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TEENAGE FANCLUB ... ROCK A MISURA D'UOMO |
Kurt Cobain lì definì “la migliore band al mondo”, Liam Gallagher (simpatico come sempre) “la seconda migliore band al mondo”. Certo, definizioni che lasciano il tempo che trovano ma che comunque testimoniano l’unicità del percorso artistico del quartetto di Glasgow: l’unica band che nel corso degli anni ’90 riuscì ad essere un punto di riferimento prima per la scena grunge e poi per quella brit-pop . A cinque anni di distanza da “Howdy!” ritornano con un nuovo album in studio, Man-Made, registrato a Chigaco con l’aiuto di John McEntire dei Tortoise. Abbiamo incontrato Norman Blake e Raymond McGinley. Primo album in studio dopo cinque anni, registrato per la prima volta totalmente all’estero e con una nuova etichetta. Credete di essere ad un punto di svolta della vostra carriera o questo lp è semplicemente un passo in avanti come tanti? Norman: Dal punto di vista compositivo, degli arrangiamenti e dei testi credo si tratti di un semplice passo in avanti nella direzione che da tempo abbiamo intrapreso con la nostra musica. Dal punto di vistra extramusicale sì, è decisamente un punto di svolta. Dopo che la Creation, la nostra ex etichetta fu rilevata dalla Sony abbiamo passato un periodo terribile. La Sony non credeva in noi e sapevamo che se avessimo fatto un nuovo disco per loro sarebbe semplicemente andato perso. Era come stare in prigione. Ora abbiamo fondato una nostra etichetta, la PeMa. Abbiamo tutto sotto controllo e ci sentiamo totalmente liberi. Come descrivereste questo nuovo album ai vostri fans, ed invece come a chi non vi ha mai sentiti? N: A chi ci conosce direi che abbiamo cercato di spogliare e semplificare al massimo il nostro sound, cercando di far venire fuori ciò che siamo il più chiaramente possibile. A chi non ci conosce… oddio, non ne ho idea (ride). Raymond: A volte mi capita di incontrare degli sconosciuti che naturalmente quando vengono a sapere che suono in una band chiedono subito “che musica fate?” Ecco, non so mai cosa rispondere… mettiamola così: siamo più vicini ai Byrds e ai Beatles che all’Heavy metal! Voi avete vissuto gli anni ’90 da protagonisti. Ora, con uno sguardo più distaccato, che giudizio date di quel decennio? E’ stata davvero un’età dell’oro del rock come vuole la percezione comune? R: Sicuramente. Tu prova solo a pensare cos’era il rock negli anni ’80… (fa l’imitazione di una batteria elettronica, ndi) tutto finto, tutto di plastica, prodotto in modo orribile. Sembrava che con la tecnologia le persone avessero dimenticato il suono vero degli strumenti. N: Ricordi i dischi di gente come Bob Dylan degli anni ’80? Erano prodotti in maniera terrificante… R: Con gli anni ’90 si riscoprì il gusto di suonare davvero: le batterie tornarono a suonare come batterie, così come le chitarre. N: Fu una rivoluzione, il bisogno di un sound genuino costrinse persino MTV a trasmettere dei gruppi che con il mainstream c’entravano poco. Cambiò anche il modo di rapportarsi con la fama: pensa ai Sonic Youth, erano famosissimi, molto professionali ma nello stesso tempo avevano uno straordinario distacco e un gran senso dell’umorismo. Le pose e i capricci da star dei musicisti per fortuna sparirono per un bel po’. A proposito di figure rivoluzionarie, probabilmente ve l’avranno chiesto migliaia di volte, ma è noto che Kurt Cobain era un vostro grande fan e che siete stati in tour con i Nirvana. Che ricordo hai di lui? N: Era una persona molto semplice e sensibile. Quando eravamo in tour insieme era già nel pieno dei suoi problemi di droga ed era uno strazio vedere Grohl e Novoselic soffrire per il proprio amico che si stava piano piano allontanando da loro. Sul palco non ho mai visto una persona così vera e passionale. Ricordo che era ossessionato dall’orientamento dei suoi fan: lui voleva che tra i suoi fan non ci fossero razzisti, persone di destra, teste di ca**o superficiali che compravano i suoi dischi solo perché erano di moda. Sai, ci sta che il tuo pubblico sia composto da ogni tipo di persona ma lui questa cosa proprio non riusciva ad accettarla. R: Ricordo una volta in Svezia, il nostro ex batterista Brandon perse il suo orologio da taschino, un ricordo prezioso regalatogli dal nonno, era disperato. Kurt appena lo venne a sapere gliene regalò subito uno simile ma molto più costoso, senza tante storie o manfrine. Questo per farti capire che tipo era. N: La gente tende solo a ricordare il lato tormentato di lui, ma io preferisco ricordare il Kurt sorridente e scherzoso che ho conosciuto. Conservo ancora con cura una fotografia con me, Kurt e Eugene Kelly dei Vaselines. In quella foto Kurt sfoggia un enorme sorriso. Ecco, questo vorrei dire: le persone, tutte le persone, non hanno sempre e solo un’unica dimensione, e così era per Kurt. Avete sentito del sondaggio della BBC sulle migliori 50 band scozzesi di tutti i tempi? Siete soddisfatti del vostro settimo posto? N: Si, non c’è male. Pensa che i Belle And Sebastian (arrivati primi, battendo nell’ordine i Travis e gli Idlewild, ndi) ci hanno inondato di mail vantandosi di essere la più grande band scozzese di sempre (ride). La cosa preoccupante è che se noi siamo arrivati settimi e la lista era solo di 50 band vuol dire che in Scozia siamo messi proprio male… Cosa significa la parola “Scozia” per voi? E’ solo una voce sul passaporto o un qualcosa che influenza il vostro modo di pensare, vivere e suonare? N: Io più che altro adoro la mia città, Glasgow. Tutta quella mitologia sulla Scozia e sul suo passato mi ha stufato, non sono per niente nazionalista. Pensa poi che mia nonna era italiana. Io ho moltissimi amici inglesi e non mi sognerei mai di odiare una persona solo perché è inglese. Tutto ciò è assurdo. Certo la Scozia è bellissima ed è indubbio che certe atmosfere, certi luoghi e persino il tempo meteorologico in qualche modo abbiano influito sul nostro modo di essere, ma tutto si ferma lì. R: Essere scozzesi aiuta nel senso che all’estero siamo simpatici a tutti. Questo perché storicamente la Scozia non è mai stata in grado di invadere nessun altro paese straniero (ride). N: Abbiamo una storia talmente povera di vittorie che uno dei momenti più alti della nostra storia è il gol di Archie Gammil contro l’Olanda ai mondiali del ’78 (episodio citato anche nel film “Trainspotting”, ndi). R: In Trainspotting non hanno esagerato, te lo assicuro, se chiedi ad ogni scozzese dove si trovava il giorno in cui uccisero John Kennedy se lo ricorderebbero in pochi, ma ti assicuro che tutti saprebbero dirti dov’erano nel momento in cui Gammil segnò quel goal. Antonio Casillo 29 aprile 2005 |
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