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Z-STAR LE SFUMATURE DELL'AMORE NEL SOUL JAZZ DI Z-STAR
LE SFUMATURE DELL'AMORE NEL SOUL JAZZ DI Z-STAR
Cantante, autrice, chitarrista e poeta, Z-star (si pronuncia zi-star) è attiva da anni sulla scena rock-soul-jazz internazionale. È un’artista incredibilmente difficile da classificare; senza temere di esagerare nel cercare di descrivere la sua musica, potremmo dire che in lei convivono la classe e la sensualità vocale di Shirley Bassey, la modernità e la sperimentazione di Me'Shell NdegéOcello, la forza cantautorale e l’intensità di Joan Armatrading o Tracy Chapman.

Ma al di là di certi paragoni, Z Star esprime una personalità assolutamente unica.

La voce profonda, suadente, capace di grandi variazioni dinamiche, fa da perfetto complemento alla musica che scrive: canzoni appassionate che parlano di Libertà e d’Amore. La sua presenza carismatica, il talento, la spontaneità e la sintonia che stabilisce con il pubblico sono qualcosa di unico e raro, l’energia che sprigiona sul palco è travolgente, sia che suoni con la band che sola, accompagnata dalla chitarra.

Dopo un’intensa stagione di concerti nell’estate 2003, Z* ha iniziato a lavorare al suo album di debutto su etichetta Virgin, “Who Loves Lives”.

Incentrato sui temi dell’amore e della libertà, questo disco vuole essere un’affermazione di fiducia nella vita. Cercando di far convivere l’energia del rock con l’emozione del blues, le inclinazioni jazz col funk e la musica latina, l’album propone un suono che suggerisce tutti questi elementi ma risulta assolutamente unico; è il personale tributo di Z* al rock e al jazz, al soul e al blues, rivisitati con audacia e innovazione.

Come descriveresti la tua musica?

Mi definirei una cantautrice soul-jazz di taglio pop. Altre possibili “etichette” ... Nu Jazz, Acoustic Soul, R&B, Urban, Adm

Qual è il tuo background musicale e a quale scena ti senti di appartenere?

A causa della mia estrazione caraibica e delle mie radici afro-asiatiche il mio punto di riferimento principale è il ritmo. Ascolto ogni genere di musica ... jazz, blues, latin, world, soul, soca, r n b, hip-hop, dub-reggae, funk, folk, classica, dance, pop e rock e attingo a tutte queste influenze per creare il mio sound.

Cosa ti ispira e di cosa parlano le tue canzoni?

La musica stessa è una delle mia fonti principali, così come lo sono un bel concerto, la vita quotidiana e l’osservazione delle persone, i temi sociali, l’arte, le storie comiche o fantastiche, la letteratura, i viaggi. Prendo molta ispirazione dai film e dalle colonne sonore. L’amore è sempre un argomento centrale nel mio lavoro perchè, dopo la musica, è la cosa che conta di più nella mia vita.

Quali artisti sono stati più importanti per te o hanno maggiormente influenzato la tua musica?

Billie Holiday, Shirley Bassey, Aretha Franklin, The Doors, Bob Marley, Marvin Gaye, Burt Bacharach, Led Zeppelin, Cat Stevens, Sly and the Family Stone, James Brown, Stevie Wonder, Sade, Jeff Buckley, Miles Davis, Nina Simone, Pink Floyd, Prince …

Qual è il tuo rapporto con l’Italia e con la scena musicale italiana? Vieni spesso a suonare in questo paese?

Alcuni dei miei amici più cari sono italiani, senza contare che sono italiani la maggior parte dei musicisti con cui ho lavorato e tuttora lavoro. Certe parti dell’Italia mi ricordano Trinidad e trovo che le persone siano altrettanto calorose e ospitali.

Quali collaborazioni ti hanno dato maggiori soddisfazioni nella tua carriera?

Le mie registrazioni con Terry Callier e Natacha Atlas sono state esperienze bellissime, mentre le performance con Puddu Varano, Nigel Kennedy e per lo spettacolo “I monologhi della vagina” mi hanno aiutato a perfezionare le mie prestazioni live. Tuttavia, la maggiore soddisfazione è venuta dalla collaborazione con Morten Varano per il progetto Slow Train. In 21 giorni di studio nell’arco di tre mesi abbiamo scritto, registrato, prodotto e mixato l’album “Illegal Cargo”. Per me Slow Train ha rappresentato un terreno di sperimentazione di certe sonorità elettroniche e beats campionati, elementi che non sono centrali nella mia costruzione musicale, ma che hanno in comune le stesse influenze ... ovvero il soul psichedelico e il jazz filmico.

Come sono andate le registrazioni del tuo album e che rapporto si è creato con i musicisti?

È stata un’esperienza piena di alti e bassi, che mi ha messo alla prova mentalmente, emotivamente e fisicamente. Una volta superato il primo momento difficile, quando ho dovuto prendere atto che il produttore non era quello giusto e quindi assumere su di me la responsabilità della produzione con l’aiuto del mio bassista Vezio Bacci, mi sono sentita molto sollevata. Suoniamo insieme da anni e ci fidiamo reciprocamente del nostro istinto, ma nessuno dei due aveva prodotto prima un disco del genere; tuttavia, conoscevamo gli arrangiamenti e sapevamo cosa volevamo sentire. In definitiva, abbiamo puntato decisamente su un suono che restituisse al massimo la forza e la natura eclettica del mio modo di scrivere.

Perchè hai scelto il nome z-star e altri pseudonimi?

Z è nato come soprannome e ho incominciato a usarlo nei concerti. L’appellativo di Star è venuto fuori dallo slang di amici e ammiratori, ma a me piace vederlo come il simbolo di una costellazione d’amore e di forza spirituale. Una misteriosa e splendida energia, che viaggia attraverso il tempo e l’oscurità, come quella delle stelle. Una forza positiva. L’altro mio pseudonimo, Lady Z, me l’ha dato Terry Callier durante una seduta di registrazione, dopo un’esecuzione particolarmente d’effetto. Uso questo nome per le collaborazioni in ambito dance, con Slow Train/Puddu Varano.

Perchè hai intitolato l’album “Who Loves Lives” (“Chi ama vive”)?

Il tema centrale dell’album è l’amore. L’amore si manifesta in molti modi e alla fine dovrebbe portare alla liberazione. La libertà è l’altro tema che scorre sotto la superficie delle mie canzoni, ognuna delle quali contiene un messaggio d’amore, diretto o astratto e sempre aperto a diverse interpretazioni. Il mio ponte tra l’amore e la libertà è l’onestà. ‘Chi ama vive’ è un’affermazione di fiducia nella vita.

Ci parli di “Black Woman Freak”?

Ho scritto questa canzone in un periodo in cui ero molto giù. Ricordo che mi sentivo invisibile e intrappolata, emotivamente e creativamente, c’erano cose che non riuscivo ad esprimere. Avevo bisogno di uscire fuori, scappare, fare qualcosa. E’ stato allora che mi sono rasata la testa alla mohicano, facendo quasi svenire l’amica con cui abito. Passavo da momenti di abulia ad altri di eccessivo amor proprio. In certi periodi per curarsi è utile dare spazio al proprio lato infantile, andare un po’ fuori di testa per liberarsi dai vincoli. B.W.F. è l’alter ego di uno dei miei personaggi di fantasia, Papillon Noir. Papillon risveglia la super-eroina che si nasconde in B.W.F. per aiutarla a superare le proprie contraddizioni. Rappresenta la forza delle donne, la loro vitalità, consapevolezza, sicurezza, bellezza, fascino e coraggio. E’ una storia di liberazione e illuminazione ... Eccomi qua.

Di “Rosemary’s Last Kiss”?

Questa è una delle mie prime composizioni, l’ho scritta di getto, un po’ come un blues. La chitarra e il ritmo latineggianti evocano emozioni intense e inquiete. Non è una canzone facile da cantare, se non ci metti tutto non viene fuori. I testi sono astratti, la musica spigolosa e non priva di insidie. In ultima analisi è la storia di un rifiuto e dell’accettazione della propria impotenza ad influenzare un destino già segnato – per tutte le parti in causa ... la perdita dell’amore.

E di “Lost Highway”?

E’ in parte realtà in parte fantasia. Il titolo è ispirato al film di David Lynch. La storia parla di passato, presente e futuro. Anni fa la mia energica nonnina venne a visitarmi in sogno. Siamo in cucina a parlare quando a un certo punto nel giardinetto dietro casa appare uno steccato, poi una fitta foresta, poi un personaggio alto in frac e cilindro. Chiedo a mia nonna chi sia e lei risponde “Questa è la Morte, se ti appare in sogno, non guardarla in faccia”. Si alza e cammina verso di lui: sei mesi dopo era morta. Il messaggio era chiaro. L’ho anche interpretato come un segno che dovevo fare dei cambiamenti. Nella vita, si diventa amici di estranei che spesso ti sono più vicini della tua stessa famiglia, si creano legami collettivi. Lost Highway è un invito a intraprendere la strada della libertà interiore, della ricerca di motivazioni e conoscenza di sé ... è un brano collegato a B.W.F e a Summer Rain, con i quali ha in comune il tema della libertà. Gli strumenti sottolineano i vari momenti di questa ricerca: il piano mi suggerisce una visione d’idee in fermento tendenti a schiarirsi, il crescendo di fiati il momento della percezione, la chitarra e il basso quello della determinazione, il ritmo... un’esplosione dell’essere.


15 giugno 2004
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