Guardando la storia della musica rock dalla sua nascita, ci si accorge di come periodicamente facciano la loro comparsa personaggi che sembra catalizzino l’energia e le idee, sintetizzando il meglio della musica del loro tempo, indicando la via per il futuro, emblematici e innovatori. Ogni generazione ne ha, o almeno dovrebbe averne, visto nascere almeno uno. Spesso nell´ultimo decennio se ne è sentita lamentare la mancanza, con proclami catastrofisti che vedevano in Kurt Cobain l’ultima vera grande rockstar, punta di diamante dell’ultimo vero movimento rock. E per un po’ ne sono stato convinto anche io. Almeno fino all’arrivo di Jack White. O meglio, fino a che Jack non ha concluso l’esperienza dei White Stripes.
Già dalla sua tecnica compositiva, dallo stile e dalla tecnica chitarristica ai tempi degli Stripes era impossibile non notare come qualcosa stesse effettivamente accadendo: in pochissimo tempo Jack ha accumulato una massa spropositata di collaborazioni, premi e apparizioni cinematografiche, e ha iniziato a raccogliere attorno a sé gran parte della scena alternativa americana.
Quando nel 2006 fanno la loro apparizione i Raconteurs diventa subito chiara la grandezza di White come musicista tout court: sempre coerente al proprio stile, la naturevolezza con cui si libera del manto dello stile alternative-weirdo degli Stripes e si cimenta in un rock quanto mai genuino e seminale è una testimonianza certa di come questo personaggio riesca ad essere comunicativo, e guidare e a spronare i musicisti con cui si trova a collaborare senza mai forzarne il percorso artistico.
E ora un nuovo supergruppo, che sembra un’ulteriore evoluzione, quasi una fusione ideale di Raconteurs e White Stripes, un progetto annunciato con un velo di mistero molti mesi prima della pubblicazione del primo singolo Hang You From Heavens e dell’album di esordio “Horehound”.
Rispetto alle esperienze precedenti i comprimari del buon Jack in questo caso hanno se non un altro spessore, di sicuro una maggiore notorietà. Qualche curiosità sui componenti dei Dead Weather:
Jack White – Inutile dire altro su di lui. In questo progetto, oltre a ricoprire il ruolo canonico di cantante e chitarrista, riscopre un suo vecchio amore: la batteria.
Alison Mosshart – Cantante e chitarrista del gruppo indie The Kills, in precedenza ha raggiunto i Raconteurs partecipando ad alcune loro esibizioni live cantando Steady As She Goes e Salute Your Solution. Ai Dead Weather presta la voce, suona chitarra e percussioni e firma ben 8 canzoni sulle 11 che compongono la tracklist.
Dean Fertita – E’ un vero polistrumentista: chitarrista, bassista, tastierista, percussionista e all’occorrenza anche cantante. Parallelamente all’esperienza con i Dead Weather è tastierista ufficiale dei Queens Of The Stone Age. Ha suonato con White durante il tour seguito al primo disco dei Raconteurs “Broken Boy Soldiers”.
Jack Lawrence – Già al fianco di White nei Raconteurs sempre nel ruolo di bassista, suona anche chitarra, banjo, batteria, mandolino, pianoforte, fisarmonica, contrabbasso e clarinetto.
Solo guardando la formazione si intuiscono le potenzialità dei Dead Weather: ascoltando il disco si ha poi un’ulteriore conferma.
Registrato con furiosa rapidità in un solo mese presso i Third Man studios di White, “Horehound” sfiora il capolavoro: i quattro danno forse il meglio di sé, creando un magma oscuro che va dalle atmosfere blues/psichedeliche della opening track 60 Feet Tall al rock più duro di Treat Me Like Your Mother, passando per lo stile tex-mex in Rocking Horse.
Chi ama il genere lo adorerà. Chi invece è scettico provi ad ascoltarlo: ne resterà stregato.
web: www.thedeadweather.com
Alberto Lepri
17 Luglio 2009 |