desiderio di fare del male o uccidere. Del resto nemmeno ai soldati in battaglia la guerra piaceva”.
Come definiresti il mood di “Hidden”?
“Marziale, atavico. Fa appello a quella parte animale che tutti abbiamo dentro e la vuole smuovere”.
È faticoso per voi suonare questo tipo di musica?
“Per mio fratello George senz’altro, richiede molto sforzo fisico e concentrazione. Sulle sue percussioni si appoggia tutto, poi subentrano i tamburi di Thomas e la fatica diventa trance. Ecco, questa musica ha un potere quasi ipnotico su di noi, ci fa sentire ispirati”.
Nei vostri video invece ho notato che spesso mettete come protagonisti dei corpi nudi. È la bellezza della fisicità?
“La nostra musica è molto fisica, pretende contatto, e muscolare. Mostrare un corpo in tensione, in movimento, immobile è un omaggio alla sua forza”.
Sei d’accordo con quello che dicevano i Greci, che la bellezza sta anche nel terrore?
“E’ una frase perfetta. Sì, la bellezza sta anche nella forza spaventosa di un corpo pronto al combattimento”.
Ci sono elementi sonori particolari in “Hidden”, dalle spade sguainate alle catene fino al melone sfasciato. Sono parte attiva del processo creativo o si tratta di aggiunte fatte in un secondo tempo per arricchire la texture?
“Siamo una band molto, molto meticolosa. Avrai notato che ogni suono è esattamente dove dovrebbe essere, e sta lì perché c’è un motivo; questi suoni sono embrioni che si sono appoggiati all’idea che avevo in mente, e che con il lavoro di cesello successivo sono approdati al posto giusto”.
Ho letto che tendi ad essere molto deciso nei confronti della tua estetica e della tua idea artistica. Come si incastra questa tua forte personalità nelle dinamiche di una band a 4?
“Gli altri si fidano di me, e apprezzano quello che propongo loro. A mio fratello mando delle idee sulle percussioni e lui mi porta una parte finita, su cui poi io costruisco la melodia. C’è collaborazione, alla fine, anche se pretendo il massimo da tutti. Aver co-prodotto l’album è un segno che mi piace portare questi discorsi fino in fondo. Non che non mi fidi di un produttore esterno. Solo che piace farlo a me”.
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