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REGINA SPEKTOR |
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REGINA SPEKTOR ... LA RUSSA DEL BRONX CHE AMAVA IL PIANO |
C’era bisogno di lei, e per fortuna è arrivata. Il nuovo personaggio fermento dell’universo indie si chiama Regina Spektor, e il suo album di debutto (in circolazione underground da un bel pezzo, a dire il vero) si chiama “Russian Kitsch”; e la sua musica è un pastiche postmoderno di piano e voce. Tutto qui. Molto rumore per nulla? Affatto. Molto rumore, e a ragione. Regina nasce a Mosca, in piena Unione Sovietica pre-collasso, e la sua famiglia è ebrea. Il padre è violinista e fotografo, la madre insegna musica a scuola; e Regina incomincia a prendere lezioni di piano a 6 anni, esercitandosi sul pianoforte Petrov lasciato in dono dal nonno a sua madre. Nel 1989, con il crollo del Muro di Berlino e l’ascesa della Perestrojka di Gorbaciov, gli Spektor scappano in America, e si trasferiscono a vivere a New York; se questo è motivo di giubilo, c’è da dire che il sogno americano è tutt’altro per la famiglia di immigrati russi: i soldi scarseggiano, e Regina non può più prendere lezioni di piano. Non solo. Il tanto caro e amato piano Petrov viene lasciato indietro, perché era proibito portar fuori dalla Russia i manufatti nazionali, considerati proprietà dello Stato. Inutile dire che Regina ci rimase malissimo. Anche perché le occasioni di suonare il piano a New York nel Bronx sono davvero poche: uno scordato nella sinagoga che frequentava, e nient’altro. Fino a che Regina e i suoi diventano amici di una famiglia di musicisti, e la signora Sonia Vargas, professoressa alla scuola di Manhattan, si offre di darle lezioni private gratuite. “C’è un adagio giapponese che dice ‘Quando lo studente è pronto, l’insegnante si materializza’; e la mia vita è stata proprio così: attendere il momento giusto e vedere le cose capitare. Come con Sonia, o come quando avevo scritto delle canzoni e qualcuno mi ha offerto un palcoscenico su cui esibirmi, o come quando mi sono sentita pronta ad andare in tournée e gli Strokes me lo hanno domandato”. Regina si mette a scrivere canzoni a 17 anni nel corso di un viaggio scolastico in Israele; i suoi compagni la trovano brava, le chiedono continuamente di cantare, inventare, comporre melodie, e lei un po’ ci crede. Tanto da prendere sul serio l’idea di mettersi a fare musica, e non solo di riprodurre (con tecnica e passione) Chopin o Mozart. Regina di musica – diciamocelo – non ne capisce molto. Lei stessa ammette che il suo accostamento alla musica è stato del tipo ‘a ritroso’: “Scrivevo una canzone e qualcuno mi diceva: assomiglia a questo, assomiglia a quello. E io, che di chi era venuto prima di me non sapevo nulla, mi andavo a informare. Così ho conosciuto tanti musicisti di cui ignoravo l’esistenza”. Intanto gli studi continuano; con la musica non si scherza. Regina si laurea alla Purchase, un college di New York con uno dei Conservatori di Musica più rinomati dell’intero Paese. E lì registra il suo primo mini-album, “11:11”; di giorno lavora per mantenersi, di sera si esibisce e vende copie del suo disco, tanto per arrotondare. Ma la musica è la sua passione, e la passione, si sa, prima o poi esplode incontrollabile e incontrollata. E’ un amico batterista che le segnala Gordon Raphael e le suggerisce di registrare un disco con lui; in fondo è il produttore degli Strokes … “Gli Strokes? E chi sono?”. Regina non si smentisce mai! A lui basta sentire “Poor little rich boy”, canzone in cui Regina con la mano sinistra suona il pianoforte e con la destra batte il tempo con una bacchetta su una sedia; un pezzo di una semplicità inaudita. Semplicemente incantevole. E in una sola settimana (il tempo che Gordon aveva a disposizione a New York), a 15 ore per giorno in studio, esce “Russian Kitsch”. Un disco che esala pericolo e passione, piacere e metodo, dove a piano e voce si accompagnano raramente un graffio di violino o basi ritmiche minimalissime. Un disco “sporco”, ma di una bellezza grezza senza paragoni. Come lo zucchero non raffinato, ha una sua personalità. Che sembra affondare in un delirio di gorgheggi trillanti strascicati come in preda ad un abuso di vodka. I testi di “Russian Kitsch” hanno poi l’accuratezza formale e la cesellatura dei racconti brevi di Chechov e Gogol’, essenziali e aderenti alla realtà. Non serve molto a Regina Spektor per farsi notare. Le basta che “Russian Kitsch” venga ascoltato dal signor Julian Casablancas, perché le arrivi richiesta immediata di fare da supporter al tour americano degli Strokes; e a seguire viene richiesta anche dai Kings Of Leon. Visto? Facile. Basta prepararsi e aspettare, le cose arrivano. “Ho sempre sognato in segreto di girare il mondo e i teatri suonando al mio pianoforte le composizioni di Chopin e Mozart. E in un certo senso ho realizzato il mio sogno: solo che invece che suonare le loro, suono le mie”. Mai arrendersi. Mai. Elisa Bellintani 24 gennaio 2006 |
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 2005 Russian Kitsch | | |
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