Un paio di anni fa vi abbiamo raccontato la storia di un ragazzo che aveva realizzato il suo sogno: cantare. Il suo nome era Paolo Nutini, e se le origini italiane erano evidenti altrettanto lo era il suo temperamento scozzese; la musica Paolo ce l’aveva nel sangue, e l’album “These Streets” ne fu la conferma: Last Request, Rewind, Jenny Don’t Be Hasty, New Shoes … Le conosciamo tutti. Il fatto che Paolo Nutini fosse incidentalmente assai carino fuorviò chi in lui voleva vedere soltanto l’ennesimo prodotto dell’industria discografica che punta al vincere tutto e subito; Paolo, invece, ha una sua testa e una idea ben precisa di cosa vuole fare, e non è certo il bamboccio.
A distanza di poco più di due anni ecco allora arrivare “Sunny Side Up”, un disco che assomiglia ad un manifesto di ben precisi intenti: primo comandamento “prendetemi sul serio”, secondo “guardate di cosa sono capace”, terzo “notate niente di diverso?”. Qualcosa di diverso noi lo abbiamo notato eccome: a due anni da “These Streets”, e ad appena 22 anni, Paolo Nutini ostenta una sicurezza ed una padronanza di riferimenti da far impressione.
Mi ricordo ancora di quel giornalista dell’Observer che di te diceva che hai la faccia da modello.
“Anche io! Non che la cosa mi dispiaccia, però non mi basta; voglio che le persone si ricordino di me per quello che faccio, non certo per come mi vesto o perché alle ragazze piace il mio sorriso”.
Ultimamente ti si vede spesso salire sul palco in giacca e cravatta. L’età si fa sentire?
“Non le ho mai indossate fino ad ora, mi fanno sentire … smart, non so come spiegare, mi aiutano ad entrare nel personaggio. Però non imporrò mai alla mia band il mio stesso look, se no tutti penseranno: ecco l’ennesima boyband! Anzi: ecco gli eredi di Paul Anka!”.
Sai che c’è un film che si chiama come il tuo album? Ti sei magari ispirato a quello?
“No, non lo sapevo! Non è che adesso mi chiederanno di cambiare il titolo del mio disco? Ho sempre Paolo Nutini da giocarmi, dovesse andar male: non penso ce ne siano tanti altri in circolazione!”.
“Sunny Side Up” è un album che nelle intenzioni vorrebbe mostrare quale lato di te?
“Nel passato, ai tempi di ‘These Streets’ ero molto più disperato e triste. Oggi mi sento più rilassato e positivo e con ‘Sunny Side Up’ mi piace pensare di poter amplificare al massimo questa sensazione di serenità che mi porto dentro”.
Il fatto che sulla copertina dell’album ci sia un cuore con dentro le iniziali P.N.+T.I. significa che tu e Teri state ancora insieme?
“Sì. Ancora”. È l’unico momento in cui abbassa lo sguardo e tradisce un lieve imbarazzo.
“These Streets” era dedicato a lei e a tuo nonno. Questo disco per chi è?
“Per me stesso e per la mia band, i The Vipers, perché abbiamo lavorato sodo per arrivare dove siamo e non abbiamo accettato mai ne compromessi ne scorciatoie; siamo qui perché ci abbiamo creduto tutti e tutti insieme. E per Paisley, la mia città, perché è da lì che viene tutto quello che sono”.
“Sunny Side Up” è un disco senz’altro sorprendente per chi già conosce “These Streets”: se il suo predecessore era assolutamente radio-friendly ed ammiccava a un pop rock edulcorato per suggerire senza appesantire, questa prova evidenzia l’eccezionale cultura musicale di Paolo Nutini, che attraversa indenne anche sentieri assai meno scontati come lo ska, il gospel ed il cabaret; il lavoro sulla sua voce, già di per sé avvantaggiata da un timbro da bluesman, è qui esasperato col risultato di farne un canalizzatore di emozione unico.
Ammetterai che la prima traccia, Ten Out Of Ten, è spiazzante con quella sua vena ska …
“Mi piace ascoltare ogni tipo di musica, sono davvero onnivoro, e mi piace rielaborare poi queste influenze in quello che faccio. E mi piace mischiare le cose e creare un po’ di confusione … Ho scoperto Harry Belafonte e da lui ho imparato tante cose, su tutte il fatto che la musica deve essere un piacevole intrattenimento che fa star bene le persone. Il resto viene di conseguenza”.
Il fatto che ci siano così tante influenze e suggestioni diverse non rischia di creare confusione in chi si aspetta da te un certo tipo di suono?
“Io la penso così: se da oggi si smettesse di registrare qualunque tipo di musica non sarebbe un problema perché abbiamo così tanto materiale raccolto in questi decenni che non basterebbe una vita per ascoltarlo tutto. Potremmo quasi arrivare ad avere il rigurgito per la musica. Io, nel mio piccolo, credo di aver condensato in un unico disco parecchie cose interessanti che secondo me meritano di essere ricordate”.
Parlaci dei Vipers. La tua band sembra avere un peso specifico importante nella tua figura di artista.
“Sono tutto quello che ho, artisticamente parlando. Meritano che il loro nome venga ricordato almeno quanto il mio, perché senza di loro io stesso non sarei arrivato fin qui; mi hanno sostenuto e aiutato sempre, anche quando avevo paura di sbagliare tutto, e per me sono fratelli prima ancora che musicisti. Vorrei che per tutti fossimo Paolo Nutini e i The Vipers, la band che odia l’hype e lavora duro per suonare credibile”.
Chi ti senti di ringraziare per il Paolo Nutini che sei oggi?
“Mio nonno, per quella volta che mi ha detto ‘Se vuoi una cosa, vai a prendertela e basta’. Mi ha insegnato a fare affidamento su me stesso prima ancora che sugli altri, e a non aver paura di provarci”.
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