Collettivo musicale di ben dieci elementi, i Breakestra si sono imposti negli anni come una vera e propria istituzione della scena musicale di Los Angeles, con uno stile funk unico che richiama il sound dell�epoca d�oro del genere strizzando però l�occhio anche alla modernità. In occasione della pubblicazione del loro ultimo lavoro “Dusk Till Dawn” abbiamo intervistato Miles Tackett, la mente musicale che si nasconde dietro il nome Breakestra.
Siete un ensemble di ben dieci elementi: è una virtù o un difetto? Non è complicato gestire la scrittura musicale in un organico così vasto? “In realtà no, anche perché ormai ci abbiamo preso l�abitudine, è sempre stato così fin dall�inizio: la formazione in verità è così estesa solo per il live, mentre nella lavorazione del disco spesso sono da solo, registro più strumenti o mi faccio aiutare da strumentisti che contatto di volta in volta. Credo che questo sia dovuto al fatto che possiedo uno studio di registrazione, perciò tendo ad essere impaziente e a creare la musica in modo istintivo, come viene a me”.
Nell�ambiente musicale di Los Angeles siete ormai un�istituzione, anche grazie alle vostre famose esibizioni live. Cosa cambia nel suono, tra live e disco? “Probabilmente abbiamo un impatto più forte dal vivo, ma io cerco sempre di registrare in modo da mantenere su disco l’energia del live: dal vivo alcune cose, come la batteria, non suonano mai bene come su disco, ma di solito questa mancanza è compensata dall�energia grezza che si genera live. Trasferire dal vivo la produzione da studio è una vera e propria sfida, ma ci proviamo comunque sempre”.
Il vostro sound è molto influenzato dalla musica soul e funk di fine anni �60 e dei primi anni �70. Quali sono secondo te i dischi migliori di quel periodo?
“Beh, direi: tutti i dischi dei The Meters dagli anni �60 ai �70; gli album dei Kool & The Gang dei primi anni �70, precedenti alla disco; Sly & The Family Stone; e poi James Brown e tutta la sua produzione tra i �60 e i �70, specialmente nel 1969 con Clyde Stubblefield alla batteria, Bootsy Collins al basso e suo fratello Phelps alla chitarra”.
La musica soul e funk degli anni �60 e �70 era creata in un�atmosfera generale di euforia, determinata dalla situazione sociale. In un momento di crisi come quello che viviamo in questo periodo, come si può ancora creare musica funk?
“La vita su questo pianeta è sempre stata una lotta continua, anche se in modo diverso per ogni epoca. Il festeggiamento attraverso la musica è sempre stato una parte importante della vita, una necessità per risollevare lo spirito nei momenti difficili e un impulso naturale nei momenti di pace apparente. La nostra musica contiene sia gioia che dolore, allo stesso modo in cui questo dualismo c�è in moltissime forme musicali e sicuramente anche nella musica funk e soul degli anni �60 e �70”.
Tutto l’album è un tributo a DJ Dusk: che cosa ha significato per te la sua perdita?
“Il disco è un tributo a DJ Dusk in molti modi: ci sono un paio di canzoni riferite direttamente a lui, come Set The Sun e Posed To Be, e in generale la sua memoria mi ha ispirato e aiutato a proseguire e fare questo disco. Fare il dj con lui per tanti anni mi ha permesso di conoscere sonorità a cui non mi ero mai avvicinato e che sono poi finite nel sound dei Breakestra”.
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