“Amen” è la fine di una preghiera e l’inizio di una ribellione. E’ un attacco alle istituzioni con la voglia di scuoterle, è una supplica nella speranza di essere ascoltati.
A tu per tu con i Baustelle. Mi sono invaghita di loro incontrandoli in “La Malavita”, una cinepresa con il privilegio di registrare con distacco, pura impudenza che spezza con la melodia italiana. Fantastico! E i presupposti perché la buona musica continui ci sono.
C’è una base di inquietudine che accompagna e caratterizza i testi e le musiche dei Baustelle. Un’inquietudine che, mischiata ad ironia, dà carica. Non è pessimismo cosmico; non è voler vedere tutto nero anzi, è chiaro cinismo sapientemente reso a fotogrammi. Ho ascoltato “Amen” direttamente in casa discografica e con le cuffie… il dettaglio è solo per spiegare che in alcuni momenti ho dovuto allontanarmi dal disco, spostando le cuffie dalle orecchie, per riprendere fiato. Alcune liriche, Alfredo su tutte, faccio fatica ad ascoltarle in un contesto così poco intimo.
Paleso a Francesco la mia ‘ansia d’ascolto’. Mi confessa che anche lui ha difficoltà a riascoltare Alfredo, perché – come me – ha vissuto questi anni, la tragedia che diventò evento mediatico e uno dei misteri della storia italiana.
“Alfredino è un pezzo di storia; la canzone si allarga con una visione fantapolitica del momento, di quegli anni dove comunque c’era l’intenzione di spostare l’attenzione su fattacci politici”.
Cos’è “Amen”?
“’Amen’ è un disco super sinfonico e barocco… Ma senza esagerare però, per non rischiare di esasperare! E’ un disco complesso, con più di venti elementi archi, dieci fiati e contributi esterni; come quelli di Beatrice Antonioli e Beatrice Martini. Alessandro Alessandrini, fischio e chitarra nelle musiche scritte per i film di Sergio Leone. E poi c’è molta Africa e percussioni.”
Tra i temi portanti quello della morte, uno dei classici argomenti tabù sociali, e quello di Dio?
“Ovviamente parliamo di morte sempre per esorcizzarla e per paura. Il nostro è un disco crudo, c’è un Dio in tutte le canzoni, un’ossessione di Dio che non è cercata volutamente. Sono le domande dell’uomo: che ci faccio sulla Terra? Ci si mette nella condizione di pensare. L’idea di Dio appare sotto diverse forme: ed è anche positiva sul finire del disco perché presuppone un amore assoluto”.
Anche “La Malavita” finiva con un’idea positiva… trovate sempre l’appiglio della speranza sul finire?
“Sì. C’è il Dio del Vecchio Testamento, in Alfredo. E c’è un giudizio di Dio sull’uomo con tanto di nomi e cognomi, c’è il Dio istituzionale in Charlie fa surf, un’accusa contro la chiesa sempre più oscurantista e invasiva, come le istituzioni”.
E´ come la tv di oggi?
“Certo, ma alla televisione non posso chiedere di essere diversa; dalle istituzioni mi aspetto altro, che si cerchi di fare qualcosa”.
E dalla politica?
“Di politica si parla in maniera più filtrata come in Il liberismo ha i giorni contati”.
Francesco, in ogni disco fai suicidare o pensare al suicidio una donna… perché ce l’hai con noi?
“C’è una sottile linea di ironia e paradosso… nei nostri dischi si suicidano sempre donne, ma potrei essere sempre io… Ti assicuro che è solo una questione di metrica! Viviamo in una società svuotata di valori che ha perso anche la voglia di reagire e non crede alla ribellione. L’unica libertà è chiudere prima o poi il delirio e questo schifo. Quindi lei (Anna, in Il liberismo ha i giorni contati, ndr) vede e spera la fine”.
Il vostro stile è ormai inconfondibile: sarcasmo un pizzico accigliato?
“L’ironia è indispensabile, per non immedesimarsi troppo; l’ironia e il cinismo sono lo schermo per essere interessanti e non banali. Non sempre l’empatia provoca bei risultai, rischi di essere retorico e patetico”.
E di internet che ne pensate?
“Lo strumento di internet ha un lato positivo, perché attraverso esso arrivi a tanti. Di contro è invadente”.
E del trend Myspace?
“Su myspace si scoprono cose molto interessanti. E’ uno strumento più democratico rispetto al sito internet, dove se sei Madonna magari hai il web designer più figo, qui no”.
Uscite in un periodo più ‘tranquillo’, il disco dei Baustelle non era negli scaffali come papabile regalo natalizio…
“E’ la logica della guerra tra poveri: noi in questo abbiamo il vantaggio di poterci permettere di uscire in un momento meno affollato”.
Se doveste fotografare questo periodo discografico?
“E’ un periodo di trasformazione: la fine di un’ era e l’inizio di un’altra di cui non si sa. I Radiohead da questo punto di vista sono stati coraggiosi… ma se lo possono anche permettere: da una parte quindi coraggiosi, dall’altra strategica mossa di marketing”.
Uno specchietto retrovisore su Milano c’è sempre…
“Antropophagus è un Romantico a Milano parte seconda (brano del disco “La Malavita”, ndr). E’ una canzone che ha un aspetto crudo, un romanzo ambientato nella piazza della Stazione Centrale. E’ la metafora della società cannibale, di individui che mangiano i rifiuti della società occidentale. Sia a livelli alti e imprenditoriali, dove il valore è aumentare il patrimonio finanziario, che a livelli poveri: dove sono cannibali l’un l’altro. Nella piazza c’è una festa mentre si ammazzano, scippano disperati e felici”.
Elena Ferraro |