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 SPECIALE HIP HOP ITALIANO 2007
SPECIALE HIP HOP ITALIANO 2007 RAP ITALIANO? FILOSOFIA DI STRADA. RABBIA. E MOLTO ALTRO
RAP ITALIANO? FILOSOFIA DI STRADA. RABBIA. E MOLTO ALTRO
Con il rap è tutto un po’ un casino. Senti un disco, non ti piace, parli con l’artista e ti trovi di fronte un illuminato urbano. Un po’ come il Ghost Dog di Jarmush, se avete presente. Altri sono dei gran cazzari nelle rime eppure hanno il rispetto di tutto l’hip hop che conta. Altri…insomma basta così.
Era per dire quanto vario e denso sia oggi il mondo del rap. Un mondo che in Italia ha per anno zero il concerto romano di Afrika Bambaataa e il disco (bleah) “Jovanotti for President” di Lorenzo Cherubini. Più o meno it’s 1985 baby! Sotto i ponti sono passate le rime un po’ di tutti, dagli Articolo 31 che furono i veri primi rapper generazionali, a Dj Francesco, che salutiamo. La new school del rap, che in realtà è formata spesso da artisti sulla cresta del microfono da anni, merita un incontro faccia a faccia.
Che nel nostro caso è la faccia di Vacca, Turi, Club Dogo, Tormento, Two Fingerz ed Emanuel Lo.

Il piano è questo, si organizza un incontro con tutti – uno alla volta perché insieme nella stanza sarebbe una roulette russa – ci si guarda negli occhi e si parla di tutto. Incidentalmente anche di musica. Ma non per forza.

Milano e il rap, come Roma e il rap, Genova e il rap, Torino e il rap, è un connubio esplosivo. A testimoniarlo ci sta il nuovo disco dei Club Dogo.

Parliamone.

“Siamo nati e cresciuti qua. A livello umano non vale più la pena vivere a Milano, sembra un paesotto in cui tutti conoscono tutti. Cosa resta d’altro? Il cielo grigio, e il fatto che sono tutti sempre di corsa”.

Ok, restiamo in Italia. Che altra musica vi ha lasciato un segno?

“La fascia degli anni ’70 e ’80 italiani, il progressive rock, i Matia Bazar, le prime cose di Lucio Battisti, i Pooh dei primi tre dischi. E poi i primi Articolo 31, Vasco Rossi. Ma dagli anni ’90 in poi è morto tutto”.

Cosa ha ispirato il vostro nuovo “Vile denaro”?

“Per scrivere bisogna essere tormentati. È difficile avere sobriamente uno stile di vita che ti porti a comporre musica. È triste dirlo, ma se sei fatto rifletti di più”.

Quindi quanto spendete in droghe e alcool?

“Una cifra molto alta, ma a fasi alterne”.
 
Di tutt’altra scuola, pasta, fattura, fattanza e stile è Turi. Artista calabrese neosiglato Universal e pronto sul mercato con il suo bel “Colpa delle donne”. Un disco rap non dedicato alla sola comunità rap. Pur mantenendo un profilo di massimo rispetto all’interno della scena. Non dev’essere stato facile. Dipenderà dal fatto che pure Turi è sulla scena da un bel decennio. Senza essersi mai svenduto, senza chiacchiere inutili. Nel rap sono cose che contano.

Turi quanto ti piace il tuo nuovo disco “Colpa delle donne”?
“La percentuale è salita rispetto al primo disco (40%) e al secondo (60%). Stavolta sono soddisfatto al 70%. Essendo io molto autocritico, mi passa un po’ l’entusiasmo infantile che vedo nei miei colleghi rapper.  E poi penso che con il passare del tempo i pezzi scadano, e il disco invecchia”.

Comunque a me il tuo disco è piaciuto un sacco.
“Strano, sei di Milano? Spesso i giornalisti si buttano sul personaggio, che deve essere addobbato come un albero di natale. Guarda, anch’io ho avuto problemi nella vita, arrivo da Gioia Tauro, ho amici morti ammazzati, ma non vado a sfruttare i cazzi miei per fare i dischi. Pensa che mi hanno chiamato per una trasmissione dove serviva gente della strada per fare hip hop. Io invece devo pensare all’affitto, altro che la strada”.

Per questo non parli di club e puttane?
“Oggi molti si fissano se il disco non suona come i dischi americani. Io sono pessimista per quanto riguarda la mia musica perché non è confezionata per fare notizia, ma se va bene ti faccio arrivare a casa un pacco regalo. L’anno scorso, ad esempio, Fabri (Fibra) non aveva bisogno di tutte quelle montature, si vedeva già all’epoca che aveva talento”.

Turi, quanto si scopa grazie al rap?
“Non è che si scopa grazie al rap, la donna si interessa a te. Io ho due lati della personalità: sono cinico e poi sono ironico. Il mio idolo è Daniele Luttazzi. E poi ti dico un segreto: falle ridere”.
 
Con il Vacca – artista rap milanese e pure cagliaritano – il discorso è un po’ più complesso. Fa rap ma ha i dreadlocks, canta insieme al cinico Fabri Fibra ma ha un’etica d’acciaio. E poi del Vacca girano voci da tempo immemorabile, qui a Milano. Pare fosse buddista, o skin-head. Ma queste sono solo chiacchiere da corridoio. Parliamo con il diretto interessato.

Ciao Vacca. Qual è il peggior disco nella storia della musica italiana?
“Oh, che bella domanda. Vieni fuori a fumare allora. Dunque, ce ne sono così tanti però. Il disco di Dj Francesco, anche se non l’ho sentito. Anzi, non sono riuscito a sentirlo proprio perché faceva così schifo”.

Sostanze preferite?
“Ganja, non vado oltre. Mr Cartoon fa parte del passato, e per passato intendo quest’estate”.

Sei soddisfatto della tua generazione?
“Sì, di brutto, nel senso che è gente con i coglioni. Se pensiamo ai nostri genitori, beh, sono persone abituati ad arrendersi nella vita. Sono abituati a lavorare per mangiare, e null’altro. Io avevo un lavoro, ok? In cantiere, poi il militare e poi ho lavorato in un ufficio per 7 anni. Tenevo corsi di informatica anche se ho solo la terza media. Per me la vita era il lavoro, era una sicurezza. Poi ho capito che il rap non era solo un hobby, e ho deciso di rischiare tutto. La generazione mia è figa per questo!”
 
Vacca quali sono i tuoi valori nella vita?

“Sicuramente il rispetto per le persone, e poi essere positivo sempre e comunque. E poi, mi dispiace dirlo, sono vendicativo come un bastardo”.

Beh, non è giusto nemmeno lasciar troppo correre le cose.
“Io sono stato graziato un casino di volte, quando sbagliavo. E dovrei meditare un po’. Però ci sono cose che vanno oltre i problemi materiali, si tratta proprio di rispetto. Di come ti rapporti con le persone. Se sbagli con me l’unica mia ragione di vita è fartela pagare”.

Parlando del tuo disco, grado di soddisfazione?
“Brividi dalle unghie dei piedi alla punta dei dreadlocks. Era esattamente quello che volevo fare”.
 
Loro invece sono i figli del Caos. Si Chiamano Two Fingerz, fanno rap ma…
Si ha l’impressione che potreste aver fatto anche un disco punk, che la musica sia solo il mezzo per i contenuti.

“Noi facciamo rap perché è la cosa che ci riesce meglio. E poi caratteristica dell hip hop è prendere da altri generi, per cui campionamenti e libertà totale”.

Cosa pensate dell’Italia?
“Ho l’opinione che ovunque vada tutto un po’ di merda, nel mondo; qui però siamo molto più bravi degli altri a mandare tutto a male”.

Che musica ascoltate?
“In questi giorni ho recuperato Anthony e the Johnsons, e anche roba soul e rap estera”.

Rap italiano zero?
“Detto così sembra brutto, però non prendiamo il disco, se ci sono i singoli in radio ascoltiamo quello. Non prediligiamo il rap italiano”.
 
Tormento si presenta da solo. Botto di fama con i Sottotono, crescita e maturazione verso un sound più suonato, più vicino alle radici della musica nera americana. Nuovo disco anche per lui.

Anche per lui la domanda:
Peggior disco italiano?
“Tradimento’ di Fabri Fibra. Se il rap ha bisogno solo di parolacce allora è tutto veramente finito. Poi penso a gente come Erikah Badu, e lì trovo il vero significato del rap”.
 
Sei da molto nel mondo della musica. come ti vedi tra altri 40 anni?
“Mi piacerebbe mettere su una cover band di Marvin Gaye, non mi dispiacerebbe. E poi continuerei ad aiutare i ragazzi che se lo meritano. Continuare a produrli”.

Come vedi quindi l’ondata del rap post Fibra?
“Mi è dispiaciuto vedere che le major non sono state capaci di migliorare la qualità del rap, nonostante i soldi. I ragazzi hanno continuato a farsi i dischi in casa con il computer, e le case discografiche li hanno semplicemente stampati. E poi ricordo che negli anni ’90 c’era meno attenzione mainstream ma più tam-tam. Oggi sembra tutto più superficiale”.
 
Emanuel Lo saluta e chiude questa istantanea sul rap 2007. Artista di 27 anni, romano, ballerino professionista e ora cantante soul – rap – r’n’b grazie alla mano santa di Giorgia, che ha creduto in lui offrendogli studi di registrazione, musicisti e tutta la sua competenza. Vi assicuro che la differenza si sente!

Ciao Emanuel. Tu sei più legato all’r’n’b che non al rap. Cosa ascolti solitamente?
“Il mio artista preferito è Michael Jackson, ma adoro il rap. E ovviamente tutto l’r’n’b, come avrai notato dal mio disco”.
 
 
Come hai iniziato a cantare?
“Io ho sempre amato la danza, ho sempre danzato e quando tornavo a casa la sera mi mettevo a cantare per rilassarmi, per distrarmi dai pensieri. Un po’ per volta mi è venuto naturale dedicarmi sempre più al canto, e ora, grazie a Giorgia e a tutto quello che mi ha insegnato sto iniziando a fare concerti, e il mio disco è finalmente pronto”.

Ma tornando al punto di partenza: anche “Jovanotti for President”, a suo modo, fu generazionale.
 
 
 
 Alberto Motta
 
(23/08/07)
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