Indipendenti sì, ma non fuori dal mondo. Intelligenti e taglienti, non buffoni con chitarre. I The Rakes hanno le idee ben chiare su che cosa significhi fare post punk rock in quel calderone che scotta che è la British New Wave, che è un po’ come dire tutto e niente. Giovanissimi, al loro esordio con “Capture/Release”, i The Rakes hanno scaldato i motori in patria con l’uscita di alcuni singoli davvero notevoli, vedi “Retreat” e “22 Grand Job”. Hanno fatto faville, e l’uscita del disco è solo il coronamento finale di un percorso già di per sé molto soddisfacente. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Alan Donohoe, il cantante dei The Rakes, in occasione della loro partecipazione allo sPAZIALE Festival di Torino dove per la prima volta si sono esibiti dal vivo in Italia. Come vi siete conosciuti? Ci siamo incontrati un po’ di tempo fa a Londra, io e Jamie (il bassista) frequentavamo la stessa università; abbiamo visto di avere gli stessi gusti e di aver voglia entrambi di suonare, così abbiamo messo su piano piano la band, incorporando Matthew (il chitarrista) e Lasse (il batterista). Il nome del gruppo, The Rakes (che in inglese significa persone dissolute, ndr), ha qualcosa a che fare con come siete voi? No no assolutamente, è tutto uno scherzo, è fatto in modo ironico … lo abbiamo scelto così, per ridere, non pensate che siamo dei maniaci o degli sconsiderati! Siamo bravi, bravissimi ragazzi. (e ride) Il vostro genere viene molto spesso definito come Art Rock, ma voi fino a che punto vi sentite “artistici”? Bè, noi ci sentiamo in effetti come artistici, il nostro scopo è fare musica vista come espressione artistica per le masse. Siamo artisti, ecco! Però artisti in contatto con il mondo e con tanta voglia di comunicare con il mondo, mica rinchiusi nel nostro mondo a sputare sentenze in giro. Voi ce l’avete fatta ad emergere, ma tanti sono alle vostre spalle che provano, provano ma non riescono. Cosa pensate che serva per spuntarla e guardi conoscere? Non è facile, comunque credo che la chiave di volta sia nell’essere se stessi, sempre, e non fare finta di essere ciò che non si è, la gente se ne accorge e non te la perdona. Non seguire le mode e le masse, fare quello che ci si sente di fare. Noi abbiamo fatto così e, fortunatamente, ci è andata bene! Parliamo del vostro disco di esordio, “Capture/Release”. In che cosa si distingue dal resto della New Wave inglese, e a cosa vi siete ispirati per le canzoni? Abbiamo puntato tutto sulle chitarre, il che se vuoi non è molto originale considerato che in Inghilterra lo fanno tutti … ad ogni modo abbiamo anche voluto evitare cose troppo complicate, la semplicità ci piace. E l’ispirazione la troviamo nelle cose che capitano intorno a noi, la nostra vita di tutti i giorni, del resto sono cose che tutti possono aver provato almeno una volta, per cui si crea questo feeling con il pubblico che secondo noi è molto importante. Come sono i The Rakes dal vivo? E cosa ne pensate di quelle band che salgono sul palco conciate in maniera appariscente e strana, mi vengono in mente ad esempio i British Sea Power con i loro rami pieni di foglie addosso? Non è nel nostro stile, per niente; preferiamo essere di impatto, ma non per l’aspetto bensì per la musica che facciamo. Se il pubblico ti punta gli occhi addosso per come sei vestito o truccato piuttosto che per come suoni è davvero triste, per un musicista. Che gli altri lo facciano pure, per conto nostro, non ci interessa. I The Rakes dal vivo … Noi dal vivo siamo pieni di energia e di entusiasmo, senza però spaccare tutto, te l’ho detto, siamo bravi ragazzi!
Elisa Bellintani
(30 agosto 2005) |