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 MARK OWEN
MARK OWEN MARK OWEN ... QUANDO I GRANDI CADONO POI SI RIALZANO SEMPRE
MARK OWEN ... QUANDO I GRANDI CADONO POI SI RIALZANO SEMPRE
Dobbiamo forse presentarvelo? Il nome Mark Owen non vi dice nulla? Impossibile, letteralmente impossibile, dato che Mark ha fatto parte di un pezzo di storia della musica quando cantava e ballava assieme ai mitici Take That. Ora Mark canta da solo; a dire il vero è da un po’ di tempo che Mark cammina con le proprie gambe, vedi l’esordio solista acerbo di “Green man” (1997) seguito da un disco mai pubblicato da noi “In your own time”. Non è andata proprio al top, ma tant’è.
Ma adesso Mark ci riprova, con “How the mighty fall”. Nel frattempo ha avuto tempo per maturare, per ripensare alla sua carriera di cantante, per partecipare e vincere al Celebrity Big Brother inglese; e che il tempo non è passato invano si sente, ascoltando i nuovi pezzi di Mark. Fresco, solare, impossibile da etichettare quale semplice pop da scaffale, “How the mighty fall” è stata una bella sorpresa, inattesa e proprio per questo gradita.
 
A tu per tu con Mark, abbiamo scoperto una persona davvero squisita e piacevole.
 
A ormai 10 anni dalla fine dei Take That, e dopo due album da solista ed uno in prossima uscita, chi è Mark Owen oggi?
 
Una persona che si sente a proprio agio con se stessa, e che è serena. Se ripenso al primo album che ho fatto, oggi posso affermare che è uscito troppo presto dopo lo scioglimento dei Take That, mentre il secondo in tanti Paesi non è nemmeno uscito. Con questo disco invece sento appieno la mia fortuna di poter fare musica, e per la prima volta mi sono misurato con l’intera scrittura dei pezzi.
 
Che cosa significa per te questo disco?
 
E’ un disco davvero speciale. Quando mi sono esibito a Sheffield pensavo che quella sarebbe stata la mia ultima esibizione; nessuno mi cercava più, avevo smesso persino di ascoltare musica, e pensavo che mi sarei trasferito a Firenze per passarci il resto della mia vita. Invece un giorno mi sono ritrovato al pianoforte, e con molta naturalezza mi è uscita una melodia, e così ho scritto “They do”; da lì ci ho messo un attimo, ho deciso che avrei scritto un nuovo disco. E mi è piaciuto farlo! Questo disco sono io, c’è dentro tutto quello che sono stato e che sono oggi.
 
Il titolo del disco, “How the mighty fall”, come i grandi cadono, è di per sé emblematico; se poi lo associamo all’immagine in copertina dei piedi che camminano sulla fune ….
 
E’ una frase presa da una canzone sul disco, “Believe the boogie”, ed è anche la percezione che molte persone hanno di me: dal periodo d’oro coi Take That alla difficoltà di camminare da solo. In quella canzone parlo di ballo, di divertimento, del piacere di scrivere musica; è un pezzo molto personale, racconta di me e del mio rapporto con la musica. La copertina del disco invece l’ho trovata un giorno girando su Internet in Gettyimages, e mi è piaciuta da subito. Mi piace molto il fatto che contraddica il titolo del disco, nell’immagine l’uomo trova l’equilibrio e cammina.
 
Una cosa che mi ha molto colpito del tuo disco è il continuo spostamento di generi, cioè passi con grande facilità dal pop, alla ballata, al country, allo swing fino al rock. C’è un motivo? O forse non hai ancora capito qual è la tua strada come artista?
 
Ho scritto questo disco completamente libero da ogni pressione di etichette o di sorta, senza preoccuparmi di cosa stesse uscendo e senza voler dare una forma o un percorso obbligato a quello che sentivo. Ecco perché ho scritto cose così diverse tra loro. E poi tutti questi generi sono una fotografia della mia vita, riflettono le mie emozioni, gli alti e i bassi, l’entusiasmo ed il pensiero.
 
“Waiting for the girl” è l’azzardo country di “How the mighty fall”. Come ti sei accostato a questo genere?
 
Il pezzo si è sviluppato quando sono stato a Los Angeles, e lì ho iniziato a lavorare con il tastierista dei Jellyfish; lui si è messo al piano e ha fatto tutto, io mi sono lasciato guidare volentieri e mi sono divertito a misurarmi con una cosa tanto diversa da quello che avevo sempre fatto.
 
E “3:15” da dove prende il titolo?
 
E’ legata a “4 minutes long”, una canzone su “In your own time”; un giorno è passata in radio e molti la hanno commentata dicendo che era troppo lunga, e che la durata ideale per una canzone è di 3 minuti e 15 secondi. Ecco, io li ho accontentati e ho fatto una canzone che si chiama “3:15”.
 
Hai partecipato e vinto al Celebrity Big Brother. Come mai hai voluto fare un’esperienza simile?
 
Ci ho pensato su molto quando me lo hanno proposto. Ho chiamato amici e familiari per chiedere loro consiglio, quasi tutti mi hanno detto di buttarmi, ma io non ero molto convinto di volerlo fare. Poi però mi sono detto: questa è una di quelle cose che vanno fatte prima di morire. E l’ho fatta. E sono strafelice di averla fatta.
 
Cosa vorresti fare nella tua vita? Quali sono i tuoi desideri?
 
Avere una famiglia, senza dubbio; ho una ragazza ora ma non abbiamo figli, mi piacerebbe un giorno poterli avere. Vorrei poi arrivare a sentirmi soddisfatto con la mia carriera di cantante, ho fatto dei dischi, ho avuto questa fortuna di poter fare una cosa che mi piace da matti e spero di arrivare sereno al giorno in cui smetterò di farlo. Vorrei che la gente comprasse questo disco, o se non vuole comprarlo che se lo scarichi, perché vorrei che più gente possibile mi conoscesse per quello che sono. E poi vorrei trovare la pace, per me e per tutti.
 
Il 17 giugno sarai a Brescia a fare da opening act per i Blue. Cosa pensi dei Blue? Li vedi come i nuovi Take That?
 
Ho avuto la fortuna di esibirmi con i Blue, avevamo lo stesso agente e lui ha combinato le cose, e per me è un grande onore; li considero un gruppo ottimo, davvero professionale e con del talento. Sono forse i più degni eredi dei Take That, al giorno d’oggi. Detto questo, però, resto dell’idea che come i Take That non c’è stato più nessuno, avevamo quel qualcosa in più che a tanti manca, quel carisma e la capacità di incantare il pubblico che oggi non vedo in nessuno.
 
Cosa ti è rimasto dell’esperienza Take That?
 
Belle cose, ma anche brutte, come è normale che sia. Sono orgoglioso di quella parte della mi vita e non la rinnegherei per nulla al mondo. L’unica nota stonata è che eravamo troppo giovani, ci siamo ritrovati a 23 anni a non sapere cosa fare della nostra vita dopo ave goduto di un successo senza precedenti; la gente pensa che ce la siamo spassata, ma in realtà eravamo semplicemente 5 ragazzi troppo giovani, e non ci siamo goduti quasi nulla. sono però anche contento di essermi dovuto reinventare daccapo, perché finché ero nei Take That non sapevo cosa volesse dir combattere; una volta solo, ho dovuto imparare a camminare con le mie gambe, e a lottare per ottenere le cose, anche le più piccole ed insignificanti. Ho imparato a vivere da che i Take That sono finiti.
 
Un sogno per il tuo domani?
 
Mi piacerebbe finire la mia vita da pescatore. Dalle finestre della mia casa vedevo sempre un pescatore che andava al largo con la sua barca e tornava col pesce, a volte tanto a volte poco; aveva un ristorante, e quando trovava del pesce lo teneva aperto, se no era chiuso. Viveva serenamente, senza preoccuparsi di avere sempre del pesce da cucinare per i clienti. C’era? Bene. Non c’era? Fa nulla, domani è un alto giorno. Ecco, questo atteggiamento mi ha colpito, e mi è piaciuto. Il pescatore, sarebe davvero un modo incredibilmente dolce di terminare la propria vita!
 
Elisa Bellintani
 
14 giugno 2005
 
 TUTTO SU MARK OWEN

2005
How the mighty fall

2003
In your own time

1997
Green man
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