E’ l’ultima delle Divine, Alison Goldfrapp. L’unica in grado di far girare la testa alle donne e di far repentinamente girare gli uomini, l’unica a sprigionare spontaneamente quella che i francesi chiamano “allure”, ossia quell’aura di charme impalpabile ma inebriante, quell’energia da scossa che ti fa incollarle gli occhi addosso. Vero, i Goldfrapp sono due, Alison Goldfrapp e Will Gregory, però molto del fascino e dell’impronta glamour del gruppo è dato dalla sua persona. E’ importante ed intensa come le dive del cinema muto di inizio Novecento, è ingombrante come le capricciose signore della Hollywood anni 50 e 60, è trendsetter e perfetta come le dee del pop contemporaneo; di una bellezza raffinata, Alison Goldfrapp è l’essenza dell’inarrivabilità. In costante trasformazione, non assume una forma di spettacolo finale ma continua ad evolversi e cambiarsi, alla ricerca del lusso e della lussuria multisensoriale. Si può comprendere solo ascoltando la sua musica, elettronica di classe per palati raffinati ma nemmeno lontanamente di nicchia; se siete edonisti della bellezza, non potrete non cogliere il Senso Ultimo di Goldfrapp. Il debutto del 2000 con l’album “Felt mountain” è una bella boccata d’ossigeno che travolge le coscienze sopite ed anchilosate della placida Europa; lasciva e dolce, sensuale e colta, Alison ricrea un mondo dai contorni nitidi ma dalla consistenza evanescente, visioni di ampio respiro che arrancano vischiose nelle vene. “Lovely head”, “Utopia”; è impeto di passione al primo ascolto. L’innamoramento folle continua tre anni dopo con “Black cherry”, svolta futuristica verso un universo alla Blade Runner-meet-Barbarella, dove la sensualità diventa geometrica ed elettronica, ma il fascino rimane immutato. “Train”, “Strict machine” e “Black cherry” sono schegge impazzite di attrazione fatale, la classica tentazione da non toccare per non scottarsi ma che non fa che attirarci verso di lei. Il 2005 vede il ritorno di Alison e Will con un nuovo lavoro, “Supernature”. Semplicemente, perfetto. Che lo si guardi dal punto di vista formale o dei contenuti, non c’è davvero nulla di più assoluto di questo terzo album, probabilmente il migliore della trilogia. Cristallina e teatrale come suo solito, Alison Goldfrapp sposa qui la decadenza bohéme in chiave perversa, dove il glamour non cede mai il passo e la scivolosità della seta di Alison non smette mai di fluttuarci intorno. I Goldfrapp attingono all’arte sperimentale, all’Avant-Garde paneuropea, a Serge Gainsbourgh come alla disco polacca degli anni 70, a Prince come a Kate Bush. Le possibilità creative sono infinite, le soluzioni artistiche vanno sondate e con piacere, un occhio verso il nuovo ed uno affettuosamente attaccato al passato. New vintage. Molto chic, molto cool. Alison indossa via via i panni delle seduttrici meno prevedibili, da una raffinata e rigorosa Marlene Dietrich con l’anima da Lady Godiva (“Ooh la la”), a entraineuse technicolor da saloon (“Satin chic”), sirena di un futuro retrò (“Ride a white horse”), sempre nei panni di una vera Signora digital chic. Le performance dei Goldfrapp sono esperienze a 360 gradi, ed ecco che il momento live diventa episodio impedibile per tutti i cultori dell’incantevole visivo. Non solo da ascoltare, ma anche e soprattutto da guardare; è la stessa Alison a curare ogni dettaglio di costumi, coreografie, scenografie ed arrangiamenti sul palcoscenico, convinta che lo spettacolo debba essere appagante sotto ogni punto di vista. Per i fortunati che c’erano, il massimo punto di fulgore è stato l’anno scorso, quando i Goldfrapp erano headliner al Glastonbury Festival e dietro le quinte si sono visti omaggiare senza mezzi termini dalla band rivelazione del 2004, i Franz Ferdinand. La cometa dei Goldfrapp continua a far luce sulle buie galassie di chi dorme sonni tranquilli e noiosi, incurante della bellezza che ci passa accanto. Leggiadra, argentina, pirotecnica. Se Greta Garbo potesse rinascere, rinascerebbe Alison Goldfrapp. Ascolta qui un assaggio di "Supernature" dei Goldfrapp!
Elisa Bellintani 18 luglio 2005 |