Esce il nuovo disco dei The Bastard Sons Of Dioniso, “primo” per certi versi, quarto per l’esattezza. Il loro primo disco a termine dell’edizione passata di XFactor, e anche questa è un’imprecisione visto che la fine del talent show è stata seguita dalla pubblicazione di un loro Ep. Ma, c’è sempre un ‘ma’, questo - come amano precisare anche loro - è il primo lavoro che invita il grande pubblico a conoscerli veramente, spogliati dalla veste televisiva e dai pregi/difetti che l’esposizione mediatica può dare. E la semplicità con cui te ne parlano mista alla convinzione delle cose che hanno da dire, non lasciano dubbi sul fatto che questi ragazzi non ci marciano dentro quel tubo catodico che ha dato loro luce, ma marciano per la loro strada, che è un sentiero di montagna che hanno intrapreso anni fa e che li ha abituati a faticare per raggiungere i loro obiettivi, rendendoli forti prima che la tv li volesse rendere “vincitori morali di…”, frase trita e ritrita che ormai rimbalza dappertutto e per fortuna sta perdendo forza e significato dando posto al resto, alla musica.
Una delle cose a cui tiene precisare quasi subito Federico infatti è che: “Per noi è stato difficile entrare nel meccanismo televisivo e indispensabile diventa sdoganarci. È giusto che chi ci ha conosciuto solo per il programma, pensi che noi siamo un prodotto televisivo. La nostra sfida ora è dimostrare loro chi siamo”.
La mia è la prima intervista del giorno e probabilmente per i ragazzi anche le prime parole della giornata che inizia. Il luogo dell´incontro con i “Bastardi” è un hotel zona navigli di Milano che mi colpisce per la sua bellezza. E faccio ai ragazzi menzione di questa cosa. Loro si guardano intorno e con una brillante semplicità Jacopo mi dice: “L’hotel per noi è il posto solo per dormire. Questo è carino sì. Quest’estate ne abbiamo girati abbastanza, con le date del tour. Il record di soggiorno è stato un’ora dal check-in al check-out”.
Mi accomodo insieme a loro a far colazione, che diventa anche un modo più informale per le chiacchiere.
Quando e come avete lavorato a questo disco, considerando che siete stati in tour tutta l’estate?
Michele: “Arrangiavamo quando avevamo tempo. Non c´era fretta per noi perchè avevamo già tutto sotto controllo, abbiamo lavorato negli anni a tante canzoni e anche nell´Ep siamo riusciti a risuonarle”.
Jacopo: “Se vuoi sapere il segreto, è tenere sempre montato tutto in una sala. Avendo tutto pronto sempre, nei giorni liberi dal tour estivo ci siamo buttati in studio a lavorare. Ma comunque siamo arrivati all´ultimo giorno a chiudere definitivamente”.
Michele: “Siamo stati tante ore in studio, sempre in contatto. Abbiamo cercato di dare sempre il nostro meglio e siamo arrivati prima della preparazione del disco ad avere in mano la tracklist definitiva. Abbiamo riascoltato tutto quanto e lavorato su quello che era da sistemare. Abbiamo lavorato con un grande come Gaudi, che ci ha supportati in modo aperto e disponibile. Grandi persone hanno giocato e lavorato con noi regalandoci anche il loro massimo”.
Qual è la marcia in più?
Jacopo: “La marcia in più è il divertimento. Guai non ci fosse, non saremmo qui neanche a parlare e a pensare di continuare e provare a fare questo lavoro”.
Che effetto fa riascoltare questo lavoro?
Michele: “Ci siamo riascoltati 7000 volte... siamo un po´ stufi!”. E ridono.
Federico: “Abbiamo lavorato sul trovare la vibrazione giusta, provare a tenere chiare le voci. Abbiamo fatto un lavoro attento per avere un messaggio da dare”.
Jacopo: “Questo disco ci soddisfa perchè raccoglie in sé anche parti della nostra storia, dai nostri inizi nel 2003. Era indispensabile per noi che ci fossero canzoni di vecchio stampo anche per far capire chi siamo veramente a chi ancora non ci conosce. Abbiamo lavorato con Gaudi su ogni singola canzone, con gli arrangiamenti e tutto. È stato registrato tutto made in Trento, nel nostro vecchio studio, dove conosciamo e ci fidiamo delle persone che ci lavoriamo. Abbiamo deciso di farci rappresentare anche dalle immagini, non solo dalle parole, e la contrapposizione tra immagine e parola ha creato delle belle sinergie”.
Il tema della fiducia lo sento forte in voi. Anche il fonico ai vostri concerti è il ‘vostro’ fonico.
Jacopo: “Se ti affidi a delle persone che conoscono esattamente il tuo modo di usare gli strumenti, vai più tranquillo sia sul palco che in studio. Noi abbiamo trovato con il nostro fonico gli equilibri giusti ed è importante per noi affidarci alla sua professionalità. Per noi è la garanzia di tante cose”.
Mi colpisce una canzone che già dal titolo è ironicamente polemico: Una canzone probabilmente inutile. Come nasce e perché?
Michele: “È una canzone scritta in corso d´opera, l´unico brano che abbiamo fatto solo in studio. Non è polemica assolutamente verso i fan che sono sempre attenti alle nostre parole ci ascoltano, e ci danno feedback interessanti. Ma è rivolta a una categoria di persone che vuole per forza trovare qualcosa da rigirarti contro”.
Cosa trovate d’altro di inutile?
Michele: “Inutili? Tanti titoli soprattutto delle canzoni italiane. Non ho nulla contro di lei, ma si può intitolare una canzone Sole, cuore, amore? Che vuol dire? Invece il titolo in sè ha la nobile funzione di dover riassumere il senso della canzone stessa. L´Opera veniva chiamata col titolo. Noi siamo contro la banalizzazione dei titoli e invece per l´uso delle maiuscolette”.
Contro la banalizzazione delle parole in genere. Una delle vostre caratteristiche è anche la ricerca e l’uso non convenzionale delle parole.
Jacopo: “Ci piace sperimentare e fare ricerca sulle parole, sui nomi delle cose.Ho ascoltato molto il compositoreMonteverdi, trasmette certe emozioni con parole e musica uniche, mi ha ispirato molto. Vogliamo fare un ulteriore passaggio ascoltando la musica in maniera approfondita, che vuol dire andare oltre al cantato”.
Voi che nei live ‘spaccate’, fate fatica a ridimensionarvi con i volumi in studio?
Federico: “Assolutamente no, a noi piace molto anche il momento di lavoro in studio”.
Jacopo: “Il volume alto è necessario nei live per riuscire a non farci coprire dalla batteria”.
Michele: “Il live di fatto rimane il momento dove si scarica tutta la potenza”.
Il futuro?
Jacopo: “Tutta la vita come la vogliamo noi: divertendoci”. Federico: “Sarebbe meraviglioso poter alternare sei mesi on the road e sei mesi in studio per registrare il disco”.
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