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L'AURA |
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L'AURA ... WANNABE A RADIO STAR? LEI CE L'HA FATTA! |
Alzi la mano chi non si è ritrovato perso almeno una volta nel ritornello tormentone “I wanna-be-e a radio staaaar”. Lei è L’aura, con l’apostrofo. L’aura è nella testa di tutti, e una radio star lo è diventata, arrivando dal nulla e indovinando la hit giusta del momento. Di lei non si sa praticamente niente, dato che è (finalmente) qualcosa di davvero nuovo. Giovane, ma soprattutto italianissima, L’aura fa sobbalzare in mente paragoni illustri per il suo modo sognante eppure concreto di esprimersi in musica, per quella voce potente e morbida, per quei sussurri spessi di vita, per l'interessante caratteristica di polistrumentista (suona violino e piano e strimpella la chitarra). E dopo “Radio Star”, ecco “Okumuki”, un disco spiazzante per tutti voi che conoscete la L’aura che passeggia trasognata lungo il Sunset Boulevard. L’aura noi la abbiamo incontrata, e ne siamo rimasti affascinati, per quella sua freschezza e quell’entusiasmo tipico di chi è giovane e vuole lasciare un segno, ma anche per quel suo modo di vedere la vita articolato e allo stesso tempo lineare. L’aura. Un nome che si fa notare. L’apostrofo è un vezzo o ha un senso ben preciso? L’aura è stata una scoperta di mio padre, è lui che mi ha suggerito di modificare così il mio nome. Richiama molto poi i giochi di parole del Trecento, con Petrarca che nei suoi sonetti nascondeva il nome dell’amata Laura … per non dire che quello che L’aura evoca, e cioè questa specie di luce intorno, è una cosa che non mi appartiene per nulla; io non sono una persona evanescente o luminosa in senso alto, sono piuttosto concreta. “Okumuki” è il titolo del tuo album di debutto. Ci vuoi dare qualche delucidazione al riguardo? Okumuki è una parola giapponese. Il disco avrebbe dovuto chiamarsi “La Casa che Muta”, che poi è il nome di un personaggio de “La Storia Infinita” di Michael Ende, riferendosi a questa casa che assumeva diverse forme per aiutare così le persone a ritrovare casa propria. Poi invece ho preferito “Okumuki”, che in giapponese rappresenta la parte più intima ed interna della casa, quella senza finestre che è poi il cuore pulsante del focolare. E poi ha un suono interessante. Hai detto di apprezzare diverse forme d’arte, come il teatro e la danza, oltre alla musica. Perché alla fine hai scelto di esprimerti proprio in musica? Non perché la ritenga superiore o più interessante, ma semplicemente perché la musica arriva subito, senza bisogno di premesse o spiegazioni. E’ diretta, proprio come me, è emozione che punta dritta dentro. Sembri molto attenta a curare la tua musica in ogni dettaglio. Che cos’è per te la musica?
E’ innanzitutto atmosfera, sentimento, sensazione. La musica non è testo o melodia, la musica è un prodotto finale che deve suscitare qualcosa di forte in chi ascolta; non è più importante il significato del significante, quello che conta è che ci sia in una canzone quel qualcosa che faccia scattare l’empatia in chi ascolta. Ecco perché più del senso a me quello che colpisce è il suono delle parole, la musica intrinseca alla verbalità. Prendi i Cocteau Twins, per esempio, che focalizzano anche loro su suoni ed atmosfere; loro per me sono davvero grandi. E così anche per me la melodia emotiva è lo scheletro sul quale si impianta in un secondo momento il testo. Quello che si nota immediatamente del tuo disco è il continuo passaggio dall’inglese all’italiano, alternando le due lingue da una canzone all’altra. C’è un motivo? Con quale ti trovi più a tuo agio? Non ho una preferenza a livello di musicalità, sono due lingue entrambe belle; ma non sono le sole, se solo sapessi bene il francese potrei provare a cantare anche in francese, per adesso sento di essere in grado di esprimermi al meglio con l’italiano e l’inglese; che, anche se non è la mia lingua madre, ha l’innegabile vantaggio di essere una lingua molto sintetica, il che mi affascina molto, dato che io ho invece spesso bisogno di mille parole per dire una cosa. L’inglese sicuramente lo hai imparato a padroneggiare nel tuo periodo di perfezionamento a San Francisco, dove hai incontrato nientemeno che Enrique Gonzalez Muller (Joe Satriani, Dave Matthews Band … ), che ti ha prodotto “Okumuki” … Ero ai Plant Recording Studios per provare, e c’era Enrique appunto che mi è stato prima di tutto amico, e poi mi ha aiutato con il disco. Enrique mi ha seguita, mi ha fatto conoscere San Francisco, mi ha insegnato tante cose e detto cosa andava e non andava del mio modo di fare musica; cercavo un produttore per “Okumuki”. La scelta più ovvia era lui, ma non ci sono arrivata subito. Per fortuna ci siamo accorti entrambi che l’accoppiata di noi due era giusta, e così ecco il mio disco. Una canzone dedicata al sonno e al dormire, “Domani”. Un’idea strana, come ti è venuta? Io adoro dormire, perché questo significa sognare; sono una persona che sogna molto la notte e che si ricorda sempre tutto, è un momento speciale quindi quello quando chiudo gli occhi e mi lascio addormentare, perché in quel momento so di stare per entrare in un mondo meraviglioso. Che poi cerco di raccontate nelle mie canzoni. Ti avranno già detto in molti che il tuo modo di cantare richiama fortemente la Tori Amos degli inizi, e a tratti anche Elisa. Hai modelli di riferimento? A dire il vero no. Non c’è nessuno a cui aspiro assomigliare, faccio musica e canto come mi riesce, che è poi come mi sento. Se poi questo significa venire accostata ad una grande artista quale Tori Amos, allora ben venga! Provate a scoprirla, L’aura è davvero qualcosa di più di un semplice “mi richiama …”; un mondo articolato ma di non difficile ingresso, come un sogno dai contorni magici che si schiude davanti ai vostri occhi e vi invita a guardarlo. Noi ne siamo rimasti incantati! L'aura ha anche uno street team: www.l-aurateam.it
Elisa Bellintani 27 aprile 2005 |
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 2005 Okumuki | | |
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