Per quegli artisti che si possono definire veramente sperimentali la musica sembra quasi sempre un gioco, forse perché solo un approccio scanzonato e privo di preconcetti come quello che ha un bambino che gioca e scopre il mondo intorno a sé permette di approcciare il lavoro compositivo in maniera totalmente libera: questo è proprio il caso degli Hot Chip, che con la loro sonorità ben riconoscibile e mai scontata sono riusciti negli anni a consolidare la propria posizione fra i fenomeni musicali più interessanti del Regno Unito. Ora, all´alba del nuovo decennio, si preparano a mischiare nuovamente le carte in tavola pubblicando un nuovo album, il quarto, un lavoro ancora una volta sorprendentemente diverso dalle precedenti produzioni della band: del disco, del loro modo di comporre e della loro vita abbiamo parlato con il chitarrista Al Doyle.
Solo dando un´occhiata veloce alla tracklist ci si accorge che quasi tutti i titoli delle canzoni contenute in “One Life Stand” hanno in qualche modo a che fare con l´amore: come mai?
“Il fatto che molte delle canzoni sul disco abbiano come argomento l´amore non è stata una scelta presa a priori ma è innegabile che volendo fare un album pop risulti facile finire a parlare di amore, perché è la cosa con cui tutti hanno a che fare, in cui tutti quelli che ti ascoltano possono riconoscersi, e credo infatti che questo album possa essere più semplice da capire, per le persone. In più negli ultimi anni le nostre vite sono molto cambiate: chi ha avuto dei figli, chi sta mettendo su famiglia. Volevamo esprimere questi sentimenti, non comporre un concept album sull´amore!”.
In questo vostro ultimo lavoro si sente molti riferimenti stilistici alla musica soul, non solo nelle ballad ma anche nei pezzi più ritmati e dance. Cosa vi ha ispirato in particolare?
“In quest´album è effettivamente forte l´influenza del soul, del gospel americano, di tutta quella corrente musicale che si muoveva attorno alla Motown e alla Stax Records. Sono riferimenti che sono sempre stati nel nostro stile e nella nostra musica, anche se in ´One Life Stand´ questa componente è più marcata: sono sonorità che abbiamo nelle nostre radici, così come lo sono la house, la dance anni ´80 e la dance di Chicago, che ha molte influenze soul e blues”.
Ho notato inoltre che c´è una melanconia di fondo nel disco, non tanto nel testo quanto nelle melodie: la sonorità è a volte dolce, rilassata, ma mai realmente allegra. Uno stile molto diverso da quello dei brani che vi hanno reso celebri, come ad esempio Ready For The Floor.
“Questa è una cosa che abbiamo fatto di proposito. In passato le critiche che abbiamo ricevuto dicevano che i nostri album erano poco omogenei perché contenevano canzoni stilisticamente molto diverse, così questa volta abbiamo voluto fare un disco più coeso. È anche un po´ più serio dei nostri lavori precedenti, ma non è depressivo: il tono melanconico risulta dalla fusione delle nostre diverse tendenze. Credo sia veramente l´album più completo che abbiamo mai realizzato”.
Mentre i vostri primi due album sono stati registrati principalmente in casa, con “Made In The Dark” avevate cercato di variare le modalità di registrazione: come è stata gestita la scrittura e la produzione di “One Life Stand”?
“Il disco è stato completato in otto settimane, e questa volta abbiamo registrato in maniera diversa: anche se molte canzoni sono state scritte come sempre da Alexis e Joe, che ne hanno anche inciso una traccia, le abbiamo poi arrangiate ed incise tutti assieme. Perciò suona molto più lineare di altri nostri dischi: ci sono alcuni brani prodotti in un modo per noi più tradizionale, ma gran parte del disco lo abbiamo prodotto come band, tutti assieme”.
Voi siete sono sempre stati due band in una: la macchina produttiva in studio, e la formazione dal vivo che rielabora di continuo i brani. Ora che registrate tutti assieme, come influisce sul disco il lavoro fatto dal vivo? Penso a canzoni come Alley Cats, che avete inciso per questo album ma che eseguivate già nelle vostre esibizioni live.
“Alley Cats è l´unica canzone che suonavamo già prima di inciderla, ma non saprei dirti quanto il live influisca sulla registrazione: certo, suonando da vivo hai modo di improvvisare e allungare i pezzi, quindi sperimenti molto di più. Nei nostri concerti le canzoni sono sempre state molto diverse rispetto al disco, anche perché non so se riusciremmo a ripetere dal vivo quello che c´è nelle registrazioni, ci sono troppe stratificazioni sonore, troppi strumenti che non sarebbero riproducibili. E poi dal vivo bisogna mantenere in qualche modo un attitudine rude ed energica, e certe canzoni non renderebbero”.
In questi anni avete lavorato con diversi nomi celebri uno su tutti Peter Gabriel, con cui avete fatto una cover di Cape Cod Kwassa Kwassa dei Vampire Weekend. Avete altre collaborazioni in mente?
“Al momento no, ma se dovessi dire con chi mi piacerebbe lavorare probabilmente nominerei grandi songwriter come Neil Young o Leonard Cohen, ma anche con artisti come Beyoncé o Shakira, per entrare in quel mondo. Noi non siamo così mainstream e da classifica, e mi incuriosirebbe vedere come si lavora in quell´ambiente”.
Come vi aspettate che “One Life Stand” sia accolto da pubblico?
“A dire il vero non abbiamo grandissime aspettative: è un buon disco, e quindi spero che la musica parli da sola. In più abbiamo avuto molto supporto da Internet e per il momento abbiamo ricevuto opinioni favorevoli. Ora la cosa che ci interessa di più è tornare a suonare dal vivo, perché siamo stati fermi quasi un anno: ci piacerebbe suonare di più in Italia, perché è un paese che ci ha accolto sempre bene”.
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