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DEUS ... LA RIVOLUZIONE CONTINUA |
Anversa, nord del Belgio. La città dei diamanti e di Rubens. È proprio qui che nel 1991 il diciannovenne Tom Barman, studente con il pallino del cinema, ed il suo amico Stef Kamil Carlens fondano i dEUS (nb. pronuncia dèus, non dìas: è latino!), nome mutuato dal titolo di un singolo degli islandesi Sugarcubes, ex gruppo di Björk. Le cover, da cui spesso si inizia in questi casi, iniziano da subito a stare strette ai cinque ragazzi, che quasi da subito cominciano a comporre pezzi propri. Materiali che vedranno la luce per la prima volta nell’EP autoprodotto “Zea” (1993). Grazie a questo EP e ad una serie di fortunate date londinesi che seguirono, la band riesce a strappare un contratto alla Island Records passando alla storia come la prima indie-band belga ad ottenere un contratto con una major. Nell’estate del 1994, proprio quando con la morte di Kurt Cobain cominciano a scorrere i titoli di coda sull’età dell’oro delle alternative band americane, MTV comincia a trasmettere in heavy rotation il video di Suds And Soda, primo singolo estratto da “Worst Case Scenario”, l’album d’esordio che vedrà la luce in ottobre. I dEUS fanno subito il botto: la canzone (che ad oggi rimane il più grande successo della band) ha un tiro straordinario: le chitarre grezze, i violini acidi ed il controcanto isterico di Carlens, che come un forsennato scandisce il tempo urlando la parola Friday per 159 volte (!), ipnotizzano gli appassionati di rock di mezzo mondo. Il primo album dei dEUS fa gridare letteralmente al miracolo la stampa specializzata. “Worst Case Scenario” è infatti un piccolo capolavoro che fonde grunge, archi, estemporaneità frankzappiana, ispirate melodie d’autore, tappeti dilatati alla Velvet Underground e l’inevitabile e palpabile freschezza dovuta alla giovane età dei cinque. Nel 1995 i dEUS tornano nei negozi con “My Sister is My Clock”, un EP che conferma la spiccata personalità della band. Non è da tutti infatti, dopo un album di successo, concedersi il lusso pubblicare un impasto, una pastiche-traccia unica di 25 minuti in cui affiorano appunti sonori, letture, parlato, rumori e scheletri di canzoni. Un lavoro destinato a rimanere solo nelle collezioni dei fan ma che attenua l’attesa per il secondo album in studio che arriverà nel settembre dell’anno successivo. “In A Bar Under The Sea” (provate a tradurre in italiano, ricorda qualcosa?) si presenta come un più che degno successore del disco d’esordio anche se alla lunga sembra soffrire dell’ovvia mancanza dell’effetto sorpresa e di un numero di tracce probabilmente eccessivo. Un disco che conferma il talento cristallino di Barman come autore (Little Aritmethics e Serpentine sono gemme pop praticamente perfette) e la capacità della band di sguazzare con ironia ed intelligenza tra generi e atmosfere così lontane tra loro. Il disco, oltre a confermare i dEUS come la realtà rock più interessante dell’Europa continentale, segna l’abbandono della band da parte di Carlens. Abbandono che sarà il primo capitolo di una serie infinita di arrivi e partenze (nel 2005 della line-up originale rimarrà il solo Barman) che farà dei dEUS una specie di centro di smistamento per una galassia di band che caratterizzeranno il il pop-rock belga dalla seconda metà dei novanta ad oggi, tra i quali ricordiamo gli Zita Swoon, i Dean Man Ray e i Soulwax. Dopo tre anni, nel 1999 i dEUS pubblicano il terzo album “The Ideal Crash”. Anche questa volta a fare da perfetto aperitivo per il disco ci pensa un bellissimo video, Instant Street, diretto come la maggior parte dei video del gruppo dallo stesso Barman. Uno stralunato sketch nel quale prima si vedono i cinque muoversi in affollato “Cafè d’Anvers” (dove per sbaglio tre anni prima Barman ed il chitarrista Craig Ward furono arrestati per spaccio) per poi uscire e sbeffeggiare la polizia che attende fuori dal locale con una coreografia di gruppo in pure stile Michael Jackson. “The Ideal Crash” è l’album della svolta. Svolta per alcuni fa rima con tradimento, per altri con appiattimento, mentre forse si tratta molto più semplicemente del disco della maturità: si smussano molti spigoli, si lascia meno spazio all’imprevedibilità e per la prima volta fa capolino l’elettronica, futuro amore del sempre più leader Barman. La penna e lo stile di Tom sono assoluti protagonisti di queste dieci tracce, tra le quali spiccano dei futuri classici (Sister Dew, The Magic Hour, Magdalene e la stessa Instant Street) che dovrebbero quanto meno tranquillizzare i più scettici sullo stato di salute della band. A fugare definitivamente ogni dubbio sul presunto “rammollimento” della band ci pensa un tour incendiario che per l’intero ‘99 toccherà tutta l’Europa con ben sette date in Italia, tra cui si ricorda il breve ma memorabile passaggio al festival Arezzo Wave. Tour al quale seguirà il lustro sabbatico della band. Periodo segnato da frequenti ed insistenti voci di scioglimento, dalla pubblicazione di un best of (“No More Loud Music” del 2001) e soprattutto dai progetti paralleli di Tom Barman. Tra i più importanti ricordiamo l’album d’esordio dei Magnus (“The Body Gave You Everything” del 2002), progetto dance formato da Barman e dal produttore-dj CJ Bolland, il primo film da regista “Anyway The Wind Blows” (2003) e soprattutto “Tom Barman and Guy Van Nueten Live” (2003). Pur non essendo un vero e proprio disco dei dEUS questo doppio album, testimonianza del tour acustico intrapreso l’anno prima da Barman (chitarra/voce) e dall’amico Van Nueten (pianoforte), rappresenta un tassello non secondario nella discografia essenziale della band. Vi trovano posto infatti sette canzoni dei dEUS ed una manciata di cover (Nick Drake, Bowie e Serge Gainsbourg tra gli altri) che il duo spoglia e riduce all’essenziale in un raffinato esercizio di eleganza. Arriviamo così ad oggi, al quarto capitolo: “Pocket Revolution”. Un disco nato non senza difficoltà, con gli ennesimi cambi di formazione e con una lunga gestazione passata anche attraverso un fallimentare minitour pieno di tensioni l’estate scorsa. Un proseguimento della strada intrapresa con “The Ideal Crash”, che ci riconsegna una band rigenerata, ringiovanita, che ha palesemente puntato a canzoni dal forte potenziale live. Un’esperienza di cui finalmente, dopo sei anni, anche i fan italiani (dopo l’assaggio a Palermo il 4 settembre, prima assoluta del tour europeo) potranno tornare a godere in pieno nelle attesissime date di fine novembre a Roma, Rimini e Milano. Finalmente.
Antonio Casillo
26 settembre 2005 |
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 2005 Pocket revolution | | |  2001 No more loud music | | |  1999 The ideal crash | | |  1996 In a bar under the sea | | |  1994 Worst case scenario | | |
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