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 MUSE
MUSE UNA VITA CONTRO
UNA VITA CONTRO

Stanno insieme da 15 anni e non fanno nemmeno una grinza. Segni di stanchezza, oggi che sono giunti al 5° album? Nessuno. Anzi. Il ritorno dei Muse, la band di Matthew Bellamy, Christopher Wolstenholme e Dominic Howard, a 3 anni dal successo massivo di “Black Holes And Revelations” getta ulteriore benzina sul fuoco: “The Resistance” non è solo l’opera grandiosa dei Muse, ma un sicuro punto di partenza rivoluzionario per l’ispirazione di tante altre band. Perché riesce con inimmaginabile grazia a mettere insieme elettronica, rock, pop, musica classica, argomentazioni politiche ed emozioni intimamente personali; riesce a suggerire la sua intrinseca imponenza senza strafare, e senza alienare l’ascolto; riesce a creare toccanti cornicidi immagini fantastiche, e riesce a sconvolgere e coinvolgere come mai prima. “The Resistance” è un album molto ambizioso, senz’altro il più coraggioso della loro carriera, e arriva a un punto del percorso artistico in cui viene da chiedersi: ma cosa vi manca ancora da provare? Eppure.

Partiamo da un ricordo importante: le date di Wembley, il 16 e 17 giugno 2007.

Matt: “Da mozzare il fiato, da restare senza parole. Mi sono sentito allo stesso tempo minuscolo e gigante”.

Chris: “Ero pietrificato! Nervoso e carico pronto a esplodere, restare concentrati davanti a tutte quelle persone è stata un’impresa impossibile. Voglio dire, suonare a Wembley è un bel salto di qualità per il tuo CV, Wembley un santuario, lì l’Inghilterra ha vinto la Coppa del Mondo; quando dovevamo salire sul palco ho pensato: ‘Ecco, è finita, faremo schifo’. Invece è andata alla grande”.

Dom: “70.000 persone lì solo per noi, una follia. Morivo di paura all’idea di uscire e non essere all’altezza, ma sentire il calore di uno stadio intero è confortante, adesso posso capire cosa provano i calciatori quando la folla li incita. Poi mentre eravamo sul palco non mi sono nemmeno reso conto di quello che stavamo facendo. L’impressione finale è stata: ‘Ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!!!’”.

Com’è l’effetto psicologico del passaggio da Wembley a delle venues più piccole?

D.: “Occorre sopravvivere anche perché ogni data ti dà un flusso energetico diverso da quella precedente. Certo, l’emozione dello stadio è unica”.

C.: “Non ci si annoia anche se davanti hai molte meno persone, garantito. Ci sono ancora così tante cose da fare … Con il tour di ‘Black Holes And Revelations’ siamo stati in 58 Paesi ma non siamo stati dappertutto: l’Asia, l’India, il Nordafrica e parte degli Stati Uniti … Ancora tanti traguardi da raggiungere”.

Come facciano, non si sa. A trovare la forza fisica e l’energia creativa per essere sempre al meglio, capaci di sopravvivere alle tensioni dello studio, all’adrenalina dei concerti e a tutta la promozione collaterale senza praticamente fermarsi mai; se c’è una band che regge lo stress e non ne risente dal punto di vista creativo quelli sono i Muse.

M.: “Dopo l’uscita di ‘Black Holes And Revelations’ abbiamo passato il 2007 in tour, poi ci siamo fermati. Avevamo effettivamente bisogno di una pausa. Io sono tornato a Como e mi sono chiuso di nuovo in studio per provare a scrivere qualcosa di nuovo, ma ben presto siamo ripartiti per altre date live nel corso del 2008, e terminati questi impegni abbiamo potuto dedicarci a tempo pieno alla stesura del nuovo album”.

D.: “Abbiamo passato 6 mesi sul Lago di Como a scrivere e provare … Quando incanaliamo il flusso creativo in una direzione proficua non possiamo proprio smettere”.

È sul Lago di Como, dove Matt attualmente vive con la sua compagna, che i Muse hanno trasferito il loro quartier generale. È lì, a pochi passi da casa, che Matt ha allestito lo studio di registrazione.

C.: “Non ricordo nemmeno più da quanto non faccio una vacanza, perché la vita on the road è sì una vacanza ma di lavoro. Per cui stare a casa con la mia famiglia è diventata la mia vacanza”.

Vi va bene così? Intendo, cosa comporta essere tanto immersi nel progetto Muse?

D.: “Per me significa provare a ricucire i rapporti personali quando posso tornare a casa. Purtroppo non sempre è possibile ricompattare quello che hai lasciato andare”.

C.: “Io grazie ai Muse riesco a sentirmi completo: sono sovraeccitato sul palco, come se fosse quello il posto in cui dovrei essere a tutti i costi, e sono totalmente soddisfatto quando torno a casa e approfitto di ogni singolo minuto per fare … niente. Stare insieme. Questo è quello che conta davvero alla fine”.

M.: “Diventa impossibile scindere le due cose: i Muse fanno parte di me tanto quanto la mia vita privata. E il Lago di Como è un bel posto dove riposarsi ed essere felici”.

Cambiereste qualcosa nei ritmi se poteste?

M.: “No”.
C.: “No”.
D.: “No”.

Tutti d’accordo nel triumvirato dei Muse, uno spazio dove i pesi si bilanciano e nessuno sovrasta sull’altro; una formula democratica ed efficace, che si esplica anche nel medesimo tempo che ogni singolo membro dedica ai giornalisti. Ma la democrazia funziona davvero?

M.: “Ogni album è per noi un percorso del tutto nuovo. Per ‘The Resistance’ ci siamo messi al lavoro da soli così da riscoprirci, rivivere le dinamiche che ci hanno portato ad essere quello che siamo senza intrusioni esterne. D’accordo tutti e tre, abbiamo deciso di lavorare in autonomia e in assoluta libertà, affrancati dalla briglia di produttori che potevano suggerirci una strada invece di un’altra. No. Questa volta abbiamo deciso tutto noi”.

D.: “Ritrovarsi in tre in studio vuol dire imparare ad usare molta diplomazia, anche. Non puoi fare quello che vuoi perché ci sono altre due persone con cui fare i conti, nel bene e nel male, devi apprendere la fiducia nell’altro e metterla in pratica costantemente, devi credere nel fatto che dagli altri puoi sempre imparare. È stata una sfida con noi stessi, questa libertà”.

M.: “Ci siamo parecchio esposti. È molto personale, ‘The Resistance’, non ha nessun filtro”.

Mark Stent (Depeche Mode, Björk, Madonna, Oasis, U2, tra gli altri) è entrato in “The Resistance” solo per quanto concerne la fase di missaggio. Tutta l’opera era già completa.

In “The Resistance” ci sono brani di struttura e lunghezza importante, come i 15 minuti della suite del trittico finale Exogenesis: Symphony. Perché in un certo senso forzare i tempi e i modi della classica canzone pop?

M.: “Questa è una conseguenza del fatto che eravamo liberi di sperimentare nella direzione che volevamo: molto semplicemente, non c’era nessuno a dirci ‘adesso basta, fermatevi’. I produttori hanno sempre tentato di ridurci un po’. Bene, questo è quello che avremmo sempre voluto fare”.

“The Resistance” è un album molto organico, e al primo impatto risulta essere anche assai complesso. Un po’ perché porta i Muse a un livello superiore rispetto a tutta la loro produzione precedente, introducendo una serie di brani che appaiono subito come la naturale evoluzione di dove li avevamo lasciati nel 2006: Knights Of Cydonia, 6:06 minuti di un’opera electropop con cambi di ritmo e linguaggio, armonie vocali, impressioni di spazio e maestosità, squarci cinematografici, atmosfere claustrofobiche, suggestioni extraterrestri e una storia di speranza da raccontare. Immaginate Knights Of Cydonia evolvere in una tracklist da 11 tracce: questo è “The Resistance”.

Nel quinto album dei Muse si trovano degli elementi già familiari in “Black Holes And Revelations”, come l’opposizione tra l’umanità e un controllo superiore, l’urgenza della lotta e della ribellione, la speranza in un futuro migliore e le figure centrali dell’Amore e della Bellezza. E la grandeur intrinseca dei Muse innesta in “The Resistance” una forte componente che finora era rimasta sottesa: la musica classica. La si incontra apertamente in due occasioni: Collateral Damages, ovvero il celeberrimo Notturno Op.9 No.2 di Chopin, in coda a United States Of Eurasia, e in Mon Cœur S´ouvre à ta Voix, aria dal “Sansone e Dalila” di Camille Saint-Saëns, subito dopo I Belong To You. Ma anche nella suite Exogenesis: Symphony part I – II – III; già nel 2008 Matt Bellamy aveva confidato a NME di aver in mente di fare “almeno 15 minuti di un assolo space-rock, o, perché no, 50 minuti di una sinfonia unica”, e il risultato è assolutamente sorprendente: 3 movimenti molto cinematografici e manieristici dove il compagno di viaggio tra lande siderali, sintetiche e orchestrali è il pianoforte, 15 minuti di bellezza, paura, distruzione e speranza dove si accenna alla possibilità di scappare da questo pianeta per ricominciare altrove, nella maniera giusta stavolta.

M.: “26 musicisti hanno lavorato con me alla serie Exogenesis, abbiamo registrato a Milano. Ci ho messo anni a comporre le orchestrazioni e ad arrangiarle, ma alla fine ce l’ho fatta ed è stato incredibile dirigere tutte quelle persone dove volevo io. Intenso, appagante, incredibile”.

È forse questo un tentativo di ‘educare le masse’ alzando il livello della vostra produzione?

D.: “No, non si tratta di un discorso educativo. È più che altro la colonna sonora di un viaggio che si vede squadernarsi tra le note, molto cinematografico, una sfida di Matt nei confronti di un’orchestra vera e propria con armonie, archi, pianoforte ma anche sintetizzatori e il rock che caratterizza i Muse. Abbiamo voluto abbracciare diversi stili ed esplorare terreni per noi nuovi, e anche scioccare proponendo cose completamente nuove”.

C.: “La musica classica ha una forma strutturale differente e assai più elaborata della musica cui siamo tutti abituati. Ascoltare musica classica con Matt per entrare nel giusto mood è stata una prova significativa per noi e ha intaccato la nostra maniera di pensare rendendoci più ambiziosi ed esigenti”.

M.: “Comunque non ascolto solo Strauss. Mi piacciono molto gli Antipop Consortium e Bat For Lashes, ultimamente”.

Come pensate reagiranno i fans alle atmosfere sinfoniche di “The Resistance”?

C.: “Non è facile ma penso lo apprezzeranno. Molti si appassionano ai Muse dopo averci visto suonare dal vivo, per cui vi invito a venirci a vedere, sarà una bella prova mettere in scena questo disco”.

D.: “Volevamo più di ogni altra cosa un album di cui essere fieri, e ora siamo fieri. Quando ti avvicini a un nuovo progetto rischi sempre di deludere qualcuno, ma quel che conta è non deludere te stesso e i tuoi compagni, perché così si percepirà la forza e l’orgoglio tra le note e anche voi lo amerete quanto noi”.

M.: “Etichettare i Muse è impossibile, e il pop comprende molte sfumature. Posso dire che ‘The Resistance’ è un ritorno ad alcuni passaggi di ‘Origin Of Symmetry’, quanto meno allo stato di libertà e sperimentazione assoluta di quell’album”.

Se dico: Queen?

D.: “Dico: wow! È vero, ammetto che in certi passaggi ci sono forti reminiscenze ma è semplicemente successo, non era nostra deliberata intenzione imitarli. Se però penso che sia Matt che Freddie Mercury sono due cantanti per cui la musica classica ha rappresentato una forte influenza e che non hanno mai avuto paura di superare certi limiti ed osare allora mi dico: doveva succedere. Per me poi in I Belong To You c’è anche molto di Paul McCartney”.

C.: “I Queen sono stati e sono una band libera e affrancata. Come noi”.

Se poteste affidare a un regista le visioni di “The Resistance” chi scegliereste?

C.: “David Lynch sarebbe perfetto, soprattutto per la parte Exogenesis”.

Parliamo di politica. Parliamo di United States Of Eurasia, e del ruolo degli Stati Uniti oggi, nell’era Obama e della Crisi mondiale.

M.: “Questa canzone è stata influenzata dal libro ‘The Grand Chessboard’ di Zbigniew Brzezinski, un approfondimento su come l’America sia stata manipolata facendo leva sulla paura di venire russificati; e così in Eurasia vige una certa pace, ma all’orizzonte si prospetta lo spettro di una grande nazione minacciosa”.

La canzone è stata la prima ad essere rivelata ai fan attraverso una caccia al tesoro particolare: indizi e coordinate lasciate sul sito muse.mu che portavano a chiavette USB nascoste tra Europa, Asia e Medio Oriente che tutte insieme componevano proprio United States Of Eurasia – fino all’ultima chiavetta, nascosta negli Stati Uniti, a cui spettava il ruolo di decidere cosa fare della canzone: renderla disponibile gratuitamente per tutti oppure no. Un riconoscimento del ruolo effettivo giocato dalla Superpotenza americana e una possibilità di riscatto dopo molti errori geopolitici del passato. E un’ulteriore dimostrazione del rapporto privilegiato che i Muse mantengono con i propri, fedelissimi, fans – che continua con i Muse attivamente coinvolti nelle vetrine social network della band.

M.: “E poi dietro Uprising c’è ‘1984’ di Orwell, e dietro ‘The Resistance’ c’è la storia moderna del XX secolo e la presa di coscienza di quanto e come le guerre abbiano cambiato le persone, e di quanto la politica abbia deciso le direzioni senza che nemmeno ce ne rendessimo conto. Più che gli Stati Uniti a lasciarmi esterrefatto è la situazione attuale dell’Inghilterra, il mio Paese, ora che non ci vivo più vedo ancor più profondamente le sue ferite: la corruzione ha dilaniato il sistema e ucciso le speranze dei giovani. Forse è utopistico credere che questa agonia un giorno terminerà e si assista finalmente a una rinascita, ma io ci spero”.

In Resistance dite che l’amore è quello che abbiamo da opporre al degrado internazionale. Non è una visione un po’ troppo ingenua?

M.: “Probabilmente sì, ma quando le persone provengono da differenti culture e credo l’amore è l’unico ponte di giuntura per connetterle. In ‘1984’ l’amore rappresentava il luogo della libertà per Winston e Julia, l’unico reale oppositore alla politica decisa dall’alto”.

D.: “L’amore è un luogo di libertà esattamente come la musica”.

C.: “Gli ultimi due album nostri erano molto politici. Questo è più personale, solo Uprising è una canzone dichiaratamente schierata mentre a seguire si assiste a un ripiegamento verso l’interno e verso le emozioni. E l’amore è l’emozione interna che ci fa aprire all’esterno e che ci dà la forza di resistere alle pressioni”.

Web: www.muse.mu

Elisa Bellintani
30 settembre 2009

 

 TUTTO SU MUSE

2009
The Resistance

2006
Black Holes And Revelations

2003
Absolution

2001
Origin Of Symmetry

1999
Showbiz
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