Ci risiamo. La formula supergruppo si è allargata fino ai confini dell’indie folk puro e del magma delle personalità attive ha assorbito quattro tra le più autorevoli menti per poi restituirci i Monsters Of Folk. Che poi sono Conor Oberst e Mike Mogis (Bright Eyes), Jim James (My Morning Jacket) e M.Ward.
Registrato tra Malibu (California) e Omaha (Nevada), il loro omonimo disco di debutto rappresenta un viaggio esaltante immergendosi nelle infinite variegature che le quattro diverse individualità apportano al labile concetto di folk. I Monsters Of Folk sono un progetto in divenire che on/off si muove dal lontano 2004 (quando le serate avevano semplicemente il nome di “An Evening With: Bright Eyes, Jim James and M. Ward”), ma è solo di recente che i quattro si sono decisi a lavorare su materiale inedito, mettendo in atto la forma di un album. Ed è così che il progetto è diventato ufficialmente Monsters Of Folk, nome che gli amici avevano già affettuosamente dato al quartetto delle meraviglie.
Nella prospettiva temporale che ha portato a “Monsters Of Folk” il progetto è spesso stato messo in secondo piano dai suoi membri. Bright Eyes ha(nno) pubblicato 3 album, M.Ward anche, più il progetto She & Him con Zooey Deschanel, e Jim James oltre ai due album con i My Morning Jacket ha fatto incursione nel film “Io non sono qui” contribuendo alla colonna sonora assieme ai Calexico.
Ascoltando “Monsters Of Folk” si percepiscono le personalità individuali, forti e riconoscibili (e così The Sandman, The Brakeman And Me potrebbe facilmente sembrare una canzone estratta da “Hold Time”, l’ultimo lavoro di M.Ward), ma nel blend facile e armonico delle parti si riesce a capire lo sforzo creativo comunitario di mettere in piedi un suono collaborativo unico. Come in Say Please, ‘figlia’ di Conor Oberst, con Jim James e M.Ward ad arricchire le texture espressive tipiche dei Bright Eyes. E c’è spazio anche per episodi più innovativi, come le sincopi blues rock di Temazcal e l’epica Americana di Baby Boomer.
Monsters Of Folk raffigura pertanto un’avventura nell’universo oltreoceano di sonorità figlie della strada, imbevute di impulsi territoriali locali e di spunti interessanti, caldi ed intimi che non vogliono rivoluzionare il mondo della musica, ma renderlo senz’altro più piacevole. Alla faccia della grandeur autoimplosa dei mostri del rock.
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