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 LACUNA COIL
LACUNA COIL TEMPO DI CAMBIAMENTI
TEMPO DI CAMBIAMENTI

Premessa: leggevo sul profilo MySpace di Cristina Scabbia, vocalist dei Lacuna Coil, le seguenti parole, “No fuckin’ h in Cristina”. Ragazzi, più rock attitude di così non si può e credo che la musica che la band milanese ci ha regalato per anni rispecchi quell’attitudine al 100%. Incontro quattro dei 6 Lacuna nelgi uffici della Emi in una giornata che strizza l’occhio all’Odissea: equivoci, cellulari non funzionanti e distanze improponibili ma quando mi ritrovo davanti ai quattro – Andrea Ferro (voce), Marco ‘Maus’ Piazzi (chitarra), Cristiano ‘Pizza’ Migliore (chitarra) e Cristiano Mozzati (batteria) – mi pare di trovarmi in presenza di vecchi amici con i quali mi metto a chiacchierare del più e del meno, facendoci rientrare, spassionatamente, il tema nuovo album, “Shallow Life”. Anticipato dal singolo Spellbound, questa nuovo concept album segna una netta virata stilistica verso un rock meno dark e gothic, più definito ed a tratti forse anche un po’ più addolcito con strutture melodiche e armonie dei brani più coese.

Molto probabilmente i Lacuna Coil rappresentano la migliore espressione della rinascita e della ripresa di una scena italiana nel campo del metal che vuole distaccarsi dalla scena del power metal sulla quale fino a pochi anni fa verteva l’attenzione della maggior parte degli head banger nostrani. La loro musica non può essere classificata nè inscatolata in quanto non renderebbe merito alla varietà di emozioni che i loro brani riescono a comunicare all’ascoltatore, così come limitarsi (od ostinarsi) a continui paragoni con pionieri di un genere rischierebbe di portare fuori strada chi ancora non conosce a fondo la loro arte.

Ciao ragazzi, siete giunti al quinto album con “Shallow Life”, raccontatemi com’è nato e cosa dovranno aspettarsi i vostri fan?
“E’ l’album delle prime volte: la prima volta che non registriamo un disco ad Hagen in Germania bensì a Los Angeles e più precisamente a North Hollywood agli NRG Studios; la prima produzione non metal curata da Don Gilmore che ha fatto un gran lavoro con i Pearl Jam, i Linkin Park e i Good Charlotte ma comunque una nuova e bella esperienza durata dieci settimane ma che ci ha ispirato molto. Lavorare con Don è fantastico, lui è molto easy ma anche così professionale! E’ stata anche la prima volta che abbiamo trattato la batteria come gli altri strumenti”.

Che vuoi dire?
“Che come dei take di chitarra o basso, prendevamo in considerazione solo le parti che ritenevamo migliori, tralasciando il resto e quindi dandoci l’opportunità di fare altri take. Come un collage, ecco, quel beat lì, quel passaggio là e così via”.

Come vi siete trovati immersi ad Hollywood?
“E’ stato fantastico, un processo rilassante. Andavamo in studio a lavorare in ciabatte e poi il clima! Per un cantante è la condizione ottimale poichè non ci si ammala e non si rischia con la voce. E’ stata un’esperienza più completa anche perché mentre noi registravamo c’erano i Wolfmother che provavano e Ziggy Marley e poi c’era questo personaggio che lavorava lì nello studio, una tale Deborah (risata generale, ndr). Per quanto riguarda la lavorazione è stata anche la prima volta in cui la gestazione è stata più lunga, circa nove mesi, ed è stata anche la prima volta in cui tutti hanno scritto e si sono resi partecipi del processo creativo, vedi, un album dei cambiamenti!”.

Dal punto di vista dei testi che argomenti trattate?
“Si tratta di una riflessione sulla vita, di come ci si trova in questo nostro business in cui dopo dieci anni di attività la maggior parte delle conoscenze sono ancora così superficiali. C’è anche la rinuncia della vita privata e il tema del non prendersi troppo sul serio, del vivere in maniera rilassata senza sentirsi in un programma di reality TV”.

Grazie alla vostra vita on the road siete divenuti un portento della musica rock nostrana soprattutto all’estero…
“E’ forse la parte più eccitante della nostra professione. Abbiamo fatto tournée da headliner o da supporter come al Soundwave Festival in Australia per due anni con band del calibro di Nine Inch Nails, Alice In Chains, New Found Glory e tante altre. Poi c’è il Music As A Weapon Festival di supporto ai Disturbed insieme ai Killswitch Engage e i Chimaira con tre tatuatori che ci seguono e delle esibizioni di sport estremi. A giugno dovremmo esibirci al Rock In Idro nella nostra Milano ma è ancora da confermare. Ci esibiamo anche in Russia e Giappone”.

Raccontatemi di qualche bell’episodio o aneddoto mentre in tour…
“Ci trovavamo in tour con i Bullet For My Valentine a Leeds e mentre ci rilassavamo nel tour bus dopo il concerto abbiamo sentito un gran botto, come se qualcuno avesse dato un gran calcio all’autobus. Era un ragazzo ubriaco che dal parking garage si era schiantato sul tetto del bus. Sono intervenuti i pompieri e un sacco di polizia. A Las Vegas, mentre in tour con Rob Zombie, all’House Of Blues venne in camerino presentandoci questo suo amico Nick che aveva portato il figlio a vederci. Era Nicholas Cage e non ce ne accorgemmo! Al LAX, l’aeroporto di L.A. abbiamo incontrato Toto Cutugno e Al Bano arrivati con una mega limousine. Non ci riconobbero ma furono gentili. Si erano esibiti al Kodak Theater, sold out, il giorno prima, per capirci è il teatro degli Oscar. In tour ne capitano e se ne vedono di tutti i colori. Potremmo scrivere un libro!”.

Vi pesa il fatto di essere più popolari all’estero oppure la prendete come una condizione di normalità considerando la situazione musicale italiana?
“Direi che non c’è molto da stupirsi, l’Italia non è certamente una nazione rock-oriented, non lo è mai stata, la cultura rock è limitata agli ascoltatori più attenti. Comunque l’album precedente ‘Karmacode’ ha fatto bene nel nostro paese e credo che anche ‘Shallow Life’ farà altrettanto bene. Alla fine le cose stanno migliorando sia a livello di pubblico che di media. Ovviamente in America il mercato è migliore, addirittura il triplo dell’Europa. Ci piacerebbe poter entrare anche nei canali del Messico e del Sud America, ma ci vuole pazienza in questo mestiere. Abbiamo sempre avuto un gran rapporto con i media e la stampa USA e UK. Per loro il fatto di essere italiani e fare questa musica, ci rende molto esotici ai loro occhi. Tutto cominciò nel 2003 con l’airplay di Heaven’s A Lie e con i primi tour statunitensi. Da lì, di riflesso, irrompemmo anche in Europa”.

Cosa ne pensate della situazione italiana, organizzazione, etichette, mentalità?
“La situazione delle etichette nazionali è abbastanza drammatica. Quelle dedicate al rock pesante o al metal sono un po’ troppo amatoriali e vanno avanti solo per la buona volontà e l’impegno di qualche appassionato. Le major invece non prendono minimamente in considerazione il fatto di investire sui gruppi di questo genere, noi stessi siamo dovuti ‘emigrare’ per trovare delle possibilità interessanti. Di rock club ce ne sono abbastanza però il livello tecnico e l’equipment per i live show è spesso inadeguato e di scarsa qualità. Le riviste sono pure troppe, tutte a contendersi una fetta di mercato molto piccola che spesso costringe ad un livello non professionale. Le televisioni tendono a generalizzare troppo e non prestano molta attenzione al rock se non quando questo fa notizia (in positivo e in negativo). Il paradosso, però, è che esistono alcune realtà nazionali che si adoperano per dare un po’ di spazio a questo genere (Rock TV, MTV, All music) ma devono pur fare i conti con le leggi di mercato. Anche la politica nazionale e locale va bacchettata perchè non aiuta lo sviluppo e la diffusione della musica e della cultura musicale in generale, soprattutto quella più alternativa. C’è anche da dire che in Italia non ci sono gruppi che in passato hanno portato avanti questo genere esportandolo con una personalità nazionale come ad esempio è avvenuto in Germania con band come Helloween, Kreator, Sodom e successivamente Rammstein e altri. Da noi c’è stata un’esplosione negli anni ‘80 e poi tutto è piombato nell’underground con poche luci ad emergere. Un altro fattore determinante è che non ci si crede fino in fondo e oggi tutti i gruppi devono partire da un successo all’estero per poi essere importati in Italia con una diversa credibilità. Questa situazione è dovuta a vari fattori della cosiddetta scena che è spesso prodiga di critiche e molto poco di supporto, iniziativa e coraggio”.

Allora è inevitabile fare il paragone con le realtà d’oltre oceano che ormai conoscete bene. Secondo voi si tratta di un modello importabile qui nel bel paese?
“Forse in parte, ma in generale il problema più grande e l’ostacolo più difficile da superare restano la mentalità nei confronti della cultura musicale che da noi resta troppo superficiale e per pochi. Poi si deve tenere ben in mente che la situazione economica (nel bene e nel male) è molto diversa e i fondi sono altri anche se gli USA al momento stanno messi male”.

Visto il successo che avete riscosso, vi sentite appagati o in un certo senso arrivati, oppure avete ancora voglia di mettervi in discussione?
“Assolutamente! Non ci sentiamo per niente arrivati né crediamo di aver conquistato uno status che possa farci sentire appagati. Ovviamente soddisfazioni ne abbiamo avute tante e abbiamo raggiunto livelli magari impensabili un tempo, ma i nostri obiettivi sono sempre molto vasti e non ci siamo mai posti nessun traguardo in particolare. Fino al giorno in cui avremo la possibilità, cercheremo di espandere il nome del nostro gruppo e i confini della nostra musica. Ad esempio, ci siamo messi in gioco con quest’ultimo lavoro con il quale la band ha voluto sottolineare il miscuglio di sonorità ed ispirazioni provenienti da generi differenti che, pur messi insieme in maniera coerente con il sound del gruppo, segnano una svolta simbolica come se avessimo raggiunto una meritata maturità artistica, non solo come gruppo ma anche considerando ogni singolo membro della formazione”.

Una curiosità, quanta gente vi chiede della somiglianza con gli Evanescence?
“Chi sa come funziona il music business sa bene e capisce che noi e gli Evanescence giochiamo in due campionati completamente diversi sia dal punto di vista degli investimenti che dal punto di vista delle scelte sonore. La rivalità tra i due gruppi è inesistente ed è una cosa puramente a livello di stampa non praticabile nella realtà nemmeno volendolo”.

Cosa ascoltano i Lacuna Coil?
“E’ difficile parlare per tutti anche se in generale abbiamo gusti abbastanza comuni. Comunque molto rock, da quello più moderno alla Alter Bridge, Stone Sour a quello più classico alla Kiss, Paul Stanley fino a cose più potenti tipo i Killswitch Engagè, i Lamb of God o dark come The Cure o Nick Cave”.

Web: www.lacunacoil.it

Eugenio Cirmi
3 giugno 2009

 

 TUTTO SU LACUNA COIL

2009
Shallow Life

2006
Karmacode

2002
ComaliesComalies

2001
Unleashed Memories

1999
In A Reverie
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 COMMENTI
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26/07/2009 01:51:08
well.. it�s like I knew!
da boy peeing in urinal

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