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 ARCTIC MONKEYS
ARCTIC MONKEYS LA GRANDE TRUFFA
LA GRANDE TRUFFA

Il deserto del Mojave, Sheffield e New York: cos´hanno in comune questi tre luoghi, così lontani e diversi tra loro? Nulla, direte voi. E invece qualcosa c´è. Perché sono proprio le location in cui si è consumata la terza avventura discografica di uno dei più arroganti, rumorosi e geniali gruppi che la terra d´Albione abbia sfornato dall´inizio del secolo: gli Arctic Monkeys. Sono passati solamente tre anni dal loro esordio, ma questi quattro ragazzi di Sheffield hanno fatto veramente un sacco di strada: diventati famosi grazie a un demo diffuso su internet, vengono dopo poco notati notati e messi sotto contratto da Domino Records; nel 2006 entrano nel Guinness dei primati per aver venduto in soli 4 giorni più di un milione di copie di “Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not”, il loro album d’esordio, battendo tra le altre cose il record stabilito dagli Oasis; replicano poi nel 2007 con “Favourite Worst Nightmare”, che l’anno successivo fa conquistare alla band un BRIT Award per il miglior album inglese dell’anno.


La cerimonia di premiazione gli ha peraltro permesso di mostrare il lato del loro carattere che forse più di altri li ha resi noti presso il pubblico mondiale: l´irriverenza, per usare un eufemismo. Gli Arctic, infatti, dopo aver rifiutato di presentarsi a ritirare il premio per due anni consecutivi, quando finalmente hanno deciso di presenziare all´evento si sono dilungati in battute velenose sulla BRIT School, istituto d´arte finanziato dallo stesso ente che conferisce gli Award, e hanno preso in giro Adele e Kate Nash per esservisi diplomate. Un exploit talmente sublime da essere censurato da ITV, l´agenzia inglese per il controllo dei contenuti televisivi.



Nei loro pochi anni di carriera questo bizzarro gruppo è riuscito a collezionare una serie infinita di episodi del genere, consumati sulla tv così come sulla carta stampata, portando così il proprio nome sulla bocca di tutti: un´antica tecnica britannica, di cui forse Jagger e Richards sanno qualcosa. Poi il buio. Per quasi due anni della band non si sa più nulla. Dopo i successi discografici, i tour e i premi, i ragazzi hanno deciso che è giunto il momento di ricaricare le batterie e prendere per un po’ strade separate: qualcuno si è dato a progetti musicali paralleli, qualcuno è tornato alla propria vita e ai propri interessi, per quanto bizzarri essi siano, qualcuno si è semplicemente rimesso in sesto.

Alex Turner, cantante e chitarrista del gruppo, oltre agli impegni con il side project The Last Shadow Puppets e le collaborazioni con Dizzee Rascal e i Reverend and the Makers, ha finalmente trovato il tempo per portare a termine il suo progetto audiovisivo basato sull´amata serie “Binkle and Flip” della scrittrice Enid Blyton.

Jamie Cook
ha abbandonato per un po´ la chitarra e ha soddisfatto la sua innata voglia di avventura: dopo aver passato un po´ di tempo nell´Africa sub-sahariana e in Bolivia, si è ritirato in un bosco vicino alla sua casa di Sheffield, dove ha vissuto indisturbato per quasi sette mesi.

Nick O´Malley, il bassista che nel 2006 ha sostiuito Andy Nicholson (che ha abbandonato la band perché affetto da “panico da palcoscenico”), ha impegato il suo tempo per risolvere alcune questioni personali, fra cui la causa legale per rivendicare la paternità del termine “chillax”, un neologismo slang che unisce le parole chill e relax.

Il batterista Matt Helders ha invece passato il tempo scoprendo nuovi sport estremi e consolidando l´amicizia con Sean “Puffy” Combs, con il quale ha fondato l´etichetta hip-hop sperimentale Good Boy Entertainment.

Pieni di idee e rigenerati nello spirito, i quattro si sono quindi riuniti verso la fine del 2008 desiderosi di lavorare su materiale nuovo, con l´idea però di fare qualcosa di diverso, più heavy e oscuro rispetto agli album precedenti. E qui arriva la sorpresa. Perché Alex e soci sono riusciti ad ottenere quello che per dieci lunghi anni molti avrebbe voluto ma non hanno mai realizzato: scomodare Josh Homme. Il frontman e deus ex machina dei Queens Of The Stone Age mai si era concesso per produrre un album, ma per questi quattro sbarbatelli inglesi ha deciso di fare un´eccezione. La band si è così trasferita armi e bagagli a Joshua Tree, cittadina della California vicina al deserto, per incidere il disco nello studio di Homme, Rancho de la Luna: in breve il feeling è diventato tale da impedire a Josh di rimanere dietro il vetro, ad ascoltare e ruotare manopole, portandolo ad intervenire direttamene nel processo creativo fino al punto di prestarsi come seconda voce in numerosi brani.

 

 


Ora, prendete una manciata di ragazzi della provincia britannica e un americano di origini norvegesi allampanato eccentrico e schivo, e metteteli in uno studio di registrazione a due passi da un deserto, misterioso affascinante ed inquietante al tempo stesso; il risultato non potrà essere diverso da quello che la stessa band definisce come “un´atmosfera carnevalesca, un pauroso viaggio ultraterreno, una cavalcata lisergica che infesta ogni singola traccia”. Solo per dirne una, durante una pausa dalle registrazioni il gruppo ha avuto modo di provare il brano Secret Door all´interno dell´Integratron, una sala dall´acustica perfetta costruita dall´ufologo George Van Tassell presumibilmente sotto precise indicazioni di un manipolo di visitatori provenienti da Venere, e pare che il manager della band ne sia rimasto così affascinato da decidere di dimorarvi notte e dì per diversi giorni. A questo punto cambia lo scenario, e l’obbiettivo si sposta da una costa all’altra degli States: terminate le registrazioni in California la band si è trasferita infatti agli Electric Lady Studios di New York, dove ha raggiunto James Ford (già produttore di Klaxons e Simian Mobile Disco, nonché di “Favourite Worst Nightmare” e batterista di Turner nei Last Shadow Puppets) . Assieme a quest’ultimo la band sviluppa nuovo materiale e riprende il lavoro iniziato a Joshua Tree, cercando di creare una continuità fra le due esperienze per ottenere un risultato il più possibile omogeneo. La permanenza nella Grande Mela si rivela per la band quasi più allucinante di quella nel deserto, con i Monkeys protagonisti della nightlife ed ospiti fissi del locale The Barcade, un bel cambiamento rispetto al periodo californiano in cui sparare ai barattoli e fare gare di sollevamento pesi rappresentava la massima distrazione dalle sessioni di studio.
Mai gli Arctic Monkeys avevano impiegato tanto tempo e speso così tante energie per la registrazione di un disco, con un approccio completamente nuovo per quanto riguarda la composizione dell’album: mentre i lavori precedenti sono stati registrati rapidamente, producendo poco più delle canzoni necessarie a delineare il disco, da questo fervente periodo la band è uscita con una mole enorme di tracce, più del doppio rispetto alla decina scelta per formare la scaletta definitiva. Giunti al termine del loro viaggio, ai ragazzi rimane solo una cosa: scegliere un nome per la loro terza opera.
Entra in gioco così un altro fattore imprevedibile, la passione sviscerata della band per Charles Dickens: non stupisce quindi che la scelta sia caduta su “Humbug”, un termine slang settecentesco che sta per “truffa” o per indicare un discorso senza senso, reso celebre dall’esclamazione di Ebeneezer Scrooge, protagonista de “Il canto di Natale” (“Christmas? Bah! Humbug!”). Una decisione che calza a pennello per la coincidenza tra il loro carattere della band e quello di Scrooge, uno dei personaggi letterari più antipatici al mondo e proprio per questo uno dei più amati. Gli Arctic Monkeys hanno anche fatto sapere che per il futuro stanno pianificando altri album basati sulle opere di Dickens, di cui il prossimo capitolo sarà probabilmente un concept album sul libro “Vita e avventure di Martin Chuzzlewit”.

Scelta bizzarra per un manipolo di rockettari, certo. Ma è anche vero che da una combriccola del genere possiamo aspettarci ormai veramente di tutto.

 

 TUTTO SU ARCTIC MONKEYS

2009
Humbug

2007
Favourite Worst Nightmare

2006
Whatever People Say I Am, That´s What I´m Not
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