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 DAMIANO
DAMIANO CI VORREBBE UN CAMINO ...
CI VORREBBE UN CAMINO ...

Un camino, la sua chitarra e 2 settimane chiuso in una casa lontano da tutti. Damiano festeggia così l’uscita del suo EP “Anima”: cercando l’ispirazione per scrivere – finalmente – le sue canzoni

Esce oggi “Anima”, l’EP di Damiano (Sony Music); un inedito da lui scritto, il singolo Anima già in heavy rotation e tra i brani più scaricati di iTunes, e alcune delle cover più belle interpretate nel corso della sua avventura ad X Factor: La canzone dell’amor perduto di Fabrizio De André, Redemption Song di Bob Marley, Non è per sempre degli Afterhours, Bandiera bianca di Franco Battiato e Baby Can I Hold You di Tracy Chapman. Incontriamo Damiano il giorno dopo la fine della terza edizione che ha visto trionfare Marco Mengoni; arriva in motorino, i capelli inspiegabilmente in piega nonostante il casco, e dal vivo emana un carisma tutto particolare: un misto di “scusate il disturbo” e “questo è il momento più bello della mia vita”. Damiano deve ancora abituarsi alla scaletta, ma ha tutte le carte in regola per riuscire a farcela.

Al tuo primo live dopo essere uscito dalla trasmissione (lunedì 30 novembre a Milano come opening act di Milow, nda) hai riproposto Redemption Song annunciandola più o meno così: “questa è una cover cui tengo molto che ho fatto in una trasmissione televisiva che forse avrete visto”, senza mai citare X Factor. C’è un po’ di imbarazzo dietro questa reticenza?
“Quello di X Factor è un marchio difficile, ti pesa un po’ sulla pelle. Lì mi sono sempre sentito un pesce fuor d’acqua, sono molto timido, e poi era tutto così teso, alienante psicologicamente. Per cui vorrei togliermi al più presto questa cosa del marchio, anche perché la gente mi ferma per strada e mi dice: tu sei quello di X Factor, non dicono Damiano, non si ricordano nemmeno più il mio nome, anche mia madre mi chiama ‘quello di X Factor’…”.

Forse dovresti provare a togliere la barba, passeresti più inosservato.
“E no! Mi direbbero tu sei quello di X Factor… senza barba”.

Non se ne esce, insomma.
“Ma sai, mi sembrava in quell’occasione particolare di andare ad invadere uno spazio non mio. Siamo usciti a cena con Milow e lui ha chiesto a qualcuno indicando me: ma quello chi è? E gli hanno detto: è uno di X Factor, e lui ho visto che ha fatto una faccia come per dire ‘nooo mi portano uno di X Factor’, per cui mi sono sentito in dovere di non invadere il suo spazio”.

“Senza X Factor non sarei arrivato a questo punto. Mi sento un po’ un miracolato”. Miracolato in che senso?
“Miracolato nel senso che sono 15 anni che cerco di fare questo mestiere in maniera credibile e so benissimo quanto è difficile, quanta gente ci prova senza riuscirci e abbandona. Io ho fatto una lunga gavetta, è vero, però ero arrivato a un punto della vita in cui la depressione iniziava a cogliermi ed il pensiero di appendere la chitarra al chiodo a sfiorarmi; col tempo, se non hai ritorni, la stanchezza diventa devastante”.

Quindi concordi che siamo arrivati al punto in cui la vetrina televisiva è l’unica opportunità per farcela?
“In Italia purtroppo funziona così. Penso ci sia un problema culturale legato al gusto, un problema sociale e storico importante. Anche le discografiche non promuovono più, si fanno i loro calcoli e ci pensano bene; X Factor in questo le aiuta, essendo molto seguito la promozione si fa da sé e così si tagliano un sacco di costi. La gente non compra più, scarica, i cd costano troppo … Insomma, le solite cose che si sanno. E il talent show è rimasta l’unica possibilità per un perfetto sconosciuto di combinare qualcosa”.

“Avevo una gran paura, non sapevo cosa avrei fatto, cosa avrei cantato. Invece ho trovato ad attendermi una macchina che si era già messa in moto”. Come ti sei sentito una volta uscito, quando hai trovato tutto questo movimento ad accoglierti?
“Io di carattere mi adagio sulle situazioni, qualunque situazione mi capiti davanti mi adatto e la affronto. Questa è la situazione più agevole che mi sia mai accaduta. Uscito dal programma mi sono trovato catapultato in un nuovo mondo, gli affetti rimangono gli stessi ma le situazioni sono diverse, nuove, e anche il vocabolario è nuovo … I discografici parlano una lingua che mi era sconosciuta, mi porto sempre dietro il batterista che era con me nei Monopolio di Stato che mi fa da traduttore su quello che dicono”.

Cosa vedi allo specchio adesso quando ti alzi al mattino?
“Non riesco ancora a vederci sempre un cantante, però ci vedo un uomo, una completezza che è arrivata con il tempo. Prima mi guardavo allo specchio e mi sentivo a metà, insicuro; per carattere ancora oggi ogni tanto mi sento così, però il più delle volte ci vedo un uomo e anche un cantante. Adesso sono curioso e un po’ spaventato, è un’incognita pensare al disco che scriverò, non so se potrò fare quello che voglio in piena libertà o se dovrò rispettare delle regole. Io ho sempre avuto in testa una direzione musicale ben particolare, ma forse per il primo disco sarebbe un po’ troppo azzardata”.

Sarebbe?
“Ho sempre desiderato fare qualcosa con la world music. La musica ed il viaggio rappresentano le due compagne più grandi della mia vita, e ho pensato di portare la mia canzone d’autore in italiano in Kenya e darle un vestito africano, mariachi in Messico, in Cina. Potessi produrmi da me lo farei di corsa, ma sono convinto che ci siano delle regole di mercato da rispettare, che vogliono un primo disco più pop. Ma dato che il pop si può fare con intelligenza, cercherò di fare tutto con intelligenza”.

Avendo tu già una serie di canzoni tue pronte non ho capito perché nel tuo EP tu abbia infilato un solo inedito, Anima.
“Perché è una cosa scritta da contratto. E poi è stato fatto tutto di corsa, in nemmeno una settimana, e inoltre alcuni dei pezzi che ho scritto non erano pronti, andrebbero riscritti perché non sono adatti per essere venduti così. Al contrario di Anima, che per me è un punto di arrivo”.

Nessuno si sarebbe aspettato da te una canzone di questo genere: pop e molto radio-friendly.
“Io avevo proposto 4 brani alla Sony e loro si sono innamorati tutti di Anima in versione chitarra e voce. Ho usato poche parole perché volevo che il concetto arrivasse, a forza di martellarlo, ma purtroppo non è stato così: certa gente ha detto che è facile scrivere 22 parole ma io dico, almeno contale giuste, sono 23, e poi se dici così vuol dire che non hai capito niente di quello che canto e allora sei solo uno snob di nicchia che guarda X Factor, ma allora che cosa lo guardi a fare X Factor? È un controsenso. Gente snob che parla senza sapere di cosa stia parlando. Questa fetta di persone mi fa incazzare proprio”.

Leggi i commenti che ti lasciano su internet?
“All’inizio sì, ma poi ho capito che preferisco rimanere nella mia bolla di inconsapevolezza e non sapere, ne le cose brutte ne i complimenti. Ho smesso di leggerli ora, voglio usare il tempo solo per scrivere le mie canzoni”.

Quanto lavoro c’è dietro alla scrittura? Le parole di Anima hanno un peso specifico importante che lasciano presupporre una certa opera di rifinitura.
Anima in realtà l’ho scritta in 5 minuti. Mi è uscita così, di getto, ma sono anni di offesa, nervosismo, mala sopportazione di diverse cose compresse che hanno trovato una valvola di sfogo”.

E poi c’è questa cosa che non scrivi canzoni d’amore. Perché? È un sentimento che vuoi rimanga privato o pensi sia troppo banale scrivere di amore?
“Scrivere d’amore è la cosa più difficile che si possa fare. È facilissimo scrivere male canzoni d’amore, ed è molto più facile raccontare la rabbia e l’offesa. Adesso come adesso, poi, ci sono infinite cose che ci fanno incazzare, nella vita di tutti i giorni, in televisione, al telegiornale, la politica … Se scatta l’immedesimazione il desiderio di reagire facendo una canzone diventa fortissimo. L’incazzatura e il dolore per la perdita sono le molle che ti fanno scrivere, più dell’amore, almeno per me”.

Mi ha colpito il ringraziamento che fai ai tuoi genitori, “per essersi fidati”. Cosa intendi?
“Loro sono sempre stati accomodanti nel mio percorso. Già a 15 anni ho battuto i pugni per terra e per 2 anni sono rimasto fermo, perché dicevo che volevo lavorare sulla forma della mia canzone, e loro mi hanno lasciato fare, anche se in casa c’era bisogno perché eravamo in 5 e mio padre lavorava solo lui. E così ho scritto delle canzoni bruttissime, e i miei genitori hanno placato le loro preoccupazioni riguardo alla mia vita, hanno smesso di desiderare per me un lavoro sicuro e mi hanno lasciato libero di scrivere. Poi quando gliele facevo sentire vedevo che si commuovevano, e allora mi sono fatto forza”.

Chissà adesso come si sentiranno!
“Mia madre è pazza di gioia e mio padre mi manda tutte le mattine messaggini d’amore”.

Trasmetti un senso di integrità, nel senso che si sente che questo è quello che vuoi fare fino in fondo. Davvero avresti mollato se non ci fosse stato X Factor? Avresti rinunciato?
“Credo che avrei mollato, sì. Ero arrivato ad un punto morto. Anche perché quel progetto che avevo in mente di world music avrebbe richiesto un certo budget che mi permettesse di vivere viaggiando”.

Se tu ti dovessi valutare, come ti vedi?
“Mi vedo goffo, insicuro, cronico di umiltà al punto di arrivare all’autoflagellazione. Vorrei essere più sicuro e tirarmela un po’ di più, ma non ce la faccio. Avere la sicurezza di dire: adesso sono un cantante. Non ce l’ho. Mi sento ancora un pò spaesato, mi sento gli occhi grandi di un bambino che non sa che fare”.

C’è stato un momento particolare in cui hai capito che avresti voluto fare della musica un mestiere di vita?
“No, ci sono arrivato piano piano a questa consapevolezza. A 15 anni l’idea della musica era per me sfilare i jeans alle ragazzine, a 18-19 anni quando ho conosciuto Fabrizio De André invece è cambiato tutto”.

Come è avvenuto l’incontro?
“Ho accompagnato un mio amico e siamo stati nel suo agriturismo. Io musicalmente non lo conoscevo, allora, dopo ho ascoltato tutta la sua discografia e ho capito cosa voleva dire la scrittura, cosa comportava scrivere musica. Sono arrivato ad un punto di ossessione folle, ci parlavo la sera prima di andare a letto, e prima dei concerti gli rivolgevo una preghierina, e le volte che non l’ho fatto sono successe piccole disgrazie, mi rompevano le corde della chitarra, andava via la luce del palco e cose del genere.

Una figura che ritorna quella di De André: la cover sul tuo EP, il premio De André vinto coi Monopolio di Stato, lo spettacolo “Nuvole Barocche” …
“Una figura che ritorna e che non voglio assolutamente lasciar scappare! Lui è colui che mi ha fatto capire cosa è l’importanza della musica, poi ovvio, mai e poi mai mi avvicinerò alla sua grandezza. Lo guardo come un sacerdote guarda il Cristo”.

Altre figure guida?
“De Gregori, tra i contemporanei Niccolò Fabi, Samuele Bersani, Vinicio Capossela. Bersani mi hanno detto che la scrittura la vive un po’ da ragioniere, si chiude nel suo ufficetto e infila splendide parole, c’è chi dice che poi non le viva sulla sua pelle, ma che importa. Capossela ha una grande tecnica di scrittura e una cultura esagerata, però riesce a rendere tutto vero, ci mette molta onestà. Sto divorando i cantautori, di cose buone in giro ce ne sono tantissime”.

Passiamo al lato più leggero di questa tua improvvisa notorietà. Ho visto questa intervista che ti è stata fatta da una giornalista di Gioia dove ti definiva senza mezzi termini un cantautore “materassabile”. Come ti fa sentire questo tipo di attenzioni?
“Oh mio Dio. E tra l’altro in quell’articolo è stata travisata una cosa che ho detto, è stato scritto che con i complimenti della fan mi ci pulisco il culo ma in realtà ho detto che con l’etichetta di sex symbol mi ci pulisco il culo. Comunque erano cose che avevo messo in preventivo, sapevo che entrando ad X Factor poteva uscire questo tipo di discorso”.

Non trovi sia la stampa che stia un po’ troppo caricando sul costruirti lo stereotipo del cantautore bello e arrovellato?
“Sono esigenze di mercato che capisco benissimo, però non me ne importa niente, tanto so benissimo che la gente per necessità ha bisogno di incasellarti in un’etichetta ben riconoscibile: cantautore con la barba ingiallito, con gli occhi blu e bello però cupo. È limitante cerebralmente, però va bene, lo accetto, passerà”.

Hai dei live in agenda per le prossime settimane?
“Per il momento la mia priorità non è tanto il live quanto scrivere canzoni per il mio disco. Non ho materiale sufficiente per fare una tournée, non voglio salire sul palco e fare cover ma avere mio materiale per 2 ore. Non ho ancora iniziato a scrivere, sto cercando di capire la direzione che dovrò seguire. Mi farò 2 settimane di clausura nella casa che mi presta un amico, lontano dal mondo e da tutti, senza telefono, senza internet, magari tornerò a casa a bocca asciutta ma devo provarci. Devo trovare uno spazio solo mio, non posso certo stare in cucina a scrivere sulle tovagliette di plastica. Voglio isolarmi da tutto, restare 2 settimane solo io, la mia chitarra, il quaderno delle canzoni e il camino”.


WEB: www.damianofiorella.it , www.youtube/com/damianofiorella

Elisa Bellintani
4 dicembre 2009

 

 

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