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MAXIMO PARK |
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MAXIMO PARK ... NON PROVATE AD OPPORRE RESISTENZA AL LORO SOUND |
I Maximo Park sono un’interessante e stimolante realtà della scena musicale inglese a cui qualche tempo fa abbiamo avuto il piacere di introdurvi. Oggi abbiamo l’onore di presentarvi la Maximo Park-philosophy in versione live, racconto di un incontro intenso con sempre il sorriso sulle labbra; e non è cosa che capiti tutti i giorni … Visto che siete una realtà nuova, vogliamo farvi conoscere per bene. Allora. Il nome del gruppo. Ho sentito che è il nome di un parco che si trova all’Havana … Sì, Maximo Park viene da Maximo Gomez Park, nome di un parco dell’Havana. Un giorno Duncan (il chitarrista) stava guardando un documentario in televisione e si è ritrovato davanti scene di vita da questo parco: gente che giocava a scacchi, che stava seduta sulle panchine, e soprattutto che conversava, conversava e conversava. Ognuno aveva diritto di dire la propria. E’ un’idea di democrazia che ci ha colpito molto, considerato il posto dove ci si trovava era una sorta di piccola oasi di libertà. E anche il nostro gruppo vogliamo che sia un’oasi di libertà, di democrazia, dove tutti concorrono in prima persona a formare il bene comune, che è la realtà della band. Strana anche la storia della line-up del gruppo, vero? Se consideri che l’ultima cosa che è stata aggiunta ai Maximo Park è stato il cantante (Paul Smith), direi che sì, siamo completi outsider! Se poi aggiungiamo che per i Maximo Park la cosa fondamentale di una canzone sono le parole, il senso, e solo in un secondo tempo arriva la melodia, allora sembriamo completamente matti! Anche perché te ne dico un’altra. Ci abbiamo messo solo 4 settimane a registrare il disco, e questo perché tanti pezzi erano vecchi, li provavamo da anni, e quindi sapevamo già come farli funzionare. Ci mancavano le liriche. Trovato il cantante giusto poi le cose sono scivolate via senza nessun problema! Venite da Newcastle Upon Tyne; concorrenza zero, mi pare. Cosa significa suonare e avere come scopo la musica in un posto come Newcastle? Diciamocela tutta. A Newcastle non c’è niente da fare. Zero! Non sai come far passare i pomeriggi, le sere, ci sono sempre le stesse facce, gli stessi posti, le stesse cose da fare; bisogna pure che arrivi ad inventarti qualcosa! Noi ci siamo inventati la musica, abbiamo cominciato a ritrovarci a casa dell’uno o dell’altro, ci divertivamo e abbiamo cominciato a farne una ragione di vita. Ora proviamo a fare il grande salto! Anche negli argomenti delle vostre canzoni si respira questa sorta di immobilismo, di paralisi, di apatia esistenziale, ma allo stesso tempo ascoltandovi si assorbe energia positiva. Non c’è un ripiegamento triste o sconsolato, c’è entusiasmo. Te l’ho detto, la realtà in cui noi siamo cresciuti non ci ha offerto molto dal punto di vista degli stimoli, però non ci siamo incupiti per questo. Anzi. La nostra è una sorta di reazione al grigiore dicendo: “ehi, la vita è bella, sta a te trovarne il lato positivo!”. Non bisogna mai lasciarsi andare alla tristezza ma cercare di scovare qualcosa di buono in quello che facciamo e che viviamo; non addormentatevi, mai. Del resto, se ascolti “The coast is always changing” riesci a capire come da una cosa apparentemente pallosa come sedersi in riva al mare e guardare le onde puoi farci addirittura una canzone! Una reazione al contesto di stallo, quindi, la vostra. Sì. Anche una specie di via di fuga da una realtà troppo mortificante. C’è quest’atmosfera sognante e positiva lungo tutto il disco; anche se l’ispirazione principale ci viene dalla realtà circostante, noi cerchiamo di offrire una scappatoia costruendo un mondo a parte per metà vero e per metà fantasia. Questo è quello che la vita mi offre? Poco male, io riesco comunque a sorriderne e a divertirmi! Come vi aspettate che la gente reagisca al vostro disco? Guarda la copertina (c’è la sagoma di un uomo in giacca e cravatta che si contorce a ritmo di musica, si suppone). Così. Vogliamo essere il trigger, il deus ex machina del vostro movimento, l’importante è che ascoltandoci vi lasciate andare alla musica, con tutto il corpo. Ballare. Agitarsi. Sconquassarsi. Liberarsi. Questo è quello che ci aspettiamo da voi. Dal punto di vista del suono, quello che colpisce molto di “A certain trigger” è la continua accelerazione-decelerazione del ritmo. Non c’è un attimo di tregua. Non c’è prevedibilità. Che significato ha per voi questo modo di suonare? Premetto che è un modo di suonare che ci viene molto naturale, e che non è per nulla calcolato. Poi c’è da dire che ha anche i suoi vantaggi, chiamiamoli così, perché riusciamo in questa maniera a tenere alta l’attenzione di chi ci ascolta; è uno stile progressivo, una musica pop fatta con approccio diverso: vogliamo fare ballare la gente. Vogliamo che la gente abbia una reazione fisica alla nostra musica. C’è poi “Acrobat”. Pezzo stupendo ed intenso, ma che, lasciatemelo dire, suona proprio strano in mezzo a tutti gli altri … E’ forse il pezzo più di atmosfera di “A certain trigger”, con quel suo sound pseudo-elettronico; suona differente e si nota, è vero, però noi lo vediamo come la parte finale di un processo che parte dalla prima track e va fino all’ultima, una parabola di emozione con sottofondo di malinconia. Siamo malinconici, ed in “Acrobat” si sente tutta l’inadeguatezza di un uomo di fronte al suo amore. Restare indifferenti di fronte a “A certain trigger” non si può, perché la facciata di pop immediato ed orecchiabile nasconde questo velo di emotività intensa che pochi gruppi Brit riescono ad esprimere con così tanta leggerezza. “A certain trigger” è sicuramente uno dei must have dell’anno. E i Maximo Park da tenere d’occhio. Occhio a non perderveli! Elisa Bellintani 6 maggio 2005 |
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 2005 A certain trigger | | |
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