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 CLAP YOUR HANDS SAY YEAH
CLAP YOUR HANDS SAY YEAH CLAP YOUR HANDS SAY YEAH ... YEAH, YEAH, YEAAAAH!
CLAP YOUR HANDS SAY YEAH ... YEAH, YEAH, YEAAAAH!
Partiamo dal presupposto che non sempre tutto quello che viene osannato con fiumi di miele e ambrosia è per forza di cose antipatico o pompato. Aggiungiamo che non possiamo nemmeno partire in quarta con l’idolatria di un gruppo solo perché ha un qualcosa di maledettamente accattivante come il nome.
Con queste dovute premesse, proviamo poi ad avvicinarci nella maniera più imparziale possibile ai Clap Your Hands Say Yeah, piccolo American Dream che sta spingendo nelle direzioni giuste per esplodere in un bel botto fragoroso.
Le premesse ci sono tutte.
Ora la parola ai diretti interessati, i Clap Your Hands Say Yeah (e non posso proprio esimermi dal figurarmi un mondo immaginario di mani che battono all’impazzata e sorrisi alcolici sotto occhi che guizzano) – e per essere più precisi a Tyler Sargent, il bassista.
 
(Cercherò di trattenermi il più a lungo possibile dall’ovvietà più ovvia prevedibile, e cioè domandargli del nome del gruppo che tanto mi fa impazzire).
Sai cosa colpisce dei Clap Your Hands Say Yeah? L’incredibile pubblicità che vi sta facendo la stampa di settore e l’inarrestabile passaparola tra fans e “internettomani”. Come la prendete questa cosa?
Ci sentiamo sotto i riflettori, e quel che è eccezionale è che siamo insieme da appena due anni, abbiamo preparato un solo disco e già tutti parlano di noi come se esistessimo da sempre! Il passaparola è forse l’unico modo di sopravvivere per una indie band, aiuta a creare comunità, e a darti certezze e soddisfazioni anche quando non hai magari un contratto sotto mano. Però non ce lo aspettavamo così …
Paura di non essere all’altezza?
Paura no, ma mentirei se dicessi che tutto questo gran parlare non ti metta addosso un po’ di pressione. Sì vabbè ti carica, ti motiva, però … è un bel peso!
(Vorrei chiederlo, ma … aspetto ancora un po’) Non vi tranquillizza essere già in un certo senso “protetti” dagli addetti al settore?
No, perché i giornalisti cambiano idea in fretta come il vento. Non è il loro appoggio a farci sentire sicuri, ma il fare quello che ci va di fare e farlo al meglio. Se poi piace, tanto meglio.
Se poi piace e vende, è il connubio perfetto. So che all’inizio vi siete autoprodotti, e che il contratto discografico è arrivato solo in un secondo tempo; come era allora?
Difficile, avventuroso, ma anche adrenalinico. Siamo partiti con il classico demo, poi visto che andava bene abbiamo provato con 2.000 copie, poi 5.000, 10.000, 30.000, 40.000 … ho perso il conto. Ora per fortuna non li dobbiamo più tenere i conti di quante copie stampiamo! Però era un rischio, ci abbiamo creduto, è stato bello ed eccoci qui. Grande distribuzione, ma ci tengo a dire che in America e Canada siamo ancora indipendenti.
(Resisto ancora, ma già con fatica) Siete di New York, Brooklyn se non sbaglio. Com’è la scena musicale laggiù da voi? Viva? Concorrenza spietata? Meglio emigrare?
(Ci pensa su un bel po’, poi candidamente ammette) Io gli altri non li seguo … non per tirarmela e dire che siamo i migliori, ma perché dopo che stai in tour per magari un mese e mezzo l’unica cosa che ti va di fare è tornartene a casa e startene un po’ in pace. Quindi non è che sia uscito molto in questi ultimi tempi … Mettiamola così: richiamami quando saremo a riposo, ti prometto che uscirò a farmi qualche birra e ad ascoltare cosa c’è in giro a New York!
Posso anticiparti qualcosa io: ci sono tante, ma davvero tante indie rock bands in circolazione. Siamo sull’orlo del collasso. Cosa avete voi che gli altri non hanno? Cosa ci proponete di speciale e unico?
Non saprei, è così difficile da dire … non è semplice spiegare e scomporre una cosa che a te esce in maniera così naturale. Non lo so. Tu che dici?
(Eheh, me la metti su un piatto d’argento così … finalmente mi libero) Una mezza idea ce l’avrei: sull’originalità e appeal del nome nessuno può contestarvi nulla!
Bello, vero? Piace tanto anche a noi!
Chi è di voi cinque la mente che sta dietro a questo parto fortunato?
Un muro. Nel senso che avevamo un concerto, ci serviva un nome, siamo usciti dal locale e ci siamo trovati di fronte un muro con scritto a caratteri cubitali “Clap your hands say yeah”. Ci è piaciuto subito. Spero solo che quello che l’ha scritto non si faccia vivo ora e ne reclami la paternità!
Il nome si addice molto alla vostra musica, però. Forse che le cose si influenzano a vicenda?
Quando hai un nome così non puoi certo tradire le aspettative … (e ride di matto).
Ho letto in giro che pare – pare – David Bowie sia stato avvistato ad un vostro show. E’ vero, intanto?
E’ vero, sì, queste sono cose che non si dimenticano facilmente!!
Pare gli piacciate, poi. Siamo di fronte ad un’altra imbeccata indovinata come quella degli Arcade Fire?
Avere David Bowie non dico tra i tuoi fan, ma ad un tuo concerto è una bella botta di vita! Noi speriamo di farcela, chiaramente, David Bowie o non David Bowie.
Il 22 febbraio verrete a suonare per la prima volta in Italia (al Transilvania di Milano). Cosa vi aspettate dal pubblico italiano?
Non ho la più pallida idea di come sia il pubblico italiano. Quello che mi sconvolge è cambiare Paese – e quindi reazioni e umori – ogni giorno, un giorno in Italia, il giorno dopo in Francia, capisci? Fino ad ora abbiamo visto gli Stati Uniti, ma lì son tutti americani e sai già come muoverti. Il tour europeo invece è una bella scommessa … siamo pronti!
 
Conclusione: non sono poi così male, con tutte quelle armoniche e quei deliri agonizzanti all’urlo di “Clap your hands!!!” … L'omonimo album di debutto è un pò unico nel suo genere. Il 22 febbraio vi consiglio di essere coraggiosi e assaggiare i Clap Your Hands Say Yeah; ne vale la pena! 

Elisa Bellintani

20 dicembre 2005
 TUTTO SU CLAP YOUR HANDS SAY YEAH

2005
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