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 JOHN LEGEND
JOHN LEGEND JOHN LEGEND ... C'E' QUALCOSA DI NUOVO NEL SOUL
JOHN LEGEND ... C'E' QUALCOSA DI NUOVO NEL SOUL
In un momento in cui il mercato musicale internazionale fa fatica a trovare nuovi talenti, perlomeno a livello mainstream, John Legend è sicuramente una delle note positive del 2005.
Nuovo astro nascente della scena soul mondiale all’esordio con l’album “Get Lifted”,  John Legend sembra proprio fare sul serio.
Musicista, cantante, compositore e produttore, ha lavorato negli ultimi anni con Kanye West (che l’ha scoperto e prodotto), Jay Z, Common, Black Eyed Peas tra i tanti, e nel 1999 era proprio lui ha suonare il piano per Lauryn Hill in “Everything Is Everything”.
In Italia per il tour promozionale (lo ritroveremo per il tour ufficiale in autunno), lo abbiamo incontrato per conoscere un po’ meglio lui e il suo background. L’impressione, devo ammettere, e quella di un artista già maturo, non certo al suo primo album.

Ciao John…piacere di conoscerti e benvenuto in Italia !
”Ciao…è un piacere essere quì”.

Inanzitutto vorrei sapere quanto ti hanno influenzato la musica e l’ambiente gospel durante la tua infanzia…
Beh, devo dire che il gospel e la chiesa sono stati elementi fondamentali della mia infanzia. Tutta la mia famiglia è sempre stata coinvolta in questo mondo. Mia nonna suonava l’organo in chiesa, tutti i miei parenti hanno sempre vissuto a stretto contatto con la musica, io ho cominciato a cantare in chiesa a sei anni e ad otto anni cominciavo ad esercitarmi al pianoforte. Diciamo che tutto è cominciato da lì e quindi niente è successo per caso.

L’idea di cantare un pezzo del tuo album con tutta la tua famiglia è stato dunque un modo per ringraziarli ?
Sicuramente si, devo molto a loro, non sarei qui probabilmente se non avessi fissuto in mezzo alla musica fin da bambino.

Ti sei trasferito da Springfield nell’Ohio quando eri ragazzo, per andare a Philadelphia. Quanto ha influito la “Philly Scene” nella tua crescita professionale come artista ?
Penso che Philadelphia abbia influito più in generale nella mia crescita come persona oltre che come artista. Quando mi sono trasferito avevo solo sedici anni, stavo diventando un uomo, dunque è stata un’esperienza che mi ha formato a 360 gradi. Poi sicuramente vivere a Philly vuol dire stare in un ambiente in cui ogni sera puoi avere la possibilità di ascoltare tipi diversi di musica, puoi sentire dal vivo artisti del calibro di Jill Scott, I Roots o Erykah Badu, anche nel localino sotto casa perché magari sono amici del proprietario, sei continuamente a contatto con la musica e con la gente che ci sta intorno. Questo è stato senza dubbio un aspetto positivo, ma penso che non l’avrei saputo valorizzare se non avessi conosciuto da piccolo icone del livello di Stevie Wonder o Marvin Gaye.


Nel 2000 e nel 2001 hai registrato due album, il primo in studio mentre il secondo live. Lo scopo era quello di cercare un contratto discografico. Insomma John, tu conosci bene la scena indipendente perché ne hai fatto parte fino a poco tempo fa. Cosa pensi riguardo i tanti artisti di talento che magari, come te fino al 2002, devono attraversare molte difficoltà nella speranza continua di trovare finalmente un contratto ?
Sì, è vero conosco molto bene quella scena, sia a New York che a Philadephia. Penso che quelli che saranno vincolati ad un genere musicale senza alcuna sfumatura creativa o alcuno slancio eclettico, probabilmente rimarranno underground perché difficilmente potranno far breccia su un pubblico di scala più ampia. L’abilità secondo me sta nello sviluppare uno stile che sia continuamente creativo e originale e che quindi non ripieghi su se stesso, così da poter conquistare un pubblico che vada oltre quello underground, che putroppo spesso non ti permette di vivere di questo lavoro.

Hai affermato che “Ordinary People”, in quanto tuo primo singolo, avrebbe segnato la strada per la tua futura carriera, nel senso che saresti stato in seguito inevitabilmente accostato dal tuo pubblico a quel pezzo, e questo poteva in qualche modo non essere rappresentativo nei tuoi confronti…si è verificato tutto ciò ?
Mah, devo dirti che dopo “Ordinary People”, anche gli altri singoli cominciano a funzionare e questo mi fa piacere perché in effetti penso che tutto l’album mi rappresenti. Ciò nonostante penso di essere contento che “Ordinary People” sia stato il singolo che mi ha lanciato, perché è una delle mie canzoni preferite e ne vado orgoglioso.

Come sei arrivato negli anni a creare questo tuo stile unico nel miscelare r&b, gospel e hip-hop ?
E’ proprio quello che intendevo dire quando parlavo di continua creatività che i musicisti devono avere. Nel mio caso penso che questo sia avvenuto molto spontaneamente grazie al background musicale di cui mi sono nutrito fin da piccolo e che poi ho avuto modo di far interagire negli anni con i nuovi generi che ascoltavo.

A proposito di nuovi generi musicali, ho letto che ti sei espresso in maniera negativa rispetto al neo soul. Puoi spiegarmi meglio qual è il tuo punto di vista ?
Ho detto semplicemente che secondo me il neo soul negli ultimi anni mi ha un po’ annoiato, gioca sempre sugli stessi effetti, e fa fatica a rinnovarsi, a trovare nuovi slanci. Ma non è sempre così, trovo che Kanye West stia facendo delle ottime produzioni, ed anche Van Hunt è un ottimo artista, ed il suo album d’esordio lo ha dimostrato.

Bene John, grazie per il tuo tempo, e arrivederci al prossimo autunno per il tour europeo !
Grazie a voi, è stato un piacere…!”.

Alex De Ponti
 
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2004
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