Gli amanti dei telefilm li ricorderanno per una loro comparsata in “The O.C.” ai tempi del loro primo album ("Rooney", del 2002). I detrattori, invece, per il loro nuovo singolo “Where Did My Heart Go Missing?”, uno dei successi radiofonici di fine estate, con relativo video in heavy-rotation, che anticipa l'album "Calling The World". Ma chi sono i Rooney? Ned Browner alla batteria, Taylor Locke alle chitarre, Louie Stevens alle tastiere, Matthew Winter al basso e il cantante Robert Schwartzman. Ragazzotto dalla celere carriera cinematografica con solo due film all’attivo, “Il giardino delle vergini suicide” e “The Princess Diaries”, e proveniente da una famiglia illustre (argomenti che approfondiremo più avanti) abbiamo scambiato due chiacchiere proprio con Robert. Incuriositi? Godetevi l’intervista, allora. Sono passati ben cinque anni dal vostro album omonimo di debutto. Un lustro di cambiamenti? “Assolutamente. Quando abbiamo iniziato eravamo molto giovani. Dopo il primo album, che ha avuto molto successo negli USA, abbiamo passato in tour parecchio tempo e scritto altrettanto materiale. Siamo cresciuti inevitabilmente, anche il nostro sound è diverso”. Una produzione più accurata? “Certo. La casa discografica ci ha dato ancora più spazio, più libertà e più tempo. E’ stato un disco più ragionato del precedente, volevamo che fosse migliore. E che facesse ballare la gente”. Riascoltandolo adesso, credete di esserci riusciti? “Ora come ora non cambieremmo nulla. Siamo totalmente soddisfatti di ciò che è uscito fuori. E poi il fatto che sia piaciuto a così tante persone non ci ha indotto alcun dubbio”. E per quanto riguarda i testi? Più o meno autobiografici? “Molto di più. Durante questi anni ho avuto molte relazioni, ognuna estremamente diversa dall’altra, che mi hanno ispirato molto. Nel precedente ero più un cantastorie degli altri, c’era molta ‘fiction’ nei testi”. Siete considerati una band power-pop. Vi da fastidio essere etichettati? "No, ognuno è libero d’interpretare la nostra musica come crede. Ci sentiamo molto pop in effetti. Certo, lo è anche Rihanna, ma noi siamo un pop più classico, alla Beatles per intenderci”. Stasera suonerete per la prima volta in Italia, al Transilvania di Milano. Cosa dobbiamo aspettarci? “L’album è stato ‘pensato’ live, quindi avrà praticamente lo stesso sound dal vivo. Ad ogni concerto poi, anche se abbiamo una set-list ben definita, ci divertiamo con le cover. Amiamo suonare canzoni dei T-Rex, Queen e Bangles, che abbiamo avuto ospiti ad uno dei nostri concerti al Roxy (celebre locale di Los Angeles, ndr)". Nella vostra esperienza live vantate una notevole carriera da support-act: Incubus, Strokes, Travis giusto per citarne alcuni. Qual è la lezione più grande che avete imparato da loro, i ‘grandi’? "Abbiamo avuto la fortuna di aprire i concerti di artisti che fanno i generi più disparati e quindi c’era molto da imparare. Possiamo dire, però, che la band che più ci ha impressionati, anche dal punto di vista umano, sono stati i Travis”. Oltre che da supporter, vanti anche una carriera, seppur breve, da attore. Parenti illustri come Nicholas Cage, Sofia e Francis Ford Coppola, tuo fratello Jason. Come mai hai smesso di recitare? "La mia è una famiglia molto eccentrica, come si può immaginare, ed essendo mia madre (l’attrice Talia Shire, ndr) molto critica nei miei confronti, non credevo di essere all’altezza. Così ho deciso di concentrare le mie energie nella musica. E stavolta devo dire che l’ultimo album le è piaciuto parecchio”. Avrà fatto la scelta giusta il nostro Schwartzman? Un buon motivo (qualora ce ne fosse bisogno) per rivedere “Il giardino delle vergini suicide”. (Vyncent Valo) |