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MIA |
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L'ONDA D'URTO DEI COLORI ACCECANTI DI MIA |
Ormai siamo in estate. Ed è tempo di musica fresca. E cosa c’è di più fresco delle sonorità fusion che attingono ai ritmi etnici? Mia è la scommessa inglese per la vostra estate. E non solo, perché la ragazza ha talento ed è qui per restare.
E’ uscito giusto giusto il 5 luglio “Sunshowers”, secondo singolo per Mia dopo il successo di “Galang”. Provate un po’ ad ascoltarlo. Potrete provare a dargli tutte le etichette che volete, senza mai arrivare ad ingabbiarlo definitivamente, domarlo con una definizione; perché la musica di questa ragazza è fatta di sfumature di colori accesi, è fatta di sensazioni primordiali che riscopri scorrerti dentro e che ti sono familiari, eppure nuove. Sono squarci di luce e di umidità che ti scivolano sulla pelle.
Mia è nata come Mathangi (Maya) Arulpragasam; i genitori sono dello Sri Lanka, ma lei è nata a Londra, nel periodo nel quale il padre era impegnato in terra inglese per lavoro. Tuttavia, quando Maya ha sei mesi i suoi decidono che è ora di tornare nello Sri Lanka, per nostalgia della loro terra d’origine. La vita laggiù non è facile, soprattutto perché il padre di Maya si affilia sempre più alla causa dei ribelli Tamil (che reclamano dal 1983 la propria autonomia dalla maggioranza cingalese dell’isola), e per motivi di sicurezza la madre con Maya e gli altri figli Sugu e Kali è costretta a rifugiarsi nella più tranquilla Madras, in India. Nonostante le bambine conducano una vita normale frequentando la scuola del paese, le ristrettezze economiche in cui versano costringono la famiglia a tornare in Sri Lanka, dove però la guerra civile monta sempre più, e il pericolo di sopravvivenza è reale. Dopo vari tentativi Maya coi suoi riescono a fuggire dallo Sri Lanka, e chiedono asilo politico in Inghilterra.
Finalmente a Londra gli Arulpragasam trovano un po’ di pace; Maya impara l’inglese e intanto procede con gli studi, arrivando a frequentare l’università ed un corso di specializzazione in filmografia. Arte chiama arte, e Maya si accosta alla musica. E qui viene l’arduo compito per noi, ossia provare a darvene un assaggio, provare ad incuriosirvi.
Mia non ha perso di vista quelle che sono le sue origini, e lo si sente benissimo nelle sue canzoni: il ritmo è tribale, un bongo insistente che martella il sangue nelle vene, e anche la lingua in cui canta è un inglese dal chiaro accento indiano. La stessa voce è usata per ricreare l’atmosfera ipnotica delle cantilene indiane che richiamano alla mente notti profumate di cardamomo e chiodi di garofano seduti millenni fa attorno ad un fuoco. Ma le movenze non sono ricercate e sinuose come quelle delle ballerine dell’Estremo Oriente, bensì portano con sé la schizofrenia e la possessione degli antichi balli propiziatori degli indigeni.
Un mix a cui è impossibile resitere.
Mia però è cresciuta in Inghilterra, ed ha assorbito anche aspetti culturali della sua nuova patria. E’ cresciuta ascoltando la musica che tirava a Londra, ed ha guardato ammirata alla scuola di Peaches e di Missy Elliott; l’hip hop ed i beat allucinogeni della regina dell’elettronica al femminile le aggradano parecchio, così come il messaggio di ribellione agli stereotipi della donna da vetrina.
E infatti le canzoni di Mia non parlano di delusioni da uomini o di cuoricini volanti sopra le teste di due innamorati. Le canzoni di Mia parlano della sua vita, della sua esperienza di vita, ossia l’essere cresciuta in una terra che amava avendo paura di morire e l’aver passato gli ultimi anni della sua vita in una terra nuova e che sta cominciando ad amare; ma dove deve combattere con abitudini differenti e con gli sguardi sospettosi di chi non è abituato al diverso.
Mia parla di guerra, di spari e di ribelli, così come della novità della vita in una metropoli come Londra. Mia parla di attualità, di cose che accadono realmente.
Hip hop che si unisce al bhangra e al ragga, appoggiandosi su beat elettronici; sonorità viscerali e dense di energia che squarciano il buio dell’urban music inglese attuale. Accecante. Svuota lo stomaco e lo riempie di un’onda d’urto di pura vita.
Elisa Bellintani
7 luglio 2004
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