Le connessioni e la rete di creatività fra le persone sono stati elementi fondanti del progetto Motel Connection sin dai suoi albori, quando Samuel, inconfondibile voce dei Subsonica, ha deciso di riunire sotto lo stesso tetto il bassista Pierfunk, suo compagno di viaggio nei primi due album della band torinese, e DJ Pisti, cofondatore del progetto Krakatoa. Dalla loro comparsa all´inizio del nuovo millennio i Motel Connection sono diventati nel giro di un paio di anni una delle realtà più solide, dinamiche ed interessanti della scena elettronica del nostro paese: Two, il primo singolo estratto dall´album d´esordio “Give Me A Good Reason To Wake Up”, è diventato uno dei brani di maggior successo delle dancefloor e non solo, garantendo al trio una presenza costante sui palchi di tutta Italia. Ora, a quattro anni dal precedente “Do I Have A Life?” e a un anno da quando abbiamo ricominciato a sentir parlare del loro nuovo progetto discografico con la diffusione online del brano H.E.R.O.I.N, la band dà finalmente alle stampe il suo terzo album: un´opera complessa e ramificata oltre i confini della musica, che vive di connessioni creative.
Già ad un primo ascolto superficiale ci si rende conto di come in “H.E.R.O.I.N.” il vostro sound sia abbastanza diverso da quello dei dischi precedenti: le atmosfere cambiano, sono più aperte, le canzoni sembrano prendere il sopravvento sulla produzione.
“Iniziando a lavorare su questo nuovo disco ci siamo resi conto che negli ultimi lavori con i Motel Connection ci stavamo trasformando più in un trio di produttori che in una band fatta da due musicisti e un DJ. In questo album volevamo riprendere la linea su cui ci siamo mossi all´inizio, il nostro stimolo iniziale, riprendere il nostro metodo di lavoro in cui il nostro DJ mixava ci dava degli stimoli, creava dei beat su cui io e Pierfunk andavamo poi a creare armonie e linee melodiche. Ci siamo allontanati dall´idea di ciclicità e di lavoro in loop: d´altronde una delle nostre caratteristiche, sin dall´inizio, è sempre stata quella di applicare la forma canzone alla musica elettronica, soprattutto per quanto riguarda i testi”.
Per la prima volta non siete stati solamente in tre a lavorare sulla produzione del disco, ma siete stati affiancati nientemeno che da Stefano “Stylophonic” Fontana. Come mai la decisione di immettere un nuovo elemento nel vostro processo creativo?
“E´ stata una decisione portata sempre dal desiderio di tornare ad essere più una band che un trio di produttori: abbiamo pensato che non ci fosse nulla di meglio, per sottolineare questo passaggio, di cercare un produttore esterno che coordinasse il lavoro liberandoci di parte degli oneri produttivi. La scelta è ricaduta su Stefano non solo perché è uno dei produttori di musica elettronica più importanti in Italia, ma anche e soprattutto perché in lui abbiamo trovato una buona vicinanza a livello di gusti e di vedute”.
In che modo la sua presenza ha influito sul cambiamento avvenuto nel vostro sound?
“Stefano ha sostanzialmente influito sul colore del disco e ha definito il suono complessivo, anche se per la scrittura dei pezzi abbiamo seguito un metodo più da band tradizionale e le canzoni erano già scritte al momento in cui siamo entrati in studio per registrarle. Era anche quello il motivo per cui lo abbiamo cercato: sicuramente lui ha un approccio e una sonorità molto più orientata verso l´Inghilterra, tanto che con gli Stylophonic è stato anche in cima alle classifiche UK, mentre noi come produttori siamo più orientati verso gli Stati Uniti e il sound di Detroit, ed è stato interessante vedere come questi due elementi si siano mischiati nel disco. Ad esempio in Uppercut il suono del pianoforte è molto americano, mentre nelle basi ritmiche si trovano alcune sonorità più scure e dark più vicine ai suoni tipici inglesi; questo si vede anche nella title track, H.E.R.O.I.N., in cui l´approccio della scrittura è di stampo statunitense anche se è poi irregimentato in una gabbia sonora più british”.
Oltre a Fontana, al disco hanno anche collaborato l´artista giapponese Tomozaku Matsuyama, che ha curato la copertina del disco, e il fotografo Paolo Pellegrin, una scelta molto particolare visto che è un reporter e non un fotografo specializzato in musica.
“La prerogativa principale di questo lavoro è stata quella di guardarsi intorno, non precludersi alcuna strada e cercare spunti creativi ovunque, e siamo stati molto fortunati a riuscire a raccogliere nel nostro entourage una creatività del genere. Questi incontri sono avvenuti principalmente grazie a Pisti, che ha un passato da gallerista, e tutta la sua famiglia è in quell´ambiente, ed è riuscito a mettersi in contatto non solo con Matsuyama ma anche con la Magnum, l´agenzia che gestisce Paolo: anche perché sennò non avremmo mai avuto la fortuna di poter lavorare con uno dei fotografi più importanti al mondo! E´ stato molto gentile, è venuto da Parigi per una giornata di shooting, e si è così interessato al progetto che ci seguirà in parte del tour per creare un reportage, un book fotografico dei nostri live”.
Però “H.E.R.O.I.N.” non è solo un disco, ma un vero e proprio progetto crossmediale: com´è nata l´idea, e come si è sviluppata?
“Quando abbiamo iniziato a pensare a questo nuovo progetto abbiamo deciso di partire da un presupposto creativo, quello di rendere la creatività il perno centrale del progetto, perché la creatività non deve essere una risorsa limitata ad un´élite di specialisti o artisti, ma è presente in ogni essere umano. Quindi, completato il primo brano, abbiamo deciso di iniziare a farlo gravitare anche in ambienti non musicali, per vedere cosa ne veniva fuori: la risposta è stata buona e ne è uscito un videogioco scaricabile gratuitamente dal nostro sito, un fumetto realizzato da due studenti della Scuola Internazionale di Comics di Roma, e un video che uscirà a breve”.
So che state collaborando anche a un progetto di sostenibilità ambientale curato dal Politecnico di Torino. In cosa consiste?
“L´idea sviluppata dal Politecnico parte da un presupposto naturale, cioè quello secondo cui in natura ogni cosa riutilizza gli scarti di un´altra per la propria sopravvivenza: operano in questo modo i cinque elementi, utilizzando l´uno gli scarti dell´altro, allo stesso modo in cui avviene la fotosintesi clorofilliana, per cui le piante si nutrono di un nostro scarto, l´anidride carbonica, e ci restituiscono ossigeno. Questo meccanismo può essere trasferito anche nel mondo industriale, per cercare di avvicinarsi il più possibile ad un sistema ad impatto zero, creando una rete sistemica di aziende che utilizzino l´una gli scarti dell´altra: un´operazione che non solo fa bene all´ambiente, ma anche alle aziende e all´economia. Diciamo che è un metodo non moralista di affrontare la cosa: anziché ammonire con un semplice ´non inquinare´, è provare a dire ´cerca di utilizzare una rete per ottimizzare le risorse, riutilizzando i materiali che già esistono´. Tornando sul discorso della creatività, anche creare queste interconnessioni è un lavoro creativo: bisogna trovare le aziende, pensare al modo giusto per farle collaborare, linkarle tra loro”.
E voi in che modo collaborate al progetto?
“Noi facciamo al nostra parte applicando questo principio alla nostra tournée. Vogliamo dimostrare che è possibile avvicinarsi ad un tour ad impatto sempre più ridotto: inizieremo raccogliendo dei dati, come ad esempio quante bottigliette di plastica vengono consumate nel corso del concerto, quanto tempo prendono le prove del gruppo e quindi quanta energia viene consumata, oppure stimare a seconda del numero di persone presenti al concerto quante automobili sono state utilizzate. Con queste informazioni cercheremo poi di adattare il nostro tour per renderlo a impatto zero”.
web: www.motelconnection.net
Alberto Lepri
(17 marzo 2010)
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